Luino | 5 Luglio 2020

“Come eravamo”, i santini: fede, bontà d’animo e ingenuità

La Madonnna nera, Don Bosco, i santi locali come il Beato Jacopino. I segni distintivi, le collezioni e la catalogazione: un segno impresso anche nella comunità luinese

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(A cura di Giorgio Roncari) “Tè! Per voi chierichetti. Sono andato al santuario di Oropa e vi ho portato a casa un santino.” A regalarcelo era Don Giuseppe, il prete del mio paese che tanto ricordava Don Camillo con quelle manone che, senza bacillare troppo, faceva assaggiare ai più discoli in tempo di funzioni. “È la Madonna Nera, tenetela da conto che questa qui vi protegge la lingua, e recitate la litania che c’è dietro. L’è miracolosa e sulla sua faccia non si ferma mai la polvere… de bun!” precisava.

Una volta era usuale riportare qualche santino dai luoghi di culto per regalarli a parenti e amici, non costavano nulla, era un dovere morale, una forma di benevolenza verso gli altri, e chi lo riceveva si sentiva in qualche modo onorato perché “và! si è ricordato di me”.

Ora le gerarchie ecclesiastiche non sono più così bendisposte a questa forma di idolatria, ma in quel mondo profondamente religioso, i santini rispecchiavano la fede un poco ingenua della gente del tempo e avevano la funzione di preservare nella salute e proteggere dalla sventura. Molto apprezzate erano quelle immaginette che avevano incorporata una piccola reliquia, un pezzettino di stoffa del vestito del tal santo, un capello del tal altro, soprattutto dei più vicini nel tempo come Maria Goretti, o Don Bosco o Papa Giovanni anche se non erano ancora santi, oppure una scaglia di legno, o un briciolo di sabbia, o un piccolo petalo.

C’era chi ne faceva collezione, le infilava nei libretti di preghiera o nel messalino da tasca e conosceva a menadito ogni Santo dal suo personale segno di distinzione, la graticola per S. Lorenzo, l’asperges per S. Margherita, la ruota per S. Caterina d’Alessandria, il martello per S. Eligio, i guanti bianchi per S. Nicola.

Partendo da questo contesto iconografico i vecchi catalogavano i Santi in varie tipologie: quelli da palma, ossia rappresentati con il ramo di palma simbolo del martirio, soprattutto donne e tra le più famose S. Cecilia, S. Agnese, S. Barbara. Quelli da piatto come S. Lucia che presenta i suoi occhi su un bacile, oppure S. Apollonia, con i denti e la tenaglia che glieli ha strappati, S. Agata i seni, S. Giovanni battista la testa. Da fiore, la rosa di S. Rita e di S. Rosalia, il giglio di S. Antonio e di S. Giovanni. Santi guerrieri come S. Giovanna d’Arco, S. Giorgio, S. Vittore, S. Michele. Infine santi con animali come S. Rocco col cane, S. Antonio Abate col maiale, S. Patrizio coi serpenti, S. Scolastica con la colomba, S. Giorgio col drago.

Sul retro dell’immaginetta c’era sempre un’orazione o una giaculatoria che spesso dava la possibilità, recitandola un certo numero di volte o in determinate circostanze e luoghi, di ottenere un’indulgenza per i propri morti o anche per sé medesimi, allor quando si sarebbe passati a miglior vita. Insomma una specie di banca per l’anima da riscuotere, in caso di bisogna, nell’aldilà.

C’erano pure i santi locali, anch’essi con le loro belle icone, le loro peculiarità e i loro devoti. Così nelle nostre valli troviamo il Beato Alberto da S. Caterina del Sasso Ballaro che ebbe sempre una grande reputazione tra i fedeli i quali chiedevano qualsiasi protezione, dalla tempesta, alla salute, dai lupi, dalle frane, rivestendo i muri della chiesetta di ex voto. S. Nicone di Besozzo protettore contro le malattie del bestiame quindi importantissimo per il mondo contadino. Il Beato Jacopino da Luino venerato dalle partorienti e dai bisognosi e preservava anche dalla peste e dalle tempeste.

Poi Domenichino Zamberletti al Sacro Monte, il fratello del Ministro, morto ragazzino in odor di santità. Noi chierici andavamo a visitare la sua stanzetta museo dove ci raccontavano che mettesse un sassolino nella scarpa e ci camminava tutto il giorno perché voleva sentire il dolore causato dal chiodo a Gesù. Confesso che, per spirito d’emulazione, una volta ci provai anch’io ma rinunciai dopo trecento metri vinto dalle fitte.

E al Sacro Monte come dimenticare la Madonna nera alla quale si rivolgevano le donne sterili invocando la gioia di un figlio, come fece mia nonna dopo anni di tentativi, e le nacque mio zio, seguito subito dopo da mio padre. La madonna aveva “guardato giù” ma mia nonna, che nell’attesa aveva passato i quarant’anni, e all’epoca erano tanti per una donna, giudicò troppa la grazia e cominciò a pregare S. Andrea, quello che lascia il desiderio, ma per fortuna toglie l’energia.

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