4 Marzo 2016

Frontalieri: tra possibili conseguenze dell’accordo Italia-Svizzera e contaminazioni economiche è l’equilibrio del territorio a vacillare

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(Diego Intraina) – Parlare di fasce territoriali caratterizzate dalla presenza della frontiera, vale a dire di due diversi regimi Statali, vuol dire analizzare e riconoscere eventuali condizioni dissimmetriche, realtà particolari che molto spesso determinano e subiscono forme particolari di dipendenza tra loro. Questi condizionamenti di dipendenza esprimono la loro sostanza di qualità, negativa o positiva che sia, incidendo nei contesti territoriali, contaminando le loro risorse materiali e immateriali, andando a determinare capacità o incapacità di reattività politica.

(linkiesta.it)

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La diversificazione territoriale si crea acquisendo il suo significato e valore dall’attenzione e risoluzione di due differenti forme di bisogno: il dare da una parte e il ricevere dall’altra; forme che purtroppo non sempre riescono a garantire momenti di equilibrio e, data l’immotivata naturalità, di conseguenza aprono a comportamenti di egemonia ingiustificata che, molto spesso, non riescono a controllare la prepotente invadenza della loro politica estera. Quando questa causale dipendenza funzionale viene trascurata, permettendole di svolgere le sue capacità auto-determinanti, non fa altro che assumere un ruolo territoriale, imprimendosi nel DNA dello stesso, andando così a condizionare tutti i processi di mantenimento e di trasformazione. Diventa così un territorio frontalierizzato determinandone la dipendenza: i suoi abitanti/lavoratori si trasformano in un frontalierato territoriale.

Ma tutto questo consolidamento prodotto da influenzate condizioni economiche esercitano pur sempre un equilibrio precario, una particolare sensibilità d’habitat difficilmente sostituibile, un humus sociale ed economico incapace di reazione, qualora si dovesse trovare di fronte a delle differenti e astratte imposizioni esterne incuranti di questa condizione unica.

Quando si parla di humus economico si intende un processo dinamico d’elaborazione legato a peculiari forme di pensiero, risorse immateriali che, trovandosi a dialogare con opportunità materiali intuibili o disponibili (potere d’acquisto salariale, percezioni della qualità della vita legate a particolari predisposizioni ambientali ecc.), determinano particolari bisogni o aspettative nel presente e nel futuro. L’aspettativa temporale e spaziale dei bisogni, con la loro ponderabile e sostenibile soddisfazione territoriale, diventa l’oggetto concreto che implementa la percezione e la sostanza della qualità della vita.

Dunque, questa categoria dell’aspettativa è legata a filo diretto con il territorio e diventa per l’abitante il principale elemento esistenziale, che vede la sua fondazione e soddisfazione nella corrispondenza che essa ha con le strutturate funzioni territoriali permesse dal sistema. Pertanto il territorio, qualora non riuscisse più a relazionarsi in modo osmotico con le aspettative, per l’avvenuta introduzione di logiche contraddittorie provenienti dall’esterno, che altro non fanno che interrompere il fragile e sensibile equilibrio esistente tra aspettative e territorio, andrebbe ad amplificare quelle condizioni di disagio oggi solamente calmierate grazie ad una distribuita e discreta presenza di risorse finanziare, influenzando negativamente il tasso di vivibilità territoriale.

Un territorio fragile e dipendente, come quello luinese, risulta essere carente di anticorpi, pertanto non può fare altro che subire incondizionatamente qualsivoglia intervento esterno: subire passivamente perché non abituato e strutturato a predisporsi autonomamente ad elaborare soluzioni dinamiche e alternative. Questo lo si può ben comprendere guardando le molteplici difficoltà che dimostra solamente nel proporsi come territorio turistico nonostante le altissime risorse ambientali a disposizione. Qualora si intervenisse a tassare le distribuite ricchezze individuali, limitandosi ad alterare solamente il sistema, si rischierebbe certamente di farlo cadere in una scontata condizione depressiva da cui difficilmente potrà uscirne senza lasciare dietro di sé molti cadaveri.

La caratteristica del tessuto sociale ha ormai assunto forme di dipendenza tali dallo ‘stato di fatto frontaliero’ che, per indirizzarlo nuovamente su orizzonti di sviluppo e d’indipendenza economica, non saranno sufficienti i dieci anni previsti dalla nuova imposizione fiscale a meno di affiancare, a questo breve periodo, nuovi e creativi innesti finanziari capaci di innovare la mentalità economica e imprenditoriale e garantire efficaci protezioni sociali di welfare state visto la facile previsione di calo occupazionale interna.

È difficile da credere che la nuova fiscalizzazione ‘romana’ imposta ai frontalieri e non un moderno federalismo fiscale (risorse che rimarrebbero principalmente nel territorio d’origine), potrà essere sufficiente a innestare, proteggere e condizionare un intero territorio frontalierizzato, il rischio sembra essere troppo alto.

I territori di frontiera non possono essere trattati come nel gioco del ‘Monopoli’ con gli imprevisti. Su questi territori vivono migliaia di persone che sono riuscite bene o male, grazie al loro lavoro oltre frontiera e all’indotto interno permesso dai salari di questa occupazione estera, a rispondere positivamente alle aggressive crisi economiche e occupazionali prodotte, anche con il contributo di quelle stesse classi dirigenti politiche ed economiche che, oggi, sembra vogliano pontificare sull’uguaglianza della tassazione, attraverso la solita e strumentale filosofia del ribasso, prendendo sempre come riferimento non una qualità della vita decente ma quella ingiustamente indecente – imposta dalle loro sconsiderate scelte economiche – in modo da poter velare o tuttalpiù giustificare le loro inefficienze.

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