(Articolo a cura dell’Osservatorio Felice Cavallotti) In questo testo, coraggio e innovazione sono le due parole d’ordine. Sono un “giovane urlo” di sfida e di cura in soccorso al corrotto tempo del clima: tempo non impazzito ma fatto impazzire, perché corrotto dalla egemonia culturale del profitto capitalistico.
Un urlo, deciso a sconfiggere quel tempo-pensiero parallelo, di sfruttamento, che continua ad attraversare le cose con una danza alienante capace di imprigionarle nella permanente dimensione del presente. Una coreografia ripetitiva, del sempre uguale, in cui ha difficoltà ad alloggiare la produzione d’amore del bene comune, esperienza unica e possibile di cura.
La proposta che esporremo è, evidentemente, da inquadrare in un possibile processo di transizione costituente di interesse locale. Un processo politico che non può eludere da una generale rivisitazione e riformulazione sociale e istituzionale del concetto di sovranità e della espressione di autorità. La proposta è da valutare come un possibile esercizio costituente di democrazia; una concreta volontà politica di dare un reale senso, fondamento e sostanza alle dichiarazioni, sostenute in questi giorni dalle forze politiche, sul diritto di partecipazione attiva alle attività di governo della città e sulla richiesta di delega.
Il probabile è possibile!
Le elezioni a Luino potrebbero contribuire ad una prospettiva felice ed innovativa di governo della città?
Nella città di Luino si stanno avvicinando le elezioni amministrative e, senza rischiare di cadere in contrapposizioni ideologiche, non possiamo proprio dire che abbiamo davanti a noi una prospettiva felice ed innovativa di governo della città; invece è proprio questa la condizione che la politica dovrebbe garantire. Ma sembra proprio succedere il contrario (fenomeno non solo rilevabile della città di Luino): vediamo aumentare la presenza di innumerevoli criticità locali e territoriali -clima, occupazione, povertà, socializzazione (coesione sociale), creatività produttiva e deficit amministrativi- che stanno aspettando da tempo differenti intuizioni e forme distributive di solidarietà e di uguaglianza sociale che, ostinatamente, si credono fattibili navigando nei pensieri della sovranità e dei soli strumenti di potere.
Questa carenza di pensiero, come sta succedendo da molti anni, risulta essere percepita come fenomeno politico bipartisan. Risulta veramente consolidata a destra e percepita in alcune aree della sinistra?
Chiedersi il perché su questa difficoltà sembra un inutile contributo politico. Forse, inutile, perché sembra che faccia perdere del tempo a quella che ci hanno abituati a chiamare “la politica del fare”. Ma cos’è questo fare, sempre esclusivamente disinserito, oltre che lontano, dalla capacità descrivente di un progetto di innovazione sociale. Progetto, che invece andrebbe ideato per rendere possibile la rappresentazione e la giustificazione di ambiti coerenti descriventi una esistenza biopolitica che promuova una visione felice e possibile di giustizia sociale e, di conseguenza, una espressione di speranza educante ad un destino di convivialità tra la specie umana e l’habitat che generosamente lo contiene.
Questa incapacità di rappresentazione, dovuta alla sottovalutazione dell’importanza nelle azioni di “governo della città”, delle passioni relazionali, della comunicazione, cooperazione e dell’affettività, insomma del insostituibile processo costituente dello spirito democratico, è proprio la vera inefficienza strategica e tattica di questo sistema istituzionale, strutturale e strumentale. È proprio questa continuità di carenza di sistema che ci sta portando, nemmeno troppo lentamente, alla tanto preoccupante crisi climatica e ad una strumentale ideologica dell’emergenza legata alla paura e di conseguenza a ritorni di barbarico razzismo e pericoloso fascismo.
Non è più opportuno pensare che si possa invertire la “tendenza di crisi”, continuando a supportare una convivenza che utilizza, perché ignora possibili modelli alternativi, la stessa cassetta degli attrezzi -biopolitici e di biopotere- con cui è stato messo in ginocchio l’intero pianeta.
Continuare a pensare che il globale non ha nulla a che fare con il locale e che, il locale, viaggi su un universo parallelo è un comportamento da irresponsabili?
Ma arriviamo al motivo di questo “pippone”, come molti negazionisti sicuramente vorranno definirlo.
Partiamo, per l’appunto, considerando questo fenomeno comportamentale, percepito come trasversale, che abita nei pensieri politici locali. Fenomeno che sicuramente caratterizzerà, come ha fatto nelle tornate precedenti, anche questa campagna elettorale: vivremo quella ormai permanente e continua usanza di fotocopiare programmi elettorali, specchietti risultanti molto simili tra loro e in linea con i devianti e alienanti messaggi mediatici. Per uscire da questa inutile perdita di energie vogliamo fare una “proposta coraggiosa” che possa aiutare la politica locale e soprattutto l’elettore a perfezionare la sua consapevole decisione di voto in modo che possa aiutare la città a non scivolare in decadenze irreversibili. Siamo consapevoli dell’azzardo, ma riteniamo che con solo questi radicalismi rivoluzionari si può aiutare il mondo nella sua ricerca di amore e di sopravvivenza.
