Luino | 17 Dicembre 2019

Il futuro di Luino passa dalle aree dismesse e dalla loro capitalizzazione: “Una storia sacrificata”

L'Osservatorio "Felice Cavallotti", con una analisi, pone l'attenzione sul PGT e su quello che ne conseguirà in base alle decisioni adottate nell'elaborazione

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(A cura dell’Osservatorio “Felice Cavallotti”) Non sappiamo se sarà mai possibile ridurre il potere che oggi ha e trasporta nel pensiero della vita quotidiana la considerazione sul concetto borghese di proprietà privata presente nell’ideologia neo-liberista.

Non sappiamo se la politica, prima o poi, riuscirà ad applicare con forza di volontà quanto è scritto nella Costituzione Italiana e nel Codice Civile sul principio della “funzione sociale” applicabile al diritto di proprietà nelle trasformazioni territoriali.   Collegamento possibile e necessario per dialogare e promuovere i beni comuni (di cui il paesaggio è fenomeno primario) e ridurre le ingiustizie sociali e le contraddizioni ambientali che alterano l’esistenza umana.

Non sappiamo quando e come la politica interverrà, siamo però consapevoli che l’urgenza climatica richiede degli obblighi di cambiamento visionari e comportamentali. Un intervento, ritenuto dai più, urgente al fine di evitare che i pensieri, scalpitando, abbandonino le forme di con-vivenza tra l’uomo e l’ambiente calpestando quel poco che poteva caratterizzarci come esseri umani.

La ricerca di superare e di rimodulare alcune relazioni giuridiche, in coerenza con il testo Costituente e la condizione di emergenza climatica, porta a considerare il “grado di affettività” (condizione opposta all’astratto fenomeno processuale della finanziarizzazione), un indice sostanziale di definizione e di giudizio del concetto di funzione sociale. Considerazione che apre a nuovi e possibili scenari interpretativi sul diritto di appropriazione collettiva per la valorizzazione dei beni comuni: unica strutturale condizione che possa riuscire ad avvicinarci ad un felice divenire ecologico di prossimità.

La riflessione schematica che segue, si soffermerà sulla diverse specificità della proprietà privata (indiscutibilmente non naturale e da diversificare nella sua conformazione a dipendenza dell’oggetto trattato), proprietà concentrata sulla relazione rendita/plus-valenza/profitto, prodotta e difesa attraverso l’esercizio delle funzioni discrezionali del potere politico amministrativo. Esercizio di potere che, a sua volta, non potrà fare a meno di sottoporsi ad una re-azione antagonista di contropotere in difesa di una visione di proprietà collettiva implicita nella produzione dei beni comuni.

LA RENDITA DIFFERENZIALE MONOPOLISTA DELLE AREE DISMESSE.

L’URBANISTICA È UNA REGOLAZIONE DEL CONFLITTO ANTAGONISTA DI CLASSE SUL TERRITORIO. LA POLITICA RISULTA ESSERE UNA SCELTA “DI PARTE” NEL CONFLITTO.

Le aree dismesse (differenti tra di loro per storia e sostanza) sono quelle aree che, con il trascorrere degli anni, hanno subito un degrado causale innescato da differenti ragioni di interesse:
– cambiamento strutturale dei processi produttivi finalizzati alla rendita;
– spostamento della localizzazione per interessi di produzione capitalistici legati alla concorrenza, alla plusvalenza o a strategie di politica internazionale;
– innovazione dei paradigmi di urbanizzazione industriali/artigianali, della logistica e delle aree residenziali e commerciali;
– mutazione delle aspettative di capitalizzazione permesse dal cambiamento della destinazione funzionale dell’area di proprietà deliberata nella procedura di allestimento, prima dai Piani Regolatori (PR), poi dai Piani di  Governo Territoriali (PGT).

