Luino | 2 Settembre 2017

Maggior tassazione per i frontalieri? La politica punti a migliorare la qualità della vita

Dopo l'incontro con l'onorevole Borghi il tema non è stato affrontato durante l'estate luinese. Una visione che potrebbe essere un buono spunto per gli amministratori

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Il tema dei frontalieri, dopo alcuni incontri in cui sono intervenuti personalità e politici di spicco sul nostro territorio, nel corso di quest’estate, è stato marginale al dibattito socio-politico della comunità luinese. Proprio per questa ragione, oggi, a fare nuovamente il punto della situazione, dopo la conferenza di Germignaga, dove è intervenuto l’onorevole Enrico Borghi, è Diego Intraina.

Intraina, forte della presentazione dell’Osservatorio, avvenuta giovedì scorso, e che punta a coinvolgere cittadini, associazioni e partiti, affinché vengano, appunto, “osservati” tutti gli aspetti della comunità che generano interesse nella comunità, analizza la situazione riguardante i frontalieri.

Ecco il suo testo.

Sono ormai passate alcune settimane dall’incontro organizzato dal Partito Democratico a Germignaga sulla “questione frontalieri” e, purtroppo come spesso succede, nessuno ha replicato o contribuito alla discussione. Vale allora la pena di rivisitare quella giornata, e lo facciamo aiutandoci con una considerazione: innovare si lega alla capacità di adottare una diversa prospettiva di analisi dei problemi.

Dopo aver ascoltato l’Onorevole Enrico Borghi sulla necessità di dover inquadrare e affrontare la questione dei frontalieri con una chiara visione territorialista non possiamo che essere d’accordo con lui.  Stabilire di percorrere una visione di questo tipo vuol dire però riconoscere e rivisitare l’importanza che viene ad assumere il significato dell’autonomia territoriale: spirito e forma, nonché vero motore dello sviluppo economico di un particolare territorio.

Però, parlare di autonomia vuol dire anche che in questi territori è arrivato il momento di iniziare un cammino fatto con le proprie gambe, e che la presenza dello Stato e delle Regioni si limiterà ad esserci finanziando le voci strategiche di interesse nazionale (istruzione, sanità, trasporti ecc.) e ad intervenire, qualora ce ne fosse bisogno in determinati momenti, attraverso azioni di sussidiarietà compensativa ai comuni con particolari disagi ambientali. Decidere di investire in una visione territorialista vuol dire ricercare soluzioni nuove, paradigmi economici partendo dalle opportunità o risorse offerte dai luoghi stessi.

In questi territori di frontiera la differenza del reddito prodotta dal lavoro di frontalierato è sicuramente una di queste possibili opportunità. Però, quando si parla di autonomia, non si può evitare di pensare a soluzioni che annunciano strumenti vicini al più volte preannunciato e sempre dimenticato federalismo fiscale. Ma, di conseguenza, anche a comportamenti e strumenti istituzionali che riescano a garantire l’autogoverno delle città, andando a ripensare e garantire un’efficace e attiva partecipazione popolare, un vero patto di cittadinanza nelle fasi politiche e deliberative, oltre che in quelle di gestione dei beni.

Pensiamo a processi di condivisione capaci di immettere innovazione, azioni attive di creatività sociale che sappiano dialogare e interagire con le opportunità territoriali e svolgere le necessarie attività di controllo democratico. Ma tutto questo lo vediamo possibile solamente spingendosi oltre all’attuale e limitato concetto della rappresentanza.

L’approccio territorialista accentra dunque la visione e la discussione, sembra essere la soluzione corretta per evitare di alimentare pensieri che possono spingere e schiacciare i territori verso alle sole politiche di sussistenza. Questa impostazione territorialista, evidentemente non autonomista, dovrà pertanto anche riflettere sul come procedere nell’individuare gli ambienti più adatti per articolare tali studi socio-economici e quali Enti, singolarmente o collegialmente, dovranno deliberare le decisioni e governare l’intero processo.

Pensiamo soprattutto alle complesse criticità che non si possono fermano sui confini comunali. Condizioni dove incombe una necessaria e chiara individuazione di ruoli e di comportamenti tra i singoli Enti. Di conseguenza, una predisposizione di strumenti che facilitino non solo una regia di coordinamento interna, ma anche continue forme di condivisioni con la società civile allargata.

Insomma i percorsi e i comportamenti del come fare: chi, con chi, per chi e dove. Per affrontare con sensibilità territoriali la questione dei frontalieri e uscire dalle parziali interpretazioni argomentative, che avrebbero schiacciato il dibattito all’interno di problematiche individualistiche legate al solo reddito familiare e alle disparità e disuguaglianza all’interno della popolazione, si è dovuto riportare il dibattito cercando di ripensare il territorio come ad un vero soggetto che ha delle proprie e particolari peculiarità che interagiscono e condizionano la vita dell’intera popolazione.

Se è vero che per il territorio il potere d’acquisto salariale del lavoro di frontalierato ha una sua incidenza e una sua importante valenza economica, oltre che un indotto sociale distributivo, è pur vero che l’eventuale possibilità di introdurre politiche ambientali all’interno di quelle distributive, ovvero sensibili e nuove visioni di sussidiarietà, potrebbero portare a migliorare le generali condizioni della qualità dell’ambiente e della vita di tutti gli abitanti e pertanto anche quella dei lavoratori frontalieri.

La discussione però, prima e ancora oggi, stenta a partire e non sembra facile portarla all’osservazione di nuove prospettive di sviluppo. Si chiede dunque uno sforzo politico aggiuntivo, intellettuale ed esperienziale, capace di concentrare l’osservazione sul come e sul cosa si dovrebbe fare per sostituire questo particolare paradigma economico distributivo costruito prevalentemente intorno ai consumi diretti dei lavoratori frontalieri.

E come?

Individuando e introducendo nel territorio politiche che possano compensare le eventuali tassazioni, reinterpretando i servizi rendendoli efficienti, efficaci e capaci di ridurre le indotte spese strutturali e i disagi che le famiglie dei frontalieri (e non solo) devono quotidianamente affrontare. Questo vuol dire contribuire ad alleggerire la proposta di fiscalizzazione con la formazione di un tesoretto (extra-gettito) da rinvestire nei territori di provenienza (come è stato richiesto e approvato alla Camera dei Deputati).

Investire in servizi che riducono le reali e individuali spese famigliari e che vadano così a migliorare la reale percezione della qualità della vita. Una distribuzione che però potrà solo avvenire qualora si vada ad interagire per diminuire i reali costi quotidiani che pesano sui bisogni primari.

Ma questo vuol dire essere, politicamente ed amministrativamente, preparati e capaci di “guardare indietro”; capire quali sono i reali bisogni della gente, ed essere capaci di fare “scelte di parte” allontanandosi da tutte quelle forme di desiderio che non rispettano i livelli della giusta sobrietà e sostenibilità. Evitare di andare ad investire in strutture che vanno ad implementare, nei bilanci comunali, i costi di gestione senza aver prima individuato e soddisfatto le reali priorità che condizionano l’esistenza sensibile della popolazione.

Pensiamo a priorità legate alla mobilità territoriale sempre più costosa e dunque insostenibile finanziariamente ed emotivamente: caotica quella individualizzata e inefficiente quella pubblica; pensiamo ai servizi alla persona: anziani, infanti e persone con disagi fisici e mentali caricati prevalentemente sulle spalle delle singole famiglie; pensiamo alla salute, sempre più interpretata e sbilanciata sulla sola struttura sanitaria, a sua volta sfiduciata e alla ricerca di soluzioni che foraggiano sistemi e strutture private, con evidenti costi supplementari diventati necessari per affrontare problemi di lungaggine inappropriata; pensiamo ai costi aggiuntivi che le famiglie devono sopportare per la lontananza di questi territori dalla formazione universitaria e non solo; pensiamo anche all’occupazione giovanile e al loro difficile inserimento. Inserimento che potrebbe essere affrontato in questi territori con vere politiche di dialogo e strutturali, che potrebbero caratterizzare i territori transfrontalieri come distretti economici unitari, partendo dalla parificazione e collaborazione attiva tra i centri di formazione professionale e aziendali insubrici; ma pensiamo anche al diritto alla casa; ecc…

Ma delle domande aleggiano nell’aria. Una domanda che espone tutta la sua preoccupazione e che deve pertanto essere fatta per non rinunciare alla questione territoriale è questa: deve venire prima la discussione e l’applicazione sui comportamenti istituzionali/amministrativi capaci di esperienze generative, oppure si può benissimo anticipare questa rifondazione democratica, con parziali soluzioni tecniche di tassazione che mettono le problematiche territoriali in secondo piano o temporaneamente da parte?

