Alleghiamo di seguito la lettera con cui il consigliere comunale luinese Furio Artoni interviene sulla notizia dell’emendamento alla legge di bilancio per garantire lo stanziamento ai Comuni di frontiera della quota di ristorni frontalieri che nelle scorse settimane è stata oggetto di dibattito e polemiche tra forze politiche, a fronte del rischio che quei soldi (circa 40 milioni di euro) venissero negati ai Comuni al confine con la Svizzera
Ohibò. Dunque, dopo giravolte, danze e balletti degni del Bolshoi, il buon Furio Artoni aveva ragione. I ristorni dei frontalieri debbono andare ai Comuni. La sua mozione, che aveva suscitato litigi e scaramucce con le componenti del centrodestra in consiglio comunale, è stata infine vendicata dalla Storia — o almeno dalla legge di bilancio. Quelli che l’avevano osteggiata sono stati ora costretti a ritornare sui loro passi, con quella grazia che caratterizza chi si è appena accorto di aver sbagliato binario ma vuole far credere di essere sempre stato sul treno giusto.
Il governo ha deciso di emendare una norma che, in realtà, non aveva bisogno di essere emendata. Gli accordi bilaterali parlavano già chiaro: i ristorni devono andare ai comuni di frontiera. Ma siccome in Italia si preferisce sempre una soluzione pasticciata a una verità semplice, ecco che si inventa l’emendamento. Una specie di circolazione con obbligo di ritorno al punto di partenza, ma con qualche fronzolo in più per salvare la faccia.
Ora, se si è fatto un emendamento alla legge di bilancio, e la legge precedente era corretta secondo i nostri parlamentari, cosa significa? Che la precedente era fuori legge? Che violava gli accordi bilaterali? O semplicemente che nessuno si era preso la briga di leggerla? L’emendamento, a ben vedere, è il solito pasticcio italiota: un’operazione di facciata per mostrare che anziché pensare solo al Ponte sullo Stretto, si pensa anche ai comuni di frontiera, tra i quali Luino. Lodevole, se non fosse che bastava leggere quel che già c’era scritto.
Il paradosso, però, è un altro : durante il consiglio comunale di Luino, la mozione di Artoni fu attaccata proprio da quelle forze politiche che oggi cantano vittoria per un emendamento che è, né più né meno, il contenuto della sua mozione. Quelle stesse forze che, in consiglio, non votarono — lasciando che la mozione passasse solo grazie ai voti dell’attuale maggioranza. E oggi? Oggi si pavoneggiano come se avessero scoperto l’America, mentre il buon Furio Artoni, che l’America l’aveva vista per primo, resta lì a guardare con la flemma di chi sa che la memoria politica, in Italia, dura quanto un ghiacciolo al sole di ferragosto.
Siamo vicini alle elezioni, evidentemente, e bisogna recuperare il tempo perduto. La Lega, che un tempo tuonava “Roma ladrona”, sembra aver dimenticato il tormentone. Come ha detto il presidente Fontana, l’amatriciana piace a tutti. E così, tra un piatto di pasta e un compromesso, si sistema tutto. Ben venga il risultato, intendiamoci. Ma resta preoccupante la circostanza che solo grazie alle polemiche sollevate qualcuno si metta a leggere le leggi che ha votato.
A questo punto, verrebbe da chiedere: gli stipendi dei parlamentari, per favore, li potremmo correlare alla lettura delle leggi? Magari con una trattenuta per ogni norma approvata senza averla letta. Ma forse è chiedere troppo. In Italia, d’altronde, l’importante non è avere ragione per primi, ma averla per ultimi — possibilmente con un emendamento che ti permetta di dire: «L’avevamo detto noi». E non dico altro!
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