Per rendere più comprensibile la lettura del testo, utilizzeremo come esempio esplicativo le avventure tutt’ora in corso della città di Luino.  Questa facilitazione comporta, però, una analisi parziale sul fenomeno aree dismesse. Le aree dismesse del comune di Luino hanno, come causa del loro “declino”, solo due delle condizioni elencate: il cambiamento produttivo e quello logistico. Produttivo per la l’azienda Ratti; logistico per l’azienda Norfolk Line (ex Visnova) e per l’ente Ferrovie dello Stato. Tralasceremo la considerazione di altre aree già in fase di trasformazione: l’area dell’ex setificio Castelletto Ticino (oggi Lidl e…?), l’area ex calzaturificio Elio (via Beato Iacobino, albergo…?) e le fonderie Sanvito (?) e le aree ancora in standby come la IMF di Creva e la Fina di Voldomino. Aree in permanente trasformazione, su cui si potrebbero evidenziare ripetuti errori; invece, aree in standby su cui ci si augura di non ripetere gli stessi errori.

Sulle tre aree di proprietà considerate, non a caso strategiche per la loro posizione centrale, le differenti Amministrazioni Locali si sono sempre trovate in forte difficoltà politica e di relazione per la presenza di cause e poteri forti in gioco: profitti, occupazione e sensibilità del luogo per l’azienda Ratti, invece per le Ferrovie e della Norfolk Line per l’interesse sovralocale.

La scarsa autonomia decisionale della politica non è stata però neutrale, non ha mai nascosto la sua dipendenza con i poteri forti, dunque una rinuncia a comportamenti antagonistici: la politica, e di riflesso la comunità locale, hanno volutamente sempre affiancato queste tre differenti proprietà, assecondandole con investimenti di carattere culturale, politico e finanziario. Pensiamo ai costi pubblici sulla formazione professionale delle maestranze; alla costruzione e all’adeguamento condizionato delle infrastrutture: opere che hanno garantito lo svolgere dell’attività produttiva e l’aumento delle rendite. Costi sociali che, qualora venissero sommati ai pesanti disagi di vario genere gravati sulla cittadinanza -pensiamo ai diversi gradi di inquinamento ambientale, della salute e della occupazione intermittente (cassa integrazione e altro)-, potendoli quantificare, pagherebbero abbondantemente il valore reale delle aree, assegnando di fatto il reale diritto di proprietà fondiaria e uso collettivo alla città.

COSA SI INTENDE PER SCARSA AUTONOMIA E SCARSO CARATTERE POLITICO LOCALE? La scarsa autonomia e scarso carattere politico (e qui Luino può aiutarci a capire), vuol dire difficoltà di governo delle dinamiche dei processi di localizzazione economica; insomma scarsa lungimiranza e interazione. Una inadeguata inconsapevolezza sulla necessità e utilità di tenere a “freno” aspettative di mutazione e di interesse sulla funzione produttiva del capitale e sullo sfruttamento che questa funzione ha, per la propria formazione del profitto, sui processi di cooperazione sociale.

Diversamente: evitare di porre aspettative alternative di capitalizzazione alla proprietà (pensiamo alla rendita fondiaria) vuol dire, per la politica, “imporsi” delle volontà capaci di evitare regalie di monopolio e di plus-valenza, assegnazione di rendite differenziali attraverso un uso sconsiderato e discriminante degli strumenti di pianificazione (PR/PGT). Insomma, rinforzare quelle volontà politiche che vogliono educarsi a percorrere strade di distribuzione delle rendite e di forme di “democrazia diretta” incentrata sulla ricerca di coesione sociale e del benessere comune. Allontanare l’azione politica dalla formazione della rendita differenziale (privatizzazione e consolidamento della qualità strategica di un luogo), non fa altro che scongiurare la discriminazione economica dei privilegi. Condizione, oltretutto, contraddittoria alla logica concorrenziale tanto cara e difesa dal pensiero liberale, logica ritenuta unica e vera forza “motrici del mercato”.

Evitare la doppia regalia, l’assegnazione di nuove destinazioni urbanistiche, diventa una vertenza politica e un terreno di antagonismo sindacale “di parte”.

Primo: (caso della Ratti), qualora si fosse (stati) ancora in presenza di una potenzialità produttiva, vuol dire, creare una aspettativa di rendita e di plus-valenza fondiaria alla proprietà, una aspettativa capace di innescare un serio rischio di delocalizzazione e chiusura dell’attività e dunque una perdita di posti di lavoro.

