Laveno Mombello | 29 Gennaio 2020

Laveno, tre persone a processo per la “pista ciclopedonale fantasma”

Accuse di concorso in falso ideologico e truffa aggravata, con lavori non completati e fondi regionali ottenuti tramite documenti falsi. I fatti risalgono al 2013

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Sono tre le persone a processo per concorso in falso ideologico e in truffa aggravata, per il conseguimento di erogazioni pubbliche, nell’ambito del processo legato all’indagine della Guardia di Finanza di Luino denominata “Bike Shadow“. Processo che ha preso il via ieri presso il Tribunale di Varese e nel quale Regione Lombardia, indicata come parte offesa, ha scelto di non costituirsi parte civile.

L’inchiesta era partita nel 2016, ricorda il quotidiano La Prealpina, quando l’attenzione delle fiamme gialle luinesi si era concentrata su alcuni appalti pubblici finalizzati alla realizzazione di piste ciclabili e di piattaforme di bike sharing. Progetti che avevano coinvolto anche il territorio – vista la possibilità di ottenere dall’ente del Pirellone finanziamenti fino ad 800mila euro – e dunque i tre professionisti ora a processo: l’architetto Andrea Jelmini, responsabile unico del procedimento del Comune di Laveno, l’ingegner Mauro Dozzio, direttore dei lavori incaricato dall’amministrazione e dalla Comunità Montana Valli del Verbano, e Gabriella Bianchi, legale rappresentante della ditta appaltatrice.

Obiettivo, la costruzione di una “pista ciclopedonale di connessione del sistema di mobilità collettiva”, dalla stazione Fs a quella Fnm, fino alla stazione lacuale (Navigazione Lago Maggiore) e poi ancora a Cittiglio. Il punto è che per questa opera, secondo l’inchiesta, non sarebbero state rispettate le tempistiche indicate dalla Regione, nonostante la concessione di una proroga sulla tabella di marcia, e che i responsabili avrebbero ottenuto i contributi in maniera illecita, cioè attraverso documenti falsi, a cui si aggiungono come detto i lavori non eseguiti o realizzati solo in parte.

Sul quotidiano locale i passaggi centrali dell’indagine sulla pista lavenese, per la quale i finanziamenti richiesti vennero ottenuti nel 2011: “La Regione concede una proroga fino al 3 luglio 2013. Il 2 maggio Dozzio firma il certificato di ultimazione lavori, dichiarando che erano finiti il 30 aprile. E il 25 ottobre emette il certificato di regolare esecuzione (il collaudo). Atti che, con l’ok di Jelmini, danno il via libera all’emissione dei mandati di pagamenti alla ditta costruttrice, per un totale di oltre 700mila euro”.

Al 30 aprile, però, il progetto non era stato affatto completato, secondo le parole di un finanziere che partecipò alle indagini, comparso ieri in aula. “Come verificato da documenti di trasporto e varie email all’atto – si legge ancora sulle pagine de La Prealpina – le 15 biciclette e il software per il noleggio furono consegnati tra settembre e ottobre 2013″. Gli imputati, a questo punto, avrebbero optato per l’impiego di biciclette prese in prestito e collocate sotto le pensiline della stazione per un solo giorno, in occasione dell’ispezione di funzionari regionali voluta per verificare lo stato dei lavori. Tre anni dopo circa, nel 2016, la piattaforma si trovava già in stato di abbandono.

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