Luino | 2 Aprile 2024

A Luino protagonista Bob Dylan con “Una carriera, molte vite”

L'appuntamento è per venerdì 5 aprile, presso Palazzo Verbania, alle ore 20.45, per un racconto in musica ed immagini in compagnia del gruppo "CheBand"?"

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Venerdì 5 aprile, presso Palazzo Verbania, a Luino, alle ore 20.45, si terrà “Una carriera, molte vite” , un racconto in musica ed immagini, in compagnia della “CheBand”?”, che farà scoprire ai presenti la storia di Bob Dylan, uno tra i più grandi e famosi cantautori statunitensi.

In questo racconto, tra musica ed immagini, “CheBand!?” (composta da Antonello, Antonio, Marco e Riccardo), propone di far conoscere un Dylan alternativo, diverso da quello stereotipato di una certa critica giornalistica italiana, che lo ha ridotto unicamente a menestrello, a tambourine man portavoce di una generazione (che però è esistita veramente con importanti conseguenze sociali e politiche).

Traendo spunto dal film del regista Todd Haynes, “Io non sono qui” del 2007, l’intento della “CheBand!?” è,
oltre al raccontare i suoi molteplici “attori”, quello di affiancare al racconto (cronologico, a differenza della pellicola di Haynes) una selezione di canzoni e filmati che possano stimolare l’interesse verso una conoscenza più ampia
dell’artista Dylan. Forse non solo dell’artista, ma anche e soprattutto della sua opera musicale iniziata nel 1962 e arrivata agli inediti pubblicati nel 2020: 60 anni di suoni e più di 600 canzoni autografe, rimaste impresse su una strada “soffiata dal vento”, cercando un “riparo dalla tempesta”… della vita. Proprio “Like a Rolling Stone”.

All’interno del film, Bob Dylan viene rappresentato in sette momenti distinti della sua vita. Nell’interpretare questi ruoli, si alternano in un contesto non cronologico sei diversi attori/personaggi che mettono in scena le innumerevoli trasformazioni con cui l’artista ha colpito l’attenzione dei suoi fans (e non solo) nel corso della sua carriera. Dal piccolo vagabondo di colore, emulo di Woody Guthrie sugli squallidi treni merci nella Grande Depressione americana, al folksinger osannato come portavoce delle lotte sociali nei primi anni ’60. Dal poeta maledetto, disilluso e pungente contro ogni conformismo, al rinnegato, contestato rocker anfetaminico dai testi dadaisti e surreali.

Dylan è stato anche il fuorilegge che rifugge dagli stereotipi e dagli incasellamenti di genere del pubblico e della critica, poi il cantante dei rimpianti, dei rapporti spezzati, delle psicoanalitiche conseguenze del proprio dolore e delle proprie colpe. L’artista del sarcasmo, intriso di debolezza, e poi ancora il fervente cristiano dedito alla proliferazione del verbo biblico e al proselitismo quasi fondamentalista. Insieme a queste maschere, ben rappresentate dai personaggi nel film di Todd Haynes, ce ne sarebbero molte altre ancora che hanno costellato i momenti più diversi della sua parabola musicale.

Un continuo e mai ripetitivo mettersi alla prova come in una sfida e in un duello contro la sua stessa genialità inconsapevole.
Una dimostrazione di metamorfismo che Dylan ha praticato su più livelli: nel timbro vocale, nell’approccio musicale, nella costruzione dei testi, nella capacità di assorbire e poi modificare nei modi più insospettati un’intera tradizione musicale popolare, quella del folk, ricristallizzata fino all’irriconoscibilità. E fino a valergli il premio Nobel per la letteratura nel 2016: “per aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della tradizione della canzone americana”.

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