Secondo (in tutti i tre casi luinesi): un esenzione totale del ristorno dei contributi di “produzione sociale” versati, da parte della comunità, in tutti gli anni dell’attività economica, sicuramente non risarcibili (ieri) nelle tassazioni o con lo scambio (oggi) di qualche standard qualitativo.

Agire in modo caparbio ed autonomo e con carattere politico, allora, vuol dire ricercare navigazioni possibili che possano diversamente e legalmente attraversare il quadro economico-giuridico-istituzionale: azione che può essere solamente legittimata conseguendo un nuovo equilibrio tra gestione pubblica e gestione politica.

Considerare coscientemente l’operatività discrezionale, possibile all’interno delle logiche quadro (legislazione e indirizzi pianificatori), richiede un necessario e supplementare processo di condivisione (gestione pubblica) da affiancare a quello consueto istituzionale (gestione politica). Richiede, l’introduzione di regole di base nuove, regole nella quale si possa strutturare, legittimare e governare, con un forte margine di consenso collettivo, il meccanismo interrogante e competitivo determinabile nell’esercizio della cooperazione sociale.  Una nuova forma di democrazia diretta, diversamente predisposta ad intercettare ed inquadrare legislativamente all’interno delle procedure pianificatorie, una nuova visione di (prossimità) ecologia/umana incarnata nella produzione e difese dei beni comuni. Una relazione, produzione/distribuzione/riproduzione solidale, collegata al pensiero e al significato giuridico della “funzione sociale sulla proprietà collettiva” scritto nella Costituzione Italiana.

CHE FARE (si può ancora fare?)

Bisogna agire politicamente su due fronti politici/culturali:
– istituzionale/giuridico;
– comportamento coscienzioso e ponderato della politica dello scambio (urbanistica contrattata) nell’uso degli strumenti pianificatori.

Primo.  Richiedendo una rivisitazione partendo da una applicazione differente del concetto di diritto della proprietà fondiaria. Il concetto di proprietà non può esulare dalla singola storia del fondo e rimanere immune dalle problematiche che legano il significato della funzione sociale all’emergenza climatica. Non può essere generalizzato. Un conto è l’applicazione del diritto di proprietà su terreni che rispondono al bisogno di utilità primaria (diritto alla casa), altro è l’applicazione su aree strategiche che, grazie ad una innovazione della visione e del pensiero pianificatorio, potrebbero raddrizzare il “destino di bene comune” della città. Luoghi con questa particolarità, non si possono lasciare consumare da speculative cavalcate finanziarie tendenti alla massificazione dei profitti, pertanto senza i presupposti affettivi caratterizzanti e rispondenti alla soddisfazione della funzione sociale.

Secondo. La politica dello scambio basata principalmente sull’incasso degli oneri di urbanizzazione e sulla convenzione contrattata degli standard qualitativi, può avere una doppia origine:
– la proprietà privata (singolo proprietario, scalata di operatori, oppure, semplicemente, operazione finanziaria) pre-determina, imponendo alla città, una funzione specifica dell’area, decisa con il solo scopo del profitto.

La proprietà, decide quale interesse di mercato vuole operare sull’area indipendentemente dai bisogni/desideri collettivi (“Luino. La politica dei desideri può essere una politica pericolosa?”) di Comunità. L’Amministrazione, come risposta, richiede una sostanza in cambio, sostanza che però non ha nessun comparabile riferimento, qualitativo e quantitativo, alla storia esistenziale/affettiva dell’area. Anche in questo caso, Luino, è l’esempio emblematico di questo comportamento. Nell’adozione e approvazione del PGT, l’Amministrazione in carica, ha volutamente posticipato la pianificazione delle aree centrali decorandole con un parziale riquadro d’indirizzo (in cui qualsiasi cosa può essere potenzialmente realizzata, ma su cui solo in pochi possono decidere), lasciando la città in aspettativa di “privati desideri” da sottoporre ad una contrattazione in data da destinarsi.

