Maccagno con Pino e Veddasca | 18 Novembre 2017

Maccagno, il noir si tinge di giallo all’ombra della Madonnina

Giovedì sera al Punto d'Incontro è stato presentato “Squillo di morte a Maccagno”, terzo romanzo del musicista, compositore e scrittore di noir Marco Marcuzzi

Tempo medio di lettura: 3 minuti

“L’arte del vivere è simile al farsi un caffè buono. Purezza dell’acqua come dell’anima, ricchezza di aroma come di esperienza. Poi, imparare a gustare. Senza fretta, senza aspettative, qualora ogni volta, quel caffè, fosse l’ultimo”. Queste la parole che introducono “Squillo di morte a Maccagno”, terzo romanzo del musicista, compositore e scrittore di noir Marco Marcuzzi.

Giovedì 16 novembre scorso, al Punto d’Incontro l’autore ha presentato questa sua ultima fatica letteraria intervistato da Sibilla Clerici, “ispiratrice della felinosofia del romanzo”. Sì, perché in questo libro non si parla soltanto di un delitto, ma anche i gatti, di auto, di moto, di caffè, di musica e naturalmente del lago, con i suoi luoghi mistici e poetici, il tutto condito con un’accurata miscela di “cinismo e poesia”.

Lato romantico che si svela soprattutto nel rapporto tra il commissario Florio, protagonista del libro, e la sua gatta Cleo, che con il solo sguardo gli faceva intendere il suo desiderio: “Non sei mai sazia, neanche di primo mattino”. Le sussurrava Florio avvicinandosi e tornando a gettarsi con lei nel letto. Cleo è il suo amore di gatta, l’unico essere vivente che probabilmente il commissario ama; passione condivisa soltanto per la sua Citröen DS Pallas del 72, “un’auto dagli occhi di gatto illuminati di giallo”. Ma l’investigatore prova anche un sentimento di compassione verso la Moto Guzzi Falcone rossa del ’54 di proprietà della vittima, una povera creatura che probabilmente non avrebbe avuto eredi e per la quale Florio, una volta concluse le indagini, “avrebbe fatto in modo di entrarne legalmente in possesso prima che finisse ad arrugginire in qualche deposito con agganciata la scheda di sequestro, come i cadaveri all’obitorio”.

Durante la simpatica chiacchierata Marco Marcuzzi ha progressivamente svelato la personalità dell’apparentemente cinico protagonista: “Io non farei mai il commissario, perché questo mestiere ti divora l’anima. Il Commissario Florio ha una compagna, ma è assolutamente marginale e forse non ne è nemmeno innamorato: il suo rifugio sono la moka, la gatta Cleo e la sua Citroen Pallas. Cose quasi puerili, dove ‘Puer’ è da intendersi come la parte più sincera e originaria di ognuno di noi”. In questo suo modo di scrivere “ritmicamente in modo musicale”, lo scrittore inserisce innumerevoli variazioni sul tema del caffè, ossessione che Florio condivide con il fido ispettore Sciavino, napoletano doc: “Il caffè non m‘innervosisce, se è caffè. M’innervosisce se fa schifo”.

Ecco allora che, a partire dalla caffettiera elettrica che sveglia ogni mattina il commissario annunciandogli il caffè con la voce di un pappagallo napoletano e il suono di un mandolino, si passa attraverso i “gargarismi slabbrati” di una vecchia caffettiera ossidata, intasata, di sottomarca e ciofeche con “intenso retrogusto di muffa”; dal caffè bevuto in odiosi bicchierini di plastica, a minacciose macchinette elettriche con le cialde.

Insomma, inseguendo il sogno di un caffè 100% arabica, dai chicchi contenuti in sacco di iuta, preparato con una Moka originale da nove tazze, macinacaffè in vetro, con tutta la ritualità napoletana che tanto ricorda il grande Eduardo De Filippo, i due investigatori esplorano un paesaggio nel quale il lago, con “l’umido e la bruma” che lo caratterizzano, mitiga la crudeltà degli avvenimenti narrati. Pennellate di poesia per descrivere i monti, i vicoli del paese, quella luna che, in quella sera d’agosto in cui si compie il delitto, “aveva terminato la sua parabola scomparendo come una moneta nel salvadanaio”.

Ma anche un universo sonoro e una dimensione olfattiva che s’intrecciano in un testo scorrevole e dominato dai dialoghi serrati, quasi fosse già “pensato” come una sceneggiatura pronta ad essere trasformata in film. “A Maccagno Superiore ci sono ancora delle pietre che m’ispirano queste storiacce. – Ha raccontato Marcuzzi – Tornando da Ascona molti anni fa vidi per la prima volta il santuario della Madonnina della Punta e pensai che questo avrebbe potuto essere un luogo da omicidi. E forse, nell’isteria psichica tra scrittura e musica che mi pervade, c’è una ragione esoterica che mi ha spinto a suonare proprio lì, in occasione di un concerto, la scorsa estate”.

In questo romanzo si respira tutta la sacralità del luogo, che custodisce l’antico e logoro organo “ragnatela di leve, tiranti e valvole”, quasi fosse un corpo umano moribondo, sul quale sta per intervenire la mano dell’organaro, come un chirurgo che opera con perizia, attenzione e amore, per rimuovere una canna malata, “sfilata come un dente marcio”.

L’autore ironicamente e umilmente afferma di essere passato dal genere noir, dove non sempre la giustizia trionfa, al giallo unicamente perché spinto dall’Editore Macchione, ma senza dubbio questo libro rappresenta un’autentica dichiarazione d’amore verso i nostri luoghi, che sicuramente non potranno competere con Venezia, Firenze, o le colline del Chianti, località dove Marcuzzi ha vissuto in passato, ma, ripensando alle emozioni, “non era la stessa cosa… mi mancava qualcosa… perché il lago m’intriga…”

© Riproduzione riservata

Vuoi lasciare un commento? | 0

Lascia un commento

"Luinonotizie.it è una testata giornalistica iscritta al Registro Stampa del tribunale di Varese al n. 5/2017 in data 29/6/2017"
P.IVA: 03433740127