Gemonio | 9 Agosto 2017

I ragazzi migranti alla scoperta del Museo Bodini, l’arte come strumento per l’inclusione

Un progetto culturale è quello raccontato da Sara Bodini: "L'arte può essere testimonianza di un riconoscimento e fonte di un dialogo, che va mantenuto vivo"

I ragazzi migranti alla scoperta del territorio, le visite al Museo Bodini
Tempo medio di lettura: 4 minuti

(Sara Bodini) Le visite guidate al Museo Bodini, nate dall’incontro con Lella Guelfi, vicepresidente della cooperativa Agrisol, braccio operativo della Caritas diocesana di Como, sono iniziate il 3 luglio di quest’anno e si sono sviluppate in cinque incontri con piccoli gruppi di sei-otto ragazzi, provenienti da diversi Paesi di Africa e Medio Oriente: Guinea Conakry, Tanzania, Nigeria, Siria, Camerun, Costa d’Avorio, Senegal, Gambia … Insieme a me li ha accompagnati nel percorso Brunella del Marco, da anni colta e appassionata volontaria del Museo. Le maestre della cooperativa, giovani e competenti, ci hanno seguite nella visita, supportandoci nel trasmettere al gruppo concetti anche difficili o tecnici, passando agilmente dall’italiano al francese, all’inglese.

Trovo che questo incontro tra i migranti e il Museo Bodini, prescindendo in questa sede dalle condizioni tragiche che l’hanno generato, ha offerto a noi un’opportunità unica, di immenso valore culturale e umano. Tutti gli incontri hanno illuminato aspetti e fatto emergere nuove prospettive in un’atmosfera di grande partecipazione, in cui la leggerezza si accompagnava senza attriti all’intensità.

Penso ad esempio alla penultima visita, che si è trasformata in un viaggio sciamanico tra maghi e metamorfosi animali, o alla prima, che mi ha vagamente turbata per il commento di uno dei ragazzi, tra l’ironico e l’esasperato: «Ah, ma qui è tutta guerra!», in riferimento ai temi tragici delle opere esposte. Mi soffermo a pensare a quanto il mio stile di racconto, durante le visite al museo, possa essere incentrato su quello che presumo sia il desiderio di sentirsi capiti dei miei visitatori, e su quanta presunzione ci sia in questa mia posizione! Ma il commento spontaneo di quel ragazzo mi ha fatto anche confrontare con Lella sulla necessità di approfondire durante le visite il nostro particolare concetto di arte: arte anche come testimonianza della bruttezza e del dolore, non solo esaltazione del Bello o celebrazione di gesta o personalità eroiche.

Racconto poi dell’amore di mio padre per l’arte africana (amore del resto caratterizzante la maggior parte degli artisti del XX secolo, folgorati dall’essenzialità e dalla concentrazione delle forme, di cui talvolta hanno fatto un uso che andava ben oltre l’ispirazione), mostrando una bella testa in bronzo del Benin della sua collezione. Un ragazzo, un po’ più grande degli altri, mi spiega che non si può parlare genericamente di “arte africana”: lui, ad esempio, in quella testa, pur riconoscendole un’aria di famiglia, avverte uno stile totalmente diverso da quelle “con la testa allungata” che si trovano del suo paese, la Costa d’Avorio.

In un incontro successivo vengo travolta dall’entusiasmo di Liberty e Clement, entrambi nigeriani: mi mostrano i segni sul volto di uno dei due, simili a quelli incisi sulla testa in bronzo, spiegandomi che l’opera raffigura una giovane donna appartenente alla corte dell’Oba del Benin e che i due pesci che ne decorano la base sono simboli di regalità. Mi ha commosso pensare a quanto mio padre sarebbe stato felice di ricevere queste informazioni e a quanto avrebbe apprezzato questi incontri per il grande amore che aveva per l’insegnamento e per il confronto con i giovani. Riesco anche a immaginarmi che avrebbero riso molto e fatto un gran baccano insieme.

Le persone sono ovviamente molto diverse tra loro, con interessi e conoscenze varie: c’è chi mi spiega alcuni dettagli per me sconosciuti della tecnica incisoria, chi fornisce nuove interpretazioni ad opere che erano ormai per me mute, chi sa inscenare un dialogo con le sculture facendone affiorare l’anima.

Mi colpisce il contatto che alcuni di questi ragazzi instaurano naturalmente con le opere, quel contatto e quell’approccio immersivo tanto auspicati da gran parte dell’arte contemporanea e spesso riprodotti in modo artificiale e inautentico. Mi colpisce e sento mia la curiosità, ma anche la libertà nel dare voce alle opere, nel farle parlare e raccontare storie, esulando dal nozionismo e dal mero interesse biografico, a tratti voyeuristico, dietro a cui spesso si nascondono le persone.

​L’arte si pone come intermediario privilegiato nel confronto tra culture diverse e tra diverse soggettività, ma – oltre l’universalità di questo medium – riconosco al Museo di mio padre una certa speciale affinità con le storie che portano in sé questi giovani uomini (ho incontrato una sola donna, Maisaa, siriana, arrivata qui col marito).

Mio padre Floriano, nel 1961, scosso come tanti dalle immagini di guerre e carestie che arrivavano dagli stati africani, fece una serie di opere a partire da “Testa di Ragazzo negro” (il termine “negro” era comunemente usato in Italia in senso non dispregiativo fino alla fine degli anni ’70), seguite da disegni e grafiche in cui la fame e le diseguaglianze sociali sono al centro del discorso. Da un altro lato, nell’ambito del realismo esistenziale, l’attenzione alla società e alle sue problematiche, erano al centro dell’attenzione, tanto che nel 1959 Franco Alasia e Danilo Montaldi pubblicarono Milano-Corea, inchiesta sugli immigrati: si parlava in quel volume di immigrati dal sud o da altre regioni italiane, ma nello scorrerne le pagine si è toccati dalle somiglianze, soprattutto nelle comuni reazioni degli offerenti asilo. Questa attenzione alla realtà sociale e alla sofferenza umana non ha abbandonato l’opera di Bodini, nemmeno negli anni successivi.

L’esperienza di queste visite rinforza in noi la convinzione che certa arte, quella che non si offre come riparo alla cattiva coscienza nel suo soffermarsi in un godimento estetico estraneo alla realtà né in una visione retorica e paternalistica, possa essere testimonianza di un riconoscimento e fonte di un dialogo – già aperto -, che va mantenuto vivo.

© Riproduzione riservata

Vuoi lasciare un commento? | 0

Lascia un commento

"Luinonotizie.it è una testata giornalistica iscritta al Registro Stampa del tribunale di Varese al n. 5/2017 in data 29/6/2017"
P.IVA: 03433740127