Ben venga un vero confronto tra le dichiarate forze politiche, ma questo deve rispondere a logiche di comparazione e concordia. E come?
I giovani della Comunità Operosa Alto Verbano (COpAV), qualche mese fa hanno consegnato alle Amministrazioni Locali un documento operativo da sottoporre e condividere, operativamente, nei Consigli Comunali, intitolato “dichiarazione di emergenza climatica”, chiediamo che la politica faccia diventare questa richiesta d’amore il documento per un possibile confronto comparativo guidato da uno sincero spirito di concordia. È il mondo che lo chiede!
Cosa vuol dire? Che le differenti compagini (nessuno sta negando le differenze), nei loro programmi, struttureranno nel rispetto dell’autonomia, delle idee sulle problematiche esposte, ma lo dovranno fare attraverso concrete soluzioni progettuali che, scrupolosamente, descriveranno e spiegheranno le funzioni d’interazione tra i comportamenti amministrativi, ritenuti idonei per affrontare questi processi -soluzioni strumentali di condivisione e partecipazione alle delibere amministrative-, con le creative, nonché possibili, concrete soluzioni “del fare” – oggetti carichi di desideri in attiva relazione con una compatibile visione di sostenibilità climatica. Insomma un vero e operativo programma-processo, un dialogo-narrazione articolato, che sappia interagire e condizionare positivamente il processo climatico in corso.
Questo modo di elaborare e di procedere metodologicamente e scientificamente, eviterà il solito rischio di produrre il tradizionale esercizio dei dissociati e contraddittori desideri pre-elettorali, ma risulterà utile, nei successivi lavori dei Consigli Comunali, almeno per quanto riguarda quei punti che saranno risultati comuni (condivisibili) nei programmi personalizzati delle singole compagini elettorali.
Ma dov’è la parte rivoluzionaria innovativa e coraggiosa della proposta?
È nella sottoscrizione di un “patto di crisi”. È nel ritenere necessario percorrere una formula concordataria.
Un vero esercizio di condivisione pedagogico comportamentale, un impegno collegiale di responsabilità; una concreta volontà di superamento della logica di contrapposizione bipolare e asimmetrica (vantaggi tra chi governa e chi è all’opposizione). Volontà ottenibile con l’applicazione della soluzione in queste elezioni: “decidere e deliberare” concordemente prima di mandare i cittadini alle urne. Questa è la parte innovativa della proposta di cui siamo consapevoli del non facile approccio, ma sicuramente indispensabile per riuscire a superare importanti momenti di crisi antropologiche come questa sul clima. Questa responsabilità di crisi, questa deliberazione, questa preliminare volontà collegiale, attorno a dei possibili argomenti condivisi nei programmi, permetterà agli elettori di recuperare la fiducia nella politica (dovrebbe far riflettere che nelle ultime elezioni comunali non si è arrivati al 50% dei votanti) e li aiuterà a valutare, oltre che decidere, “sull’insostituibile” strumento della rappresentanza.
Questo esercizio di volontà concordataria rinforzerà la fiducia nei cittadini. Confortati dalla scrittura e sottoscrizione del “patto di crisi”, gli elettori, potranno esprimere con consapevolezza una preferenza differente a quella del “tifo calcistico”. Contrariamente, potranno orientarsi premiando le capacità di valutazione e di merito attitudinali e comportamentali dei singoli candidati nell’affrontare e nel condividere, responsabilmente, problematiche di crisi, con l’unico scopo di arricchire il solo bene comune.
Insomma, finalmente una campagna elettorale costruttiva che può andare oltre alle ripetitive promesse, che nessuno, poi, può e vuole mantenere o che, troppo spesso, risultano corrotte da interessi individuali o di gruppo a discapito di una visione strategica di comune interesse territoriale.
Siamo consapevoli, che in questa campagna elettorale, rimane poco tempo a disposizione, ma d’altronde è la crisi climatica e il suo urlo di richiesta d’amore che obbliga a tempi ristretti. Dunque, non si può fare altro che adeguare i comportamenti se si vuole amare per riuscire a salvarci. Se questa urgenza e doppia necessità di coraggio innovazione, non viene attuata partendo da un cambiamento radicale degli strumenti e dei comportamenti, la politica non può fare altro che dichiarare il proprio fallimento.
Forse, la proposta potrà risultare eccessiva, ma la buona volontà di dare segnali creativi di cambiamento è ancora possibile.
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