Luino | 15 Ottobre 2018

Luino, “Contro la scuola”: le provocazioni di Riccardo Prando

Interessante il dibattito con il pubblico: l'insegnante e il giornalista di Prealpina ha dipinto un quadro del sistema educativo italiano che è a dir poco deprimente

Luino,
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È stato un pomeriggio di fuoco, quello di sabato 13 ottobre scorso alla biblioteca civica di Villa Hussy di Luino, in compagnia di Riccardo Prando. Un pomeriggio che, già a partire dall’argomento dell’incontro, si preannunciava caldo, ma che ha superato ogni aspettativa, perché finalmente c’è stato autentico dibattito, appassionato e appassionante, tra pubblico e autore, uno scambio di idee costruttive e interessanti, anche in contrasto con le tesi del relatore, che ha occupato quasi lo stesso tempo dedicato all’intervento di presentazione del libro “‪Contro la scuola: Perché opporsi a un modello educativo che privilegia la burocrazia a scapito della cultura. E riduce lo studente a numero”‬.

L’autore, insegnante e scrittore, nonché giornalista di Prealpina, ha dipinto un quadro dell’odierno sistema educativo italiano che è a dir poco deprimente, se non addirittura scandaloso. Una dopo l’altra ha lanciato una serie di provocazioni che, come pugnalate ben assestate da un killer professionista, hanno affondato la lama nel cuore della scuola, senza pietà per nessun grado di istruzione, dalla scuola primaria all’università, lanciando un “grido d’allarme di chi vede che in fondo alla strada imboccata dal nostro sistema scolastico c’è il baratro, ma nessuno sembra accorgersene”.

Più che grido d’allarme si è trattato del grido di dolore di un insegnante che “vede scivolare la scuola ogni anno di più verso la rinuncia ad insegnare, ad appassionare, a tirar fuori, a coinvolgere, a far amare non la materia in sé, ma il destino che passa attraverso lo studio di quella materia”. E allora ecco una mitragliata di considerazioni a tutto campo, dal confronto tra la scuola di 100 anni fa, che doveva preparare l’élite della nostra società, alla filosofia di oggi, che favorisce la promozione per tutti, in un ambiente “medicalizzato da uno tsunami di certificazioni che attestano le difficoltà degli studenti”.

Mostrando una diapositiva dopo l’altra, il prof. Prando ha approfondito, contestandole o confermandole, le tesi di altri docenti, dirigenti scolastici, psicologi ed esperti in materia. C’è chi sostiene che sapere le tabelline o la poesia sia roba antiquata: abbiamo dunque abdicato all’idea del sapere preferendo una scuola del saper fare? Perché chi si occupa di formazione manageriale ammette che la conoscenza della lingua italiana sia condizione sine qua non per accedere anche a quella tecnica? Perché la scuola si deve occupare di tutto, dall’educazione stradale a quella sessuale, comprimendo l’Italiano tra mille altre discipline, tanto da costringere le università a istituire corsi di grammatica per i laureandi? Stiamo diventando schiavi del tecnicismo? Insegnare l’uso del computer fin dalla scuola primaria è il modo migliore per disimparare a scrivere?

“Steve Jobs, il papà di Apple, si iscrisse ad un corso per imparare la bella grafia, che gli fu fondamentale per poi inventare i fonts giusti che ancora oggi si usano per scrivere al computer”. (Ma forse il relatore ignora che Jobs era dislessico e forse quel corso gli servì per aiutare chi come lui aveva difficoltà di lettura). La scuola da troppo tempo ha smesso di pretendere dai suoi studenti, diventando sempre più classista, perché chi se lo può permettere manda i figli a studiare all’estero o egli istituti privati, mentre per gli altri resta soltanto una deriva al ribasso. Sorge allora un tragico sospetto: forse chi governa, di qualunque colore politico si tratti, ha l’obiettivo di voler tenere basso il livello educativo del popolo per poter governare meglio. Infatti oggi il diploma di maturità non ha più alcun valore e non è facilmente spendibile.

Perché passiamo il tempo a proteggere i nostri ragazzi dai voti insufficienti pretendendo poi che vadano ad imparare la durezza della vita in azienda, durante i percorsi di alternanza scuola lavoro? Potrebbero impararla a scuola confrontandosi con un brutto voto. E che dire della Storia? La si elimina dalle tracce della Maturità e contemporaneamente si invoca il ritorno dell’educazione Civica come materia autonoma, ignorando che essa è trasversale a tutte le discipline. Nel 1923 il 75% degli studenti fu bocciato all’esame di maturità; oggi solo lo 0,4% viene respinto. Quindi ben il 99,6% dei nostri diplomandi ha la possibilità di prendersi il titolo di studio: “o siamo un popolo di geni oppure qualcuno sta barando e ci stanno vendendo per cultura ciò che cultura non è. Gli insegnanti sono il ventre molle della società, accettano qualsiasi cosa, pur di non mettersi in contrasto con i propri dirigenti”. Ha proseguito il prof. Prando, concordando con il politologo Angelo Panebianco, il quale si chiedeva se il nostro sistema educativo non fosse diventato un sistema diseducativo, che produce ignoranza anziché istruzione, incultura anziché cultura.

E della famiglia, che si dice? Per tanti genitori amare i propri figli significa eliminare dalla loro vita la fatica, ma educare significa anche imparare a dire dei no, che equivale, nel mondo della scuola, a mettere un’insufficienza, magari spiegando che lavorando insieme si potrà sempre rimediare. In questo quadro apocalittico, distruttivo e, per certi versi, autodistruttivo, sembrerebbe non esserci speranza per il futuro, invece, inaspettatamente e solo alla fine del suo intervento, forse per farci intendere di aver sparato a salve, il prof. Prando ha lanciato un messaggio di speranza: “La scuola asservita all’economia ha rinunciato ad essere se stessa, mentre si dovrebbe andare a scuola per imparare la Storia, le Scienze, l’Arte. Perché a 13 anni bisogna già essere in grado di pensare ad andare a lavorare? I ragazzi di oggi sono molto più immaturi di quanto eravamo noi e nessuno si è posto il problema di capire che nessun ragazzino di quell’età è in grado di scegliere la scuola superiore. Lo fa perché lo dicono i genitori, lo fa l’amico, perché gli piace disegnare… Diamogli dunque un po’ più di tempo”, perché, concordando con lo psicoanalista Massimo Recalcati, “si deve leggere una poesia come si accarezza un corpo; un vero maestro porta il fuoco in classe; dalla tristezza nascono le lezioni migliori.

Ecco: accarezzare, fuoco, tristezza. Tre parole che stanno in una: passione. Per il destino dell’altro, per il suo Desiderio di Infinito. Tutto maiuscolo. Perché solo se si possiede e si trasmette questo desiderio (de-sidera: tendere alle stelle) si in-segna”.‬‬

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