Italia | 13 Maggio 2019

Il Giro d’Italia coinvolge un paese intero

Oggi la terza tappa, con partenza da Vinci per omaggiare il Leonardo, è andata al colombiano Fernando Gaviria. Ancora in rosa lo sloveno Primož Roglič 

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Quando la prima tappa di un Grande Giro è una cronometro, si respira sempre un’atmosfera particolare. Il pubblico sa di poter osservare tutti i corridori, uno ad uno, e di poter tifare per ciascuno di loro, indipendentemente dalla nazionalità o dalla squadra di appartenenza. È uno dei lati belli del ciclismo, questo: si tifa per tutti. E la gente che riempie Bologna, sabato 11 maggio, non si smentisce affatto. In centro si accaparra un posto il più possibile attaccato alle transenne e aspetta l’inizio ufficiale della centoduesima edizione del Giro d’Italia.

La tensione sul volto di Tom Dumoulin – il primo a partire e uno dei principali favoriti – è palpabile, nonostante il casco aerodinamico copra quasi completamente i suoi occhi. Vincenzo Nibali ha il cuore di tutti dalla sua parte, un po’ di più degli altri: ogni angolo di Bologna, nell’udire il suo nome o anche solo nel vederlo passare, sussulta ed esulta con un boato. Incarnare il sogno di tanti deve essere bello, ma altrettanto pesante, sebbene Vincenzo non lo dia mai a vedere.

Per tanti veterani, abituati – ma mai fino in fondo – a queste corse, c’è sempre qualcuno alla sua prima volta, come il giovane Giovanni Carboni, che imbocca via Rizzoli tra i primi big. Poco dopo inizia il suo primo Giro d’Italia anche il giapponese Hiroki Nishimura, ma è talmente teso che lo terminerà subito, giungendo al traguardo fuori tempo massimo. La testa può essere una benedizione, ma anche una maledizione, per le gambe: può farle girare anche quando tutto il resto del corpo non risponde più, ma, al contrario, può renderle dieci volte più pesanti. Non è un gioco, questo sport.

Benché infatti siano solo otto i chilometri da percorrere, quando dall’Arco del Meloncello si inizia a salire verso il Santuario di San Luca, le pendenze non mentono e non consentono di mentire. La strada si trasforma – come ogni salita che si rispetti – in una sorta di Via Crucis che mescola sacro e profano. Anche percorrerla a piedi, fermarsi sulle curve o sbirciare dagli archi che si aprono per tutta la lunghezza dei portici i ciclisti che salgono ansimando per la fatica, con il sudore che brilla forte sulla pelle e il tifo tutt’intorno, è un’esperienza forte, di quelle che si dovrebbero vivere almeno una volta nella vita, per cogliere la vera essenza del ciclismo.

Il sole tramonta piano piano, mentre anche gli ultimi arrivano in cima. È quasi buio quando, dopo quasi tre ore passate sull’hot seat, Primož Roglič indossa la prima Maglia Rosa, sorride felice e cerca continuamente con gli occhi la sua fidanzata, che lo ammira commossa da sotto al palco. Essere uno dei papabili per la vittoria finale e avere già il simbolo del primato sulle spalle sembra non pesargli affatto, in quel momento. Appare leggero, proprio come quando è in sella alla sua bici.

Dopo una prima giornata calda e assolata, la seconda tappa si apre sotto la pioggia. Il Giro d’Italia inizia così la sua discesa verso sud, prima di risalire, affrontare di nuovo il cronometro, le Alpi e giungere a Verona, per chiudersi correndo ancora contro il tempo.

La prima volata, sul traguardo di Fucecchio, incorona il tedesco Pascal Ackermann, mentre Elia Viviani, con la maglia tricolore di campione italiano, si piazza alle sue spalle per una minima esitazione di troppo.

Oggi dopo il via da Vinci, città scelta come sede di partenza per omaggiare Leonardo nel cinquecentesimo anniversario della sua morte, la corsa è proseguita in direzione Orbetello, dove ha trionfato Gaviria, con Roglič ancora in rosa.

Fino al prossimo 2 giugno, dunque, sarà battaglia per ogni tappa e per ognuna delle quattro maglie, da quella bianca di miglior giovane a quella blu di miglior scalatore (per ora sulle spalle del giovane Giulio Ciccone) passando per quella ciclamino, desiderata nuovamente da Viviani, per giungere ovviamente alla più ambita di tutte. Perché, come scrive qualcuno – e come ha detto Chris Froome l’anno scorso –  solo i veri uomini indossano il rosa.

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