29 Ottobre 2014

Italia, ok del Senato al ddl sulla diffamazione, ora il voto va alla Camera. Ecco cosa cambia

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L’Aula del Senato dà il via libera al ddl sulla diffamazione. I sì sono stati 170, i no 10 e 47 gli astenuti. Il testo torna ora alla Camera. Stop al carcere per i giornalisti, introduzione del diritto dall’oblio oltre a quello di rettifica ed estensione delle sanzioni pecuniarie anche per le testate online. Sono questi alcuni dei punti principali del ddl sulla diffamazione a mezzo stampa.

(vendocom.it)

(vendocom.it)

Stop al carcere per i giornalisti. E’ questa la novità principale del provvedimento che, sostituisce, per chi diffama a mezzo stampa, la pena detentiva con una sanzione pecuniaria fino a 10mila euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato falso, la cui diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della sua falsità, la multa va dai 10 ai 50mila euro. La rettifica, se conforme a quanto prevede il testo, sarà valutata dal giudice come causa di non punibilità sia per il direttore responsabile sia per l’autore dell’offesa. L’interdizione da uno a sei mesi dalla professione, con un emendamento approvato oggi in Aula, è prevista solo nei casi di recidiva reiterata.

La pubblicazione di una rettifica dell’articolo diffamatorio. Il direttore o, comunque, il responsabile deve pubblicarla gratuitamente, entro due giorni dalla ricezione della richiesta, senza risposta, senza commento e senza titolo e menzionando titolo, data e autore dell’articolo da rettificare. L’obbligo di rettifica vale per quotidiani, periodici, agenzie di stampa, nonché nelle testate giornalistiche online, che invieranno la rettifica agli utenti che hanno avuto accesso alla notizia cui si riferiscono. La rettifica non va pubblicata se hanno contenuto suscettibile di incriminazione penale o se sono documentalmente false. Fermo restando la rettifica l’interessato può chiedere ai siti internet e ai motori di ricerca l’eliminazione dei contenuti diffamatori o dei dati personali trattati in violazione della legge. In caso di rifiuto lo stesso può chiedere al giudice di ordinare la rimozione.

Tra gli emendamenti approvati oggi anche quello che scoraggia le querele temerarie. La modifica, a firma di Felice Casson e sul quale la relatrice Rosanna Filippin (Pd) ha chiesto e ottenuto una riformulazione prevede che, su richiesta del convenuto, il giudice, con la sentenza di rigetto, possa condannare al pagamento di una somma (non specificata) in via equitativa chi ha agito in sede di giudizio in malafede o con colpa grave. Ugualmente, il giudice può condannare ad un risarcimento ‘equitativo’ il querelante, se risulta la temerarietà della querela.

Fuori dei casi di concorso con l’autore del servizio, il direttore o il suo vice non rispondono più “a titolo di colpa” a meno che il delitto non sia conseguente alla violazione dei doveri di vigilanza della pubblicazione. La pena è in ogni caso ridotta di un terzo mentre è esclusa la pena accessoria dell’interdizione dalla professione. (ANSA)

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