Luino, però, ha perso anche un’altra occasione. Il vantaggio di poter lavorare contemporaneamente su più aree, permettendogli di trasferire e concentrare i valori degli oneri e degli standard qualitativi sull’area più sensibile ecologicamente e paesaggisticamente (penso alla ex Ratti). Questa tattica, avrebbe permesso di agire all’Amministrazione con una maggiore e più convincente potenza nell’azione di condizionamento della proprietà. Invece, trattare le tre aree singolarmente, l’ha fatta inciampare nel gioco indebolito della singola contrattazione, cadendo così nel ricatto del “dare per avere” controllato dalla proprietà. Contrattazione che rischia, proprio per l’indebolimento, l’indebitamento finanziario qualora insista nel volere co-finanziare i differenti interventi nelle tre aree. Oppure, nella contrattazione dell’“avere”, assumere un profilo basso e rinunciatario per mancanza di disponibilità economica.

Questa impostazione del “saper scegliere”, che oggi sembra mancare (non solo a Luino), è figlia di una carenza di visione: una rappresentazione globale, producibile solamente attraverso processi strutturali e attivi di condivisione, che sappia integrare le dinamiche socio-economiche con un pensiero ecologico di prossimità.

oppure:

– l’Amministrazione individua e anticipa una possibile destinazione pianificatoria dell’area.

Destinazione che deve essere sottoposta obbligatoriamente a verifica, costretta all’interno delle contingenti richieste del mercato. Questo comporta sempre azioni di pianificazione e di mediazione urbanistica, evidentemente al ribasso. Questo succede solo quando i desideri dei due soggetti, pubblico e privato, sono entrambi predisposti a pensieri di sfruttamento immobiliare (residenziale, commerciale e servizi) e, si interrompono bruscamente, quando la decisione dell’Amministrazione si rivolge a considerazioni e funzioni sociali (beni comuni) che escludono sfruttamento e possibili ritorni di plus-valenza: boschi urbani, riqualificazioni degli ambienti fluviali, orti urbani collettivi e usi rigenerativi di interesse pubblico da svolgersi all’aperto. Forme sostanziali che non generano una rendita diretta, ma che possono aiutare a migliorare il clima dell’ambiente e qualificare la coesione sociale. Forme che richiedono, però, di fare una “scelta di parte”, affiancandosi sicuramente a quei saperi scientifici che, questa volta, non possono rifarsi a nessuna “ideologia tecnologica”.

Ed è proprio in questo momento che l’azione della pianificazione, atto fondante degli strumenti di ridisegno e di gestione del paesaggio antropizzato, deve poter svolgere il suo compito di potenza discrezionale (“di parte”); potenza legittimabile e giustificabile, purché supportata ed esercitata attraverso comportamenti di condivisione e di elaborazione indirizzati alla valorizzazione del bene comune.

Oggi come ieri, è proprio questa volontà politica che viene a mancare: una responsabilità politica capace, nei processi di mutazione delle città, di un agire condiviso e creativo per il bene comune.

Grazie a questa condizione, oggi a Luino, ci troviamo di fronte a desideri individuali e speculativi (“Luino. La politica dei desideri può essere una politica pericolosa?”) d’affrontare con un azione pubblica di sola mediazione:
– nella ex Visnova: co-finanziamento di un palazzetto in cambio di centri commerciali e residenze;
– nell’area ex Ratti: richieste di metri cubi di residenza e spazi commerciali nautici (o di qualcosa d’altro?) per una residua parte di area libera;
– con le Ferrovie dello Stato: concessione di un Park & Ride senza un adeguato sevizio trasporti; ecc..

POSSIAMO A LUINO ANCORA INVERTIRE LA ROTTA?

Forse. Forse facendo rallentare i processi (PGT) in corso, figli dell’abuso arrogante della delega politica (specchietti elettorali).

Come? Allestendo una agenda coordinata che apre laboratori seri e attivi, affidati a professionisti del settore, in grado di elaborare processi di relazione e condivisione che sappiano aiutare a concretizzare esperienze strutturate e strutturali di forme di autodeterminazione: nuove soggettività di cittadinanza attiva.

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