Germignaga | 19 Maggio 2025

Germignaga, alla scoperta dell’arte di Dea Ninfea

Un'artista «piena di vita». Classe '83, origini pugliesi. I suoi quadri raccontano la lotta tra bene e male. «Dipingo bendata». L'intervista di Matteo Liorre

Tempo medio di lettura: 6 minuti

(a cura di Matteo Liorre) Nutro un profondo amore per Luino, la mia piccola città. Negli anni, ho stabilito anche una forte connessione con i paesi limitrofi: a nord c’è Dumenza, il luogo in cui cerco rifugio e tranquillità nei momenti di tempestosa incertezza; a sud invece troviamo Germignaga, il mio luogo d’infanzia, dove ho frequentato la scuola elementare Giovanni Pascoli.

È proprio a Germignaga che ho avuto il piacere di entrare nella casa di un’artista piena di vita. Inizialmente ho avuto l’impressione di essere al cospetto di una diva del secolo scorso, ma al contrario è stata in grado di raccontare i dettagli della sua vita con una semplicità ed una grazia tali che hanno arricchito la mia esperienza.

Cari lettori di Luino Notizie, con queste brevi parole desidero introdurre l’intervista a questa donna che, almeno per il momento, ha preferito rimanere anonima. A voi, Dea Ninfea: buona lettura!

Dea Ninfea, questo è il tuo nome d’arte. Sei di Germignaga, ma sei già riuscita a conquistarti una ribalta internazionale. Qual è la tua identità artistica?

Sono un’artista poliedrica, nel senso che dipingo il bene e il male, rappresentando l’eterna lotta tra il mio demone e il mio angelo. Sono autodidatta e a tutto tondo. Sono nata nell’83 a Casarano, Lecce. Nel 2020, sono stata colpita da una malattia ereditaria che causa tremore alle mani e nonostante ciò riesco a dipingere e sono molto ferma, tanto da tirare delle linee drittissime. Dipingo bendata e anche al contrario. È il tempo della sensualità dell’arte pittorica di Dea Ninfea.

Desideri essere conosciuta esclusivamente con il tuo nome d’arte? Fai una distinzione netta tra la tua vita da artista e quella personale, oppure le consideri entrambe come un’unica entità?

Non vi è distinzione, io sono l’artista, io sono Dea Ninfea, ovunque e dovunque.

Hai piacere a essere chiamata col tuo nome di battesimo?

Assolutamente no, io non sono lei, io sono Dea Ninfea e basta, non mi identifico in quel nome, non è mio, non mi appartiene, non l’ho scelto io.

Posso permettermi di chiederti il perché?

Preferirei che per il momento questa cosa rimanesse celata, eventualmente ne parlerò in un libro che scriverò in futuro.

Quali sono stati i luoghi in cui hai presentato i tuoi quadri? Descrivi la tua arte.

Innanzitutto la mia arte è un’arte mista, tra olio, acrilico e materico. Utilizzo tutti i tipi di colori e materiali, come pastello a olio, tempere, gessi e altro. Dipingo figure di sirene, angeli e donne che rappresentano me stessa nelle mie situazioni, nelle mie pulsioni, nelle mie emozioni. La mia arte è un modo per esprimere le mie emozioni e sensazioni, per trasferire qualcosa o un ricordo su una tela e dimenticarmene. La mia prima esposizione è avvenuta oltre quattro anni fa a Roma, in associazione a una trasmissione su un’importante emittente della capitale. Poi ho esposto a Miami, dove ho vinto un premio; a Los Angeles ho ricevuto la Stella d’Oro, mentre a Barcellona ho partecipato alla Quinquennale. Recentemente, al teatro Manzoni di Milano, ho avuto l’opportunità di esporre un quadro inedito (D’amore in Lapide) che, unico nel suo genere, ha suscitato grande interesse. Tuttavia, ho intenzione di apportare alcune modifiche. Una delle cose più emozionanti è stata quando mi ha premiato il figlio di Salvador Dalí, José van Roy Dalí.
La mia vita è piena di cicatrici, ma grazie all’arte, ricucio queste cicatrici su tela. Ho ricevuto una valutazione da Vittorio Sgarbi e altri 4 critici nel 2024, dove il valore dei miei quadri è salito fino a 10.000 euro. La Fondazione che mi ha recensito si chiama Effetto Arte.

Stiamo parlando di critici di fama internazionale,  oltre a Vittorio Sgarbi, puoi nominare gli altri?

Marco Rebuzzi, Sandro Serradifalco (Presidente della Fondazione Effetto Arte), Leonarda Zappulla e Luca Beatrice. Sