30 Marzo 2014

Dalla Turchia alla Francia, i “diversi” rischi al voto per Erdogan ed Hollande

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Da una parte la Turchia che va oggi al voto, temendo brogli ed avendo tante perplessità sulla tenuta del leader Erdogan. Nelle ultime settimane, infatti, la Turchia è stato un turbinio di scandali, veleni e decisioni drastiche da parte di Erdogan, per bloccare il clima di protesta rovente nei suoi confronti. Dall’altro, invece, il banco di prova che sarà costretto a superare Hollande è quello del secondo turno delle elezioni amministrative, con la grande avanzata del Front National e dell’Ump.

(daveberta.ca)

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Dopo una campagna elettorale regnata da scandali, da “violenza” e da veleni, la Turchia va al voto con l’incertezza del futuro politico del proprio premier Recep Tayyip Erdogan. La popolazione, con tutta probabilità, aspetterà l’esito del voto amministrativo per constatare la “forza” del suo potere. Queste elezioni, così, si sono trasformate in un referendum sul “sultanato” di Erdogan, al potere da 12 anni, e il suo futuro potrebbe essere in bilico, perché accusato di corruzione, autoritarismo e nepotismo. Erdogan ha annunciato che lascerà se il suo partito islamico Akp non sarà più la prima formazione del paese. Una scommessa a prima vista facile, ma non sono esclusi colpi di scena.

Alle politiche del 2011 l’Akp ha ottenuto il 50%, il principale partito di opposizione, il Chp di Kemal Kilicdaroglu, il 25,9%. I sondaggi, poco affidabili, danno al partito islamico fra il 30% e il 48%, e fra il 25 e il 33% al Chp, a seconda del grado di vicinanza al potere. Una sconfitta del partito islamico sarebbe un vero e proprio terremoto elettorale. “Erdogan è ferito mortalmente, ma non dovrebbe cadere subito”, pronostica il politico Ahmet Insel.

La battaglia per il controllo di Istanbul sarà con ogni probabilità determinante. La megalopoli del Bosforo – dove Erdogan fu eletto sindaco nel 1994 iniziando la sua irresistibile, finora, ascesa politica – è la chiave di ogni elezione in Turchia. “Chi conquista Istanbul, prende il Paese”, ripete lo stesso Erdogan, che ha chiuso la campagna con ben cinque comizi a Istanbul, promettendo uno “schiaffo” all’opposizione domani nelle urne. I sondaggi danno un testa a testa fra l’uscente, l’islamico Kadir Topbas, e il popolare candidato dell’opposizione Mustafa Sarigul. Il Chp spera di strapare all’Akp anche la capitale Ankara, in mano all’uscente Melih Gokcek da 20 anni. Una sconfitta nelle due più grandi città del Paese sarebbe difficilmente superabile per Erdogan e potrebbe innescare una rivolta interna nell’Akp.

La Turchia “europea” guarda con speranza e angoscia al voto. Se Erdogan dovesse vincere, “contiamo i giorni fino a un regime islamico autoritario”, scrive l’analista Mehmet Yilmaz. Il premier ha già annunciato per dopo le elezioni nuove misure autoritarie: poteri speciali per i servizi segreti, nuove norme sul controllo della giustizia, il possibile blocco di Facebook dopo Twitter e Youtube, dopo settimane di rivelazioni compromettenti – corruzione, abusi di potere e altri panni sporchi del regime, una ‘Wikileaks alla Turca’ ha scritto Zaman – su Erdogan e il suo governo. “Queste elezioni sono diventate una questione di sopravvivenza per il premier”, scrive su Hurriyet Barcin Yinanc: “Una sconfitta rischia di aprire un processo che potrebbe perfino portarlo in carcere”.

Il premier turco si è così lanciato da un mese in una campagna alla disperata contro tutti per compattare il voto islamico e conservatore, denunciando “complotti” contro di sé, contro l’Islam, contro il Paese, orchestrati dall’ex alleato Fetullah Gulen con l’appoggio delle “lobby” e potenze straniere. Con l’obiettivo di lavare con un successo elettorale le pesanti accuse di corruzione. L’immagine interna e internazionale del premier turco – fino a due anni fa “grande leader” emergente del Medio Oriente – sembra però irrimediabilmente appannata. Il leader dell’opposizione Kemal Kilicdaroglu lo ha ribattezzato “Dittatore” e “Primo Ladro”, promettendo che quando arriverà al potere lo trascinerà davanti alla giustizia. Comunque vadano le elezioni di domani, la Turchia sembra avviata verso una fase di forti turbolenze politiche, che potrebbero rendere ancora più complicata una già fragile situazione economica, in un Paese che fino a due anni fa viaggiava a ritmi di crescita “cinesi”.

(ouest-france.fr)

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In Francia, invece, la situazione è totalmente diversa. La settimana nera del Partito socialista e della maggioranza di gauche si conclude con un ballottaggio che sembra già scritto nel suo esito: il Front National di Marine Le Pen, che l’altoparlante mediatico di questi giorni ha rafforzato oltre i suoi meriti, va alla conquista di municipi strappandoli alla sinistra e alla destra. La destra dell’Ump, benché ancora alla ricerca di un leader, può vincere oppure stravincere. La vittoria si misurerà con il numero di città medio-grandi, le uniche che contano davvero, che passeranno nel campo della destra, che nel 2008 ne aveva perse 90. Se saranno 100 già si parlerà di grande impresa, 120 sarà un trionfo, ma alcune ipotesi arrivano a 160, un’ipotesi che vedrebbe i socialisti letteralmente sprofondare. Nessuno, poi, osa pensare allo scenario di una sconfitta a Parigi, dove la candidata della gauche Anne Hidalgo si è fatta sorpassare al primo turno ma dovrebbe farcela per il gioco del peso specifico degli arrondissement.

Quanto al Front National, la sua partita è di fatto già vinta, le imprese storiche sono state quelle della conquista di Henin-Beaumont già al primo turno e del sorpasso a Marsiglia sul candidato socialista. Restano da conquistare cinque o sei municipi, fra i quali Forbach in Mosella, Perpignan nel sud e addirittura Avignone, per completare la grande impresa. Che rappresenta il viatico migliore, e forse insperato, per le europee di maggio, dove il Fn, unica voce che chiede l’uscita dall’euro in Francia, diventerebbe addirittura il primo partito in Francia. Ovviamente con il proporzionale, che viene rispolverato soltanto per le europee. In cerca di sdoganamento europeo, Marine Le Pen moltiplica le dichiarazioni da “statista” e ieri addirittura Le Monde le ha regalato un’insperata ribalta, in cui la bionda leader, fotografata con maestria, ha potuto spiegare che il Fronte nazionale è ormai una forza “di governo”.

I socialisti sono in balia di se stessi ormai da giorni ed hanno tentato di minimizzare la batosta dei risultati di domenica scorsa. Tutti parlano di rimpasto imminente e inevitabile, già da lunedì prossimo, con il primo ministro Jean-Luc Ayrault vittima sacrificale predestinata. Ayrault, impopolare quanto Hollande e legato al presidente da un patto di assoluta fedeltà, è però determinato a vendere cara la pelle. Non vuole lasciare palazzo Matignon, tanto meno al suo acerrimo nemico Manuel Valls, dai più indicato come l’elemento in grado di restituire popolarità alla gauche. Ayrault sostiene che il ministro dell’Interno Valls, esponente della destra liberale del Ps, è l’esatto contrario di quello che serve. Il premier chiede ministri più di sinistra, ecologisti e qualche comunista per imprimere una sterzata “a gauche” al governo. E con questi fa fronte comune, tanto che la ministra della Casa, la Verde Cecile Duflot, ha già fatto sapere che in un governo Valls lei non resterebbe. Tutti apparentemente concordi, invece, sullo sbarco nel governo di un peso massimo come Segolene Royal, anche se già qualcuno mette in guardia contro la sua ingombrante personalità ed esuberanza.

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