(a cura di Matteo Toson) Nel pieno delle discussioni su smart working, congestione alle frontiere e futuro della mobilità, arriva l’ennesimo dato che conferma ciò che ogni mattina vediamo (e respiriamo) lungo i valichi del Varesotto: il 65% delle persone che attraversano il confine sono pendolari.
La survey riportata dalla RSI, pur su un campione limitato, fa eco a quanto emerso in numerosi progetti istituzionali, da Smart Border Luino a SMISTO, GovernaTiVa, Switch, UnDueTresa, fino ai più recenti SMILE e Blutresa.
Progetti che raccontano un’unica realtà: chi può, evita di muoversi con il trasporto pubblico. E non per pigrizia, ma perché l’attuale sistema è ancora troppo lontano da una mobilità comoda, condivisa ed efficiente.
Telelavoro: perché in Francia sì e in Italia no?
Uno dei temi più dibattuti è quello del telelavoro per i frontalieri, oggi limitato al 25% per chi lavora in Svizzera. Una misura tutta italiana, legata a una logica fiscale ormai anacronistica, che penalizza i lavoratori rispetto ai colleghi al confine con la Francia (dove il limite è il 40%). Un paradosso: si chiede sostenibilità, ma si impone la presenza fisica per convenienza tributaria.
Abitudini, comfort zone e 3 ore di viaggio al giorno
I dati dei progetti Interreg parlano chiaro: i lavoratori pendolari tra Italia e Canton Ticino spendono tra le 2 e le 3 ore al giorno in viaggio. Un salasso in termini di stress, produttività e qualità della vita.
Eppure, le alternative ci sono. Ma funzionano?
No. E il motivo è semplice: mancano soluzioni di interscambio veloci e attrattive. Molte aziende oltre confine sono situate in aree periferiche non ben servite. Il trasporto pubblico italiano è, spesso, tutto fuorché efficiente. E la libertà dell’auto privata resta il rifugio di chi vuole autonomia e flessibilità.
Il costo? Non è il vero problema
Un altro falso mito è che il costo dello spostamento sia determinante. In realtà, come dimostrato da Smart Border, un lavoratore frontaliere spende tra 1.800 e 2.500 CHF all’anno in mobilità: un impatto economico percepito come sostenibile, soprattutto se confrontato con chi lavora in Italia e per cui quei numeri rappresentano una tredicesima… quando c’è.
La guida autonoma non è fantascienza
Durante l’evento EUCAD al JRC di Ispra si è parlato di guida autonoma, di nuove generazioni che non sentono il bisogno di possedere un’auto, di un futuro dove il mezzo sarà servizio, non status.
È questo il passaggio culturale da accompagnare. Serve una transizione collettiva, e le aziende ticinesi possono (e devono) fare rete.
Soluzioni concrete: carpooling e parcheggi di interscambio
Una via è quella della condivisione intelligente dei mezzi: carpooling, vanpooling, navette aziendali. Le istituzioni possono fare la loro parte rendendo disponibili spazi come Ex Parigine, 5° Locale, o parcheggi dei supermercati per creare veri hub di mobilità.
In cambio, visibilità e fidelizzazione dei clienti. Win-win.
La mobilità del futuro parte da qui
Serve un cambio di passo culturale, infrastrutturale e politico. Serve che ogni attore faccia la sua parte: cittadini, aziende, enti locali. Serve soprattutto una visione comune: rendere lo spostamento quotidiano più umano, sostenibile e intelligente. Perché sì, in fondo al tunnel c’è luce. Ma perché non sia solo un fanale in faccia, dobbiamo essere noi a guidare il cambiamento.
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