Ponendo al primo piano, la seconda soluzione, quella della tassazione, siamo sicuri che si riuscirà a garantirà la sopravvivenza dell’attuale equilibrio in attesa dell’applicazione della prima fase, quella di un nuovo riassetto sociale ed economico territoriale? La nostra politica riuscirà a sopravvivere nell’esercizio temporale delle due fasi, sapendo di dover rincorrere e recuperare sulle aspettative provocate dai pregiudizi fortemente motivati ad increspare qualsivoglia buona intenzione politica?

La politica locale, le istituzioni locali e l’intera società civile sapranno, in breve tempo, ribaltare la tendenza comportamentale per avviarsi verso percorsi di governo delle città che mettono al centro le buone pratiche amministrative: forme nuove di partecipazione, di condivisione e di deliberazione capaci di dialogare empaticamente e collettivamente con quel patrimonio di creatività presente nella articolata società civile. Comportamenti indispensabili per intercettare e trasformare, per l’appunto, quelle creatività sociale in vere e proprie opportunità di civiltà e di sviluppo territoriale.

Questo percorso politico è effettivamente complesso e difficoltoso, ma è ormai maturo. Anche all’interno del Partito Democratico si sta discutendo di un cambio di passo, ed è stato recentemente confermato che è ormai arrivato il momento di percorrerlo senza se e senza ma.  Fare cambiamenti territoriali radicali è nello stato delle cose della storia umana, ma è pur vero che le nostre attuali consapevolezze e conoscenze ci invitano alla prudenza e, molte volte per il bene delle persone, ci consigliano di ponderare con più attenzione l’applicazione delle soluzioni individuate in momenti più maturi.

Come e cosa pensano gli amministratori. Non possiamo finire questa riflessione senza interagire con gli interventi di alcuni amministratori presenti all’incontro. Interventi centrati sulla sola preoccupazione, forse con qualche ragione, rispetto ai tagli del governo centrale, interventi che però, in quella serata, sono parsi perlomeno fuori tema e non contributivi. La stonatura, se di stonatura si può parlare, è che nell’incontro non si stava discutendo di tagli alle amministrazioni ma, caso mai, i rappresentanti del governo stavano annunciando l’arrivo nelle casse comunali di un possibile extra-gettito ben superiore ai ristorni attuali.

Se dunque questa era la novità, in quella serata sarebbe stato più opportuno richiedere, invece di esternare le consuete preoccupazioni, di poter conoscere, in tempi relativamente brevi, la reale quantità di questo extra-gettito. Conoscenza indispensabile per capire l’entità e l’opportunità offerta e dunque stabilire se “era meglio quando si stava peggio”: se la soluzione extra-gettito poteva essere alternativa al paradigma economico attuale basato sui consumi.

Diventa indispensabile conoscere di cosa si stia parlando per poter decidere nel merito. Conoscere l’ammontare dell’extra-gettito permette alla comunità territoriale di iniziare a verificare e concretizzare le possibilità di un ridisegno delle strategie (alternative) comportamentali e politiche distributive inerenti ai servizi sopra accennati.

Dunque questa risulta essere la domanda finale: tutto il territorio e non solo i bilanci comunali beneficeranno con l’annunciata tassazione?

Anche il neonato Osservatorio potrà svolgere un ruolo importante e lo farà a modo suo: interagendo e interrogando il territorio, mettendo al centro delle plurime osservazioni ottenute attraversando i diversi ambiti tale domanda, cercando così di individuare maggiori relazioni possibili tra le potenziali disponibilità umane e le opportune connessioni materiali.

È inutile ricordare che solamente con programmi d’intenti trasparenti e sostenibili di pianificazione territoriale, programmazione economica e relazioni umane si può permettere ai lavoratori frontalieri di condividere o meno una politica governativa di “ulteriore tassazione” per una nuova opportunità (ri)distributiva.

(Foto © cdt.ch)

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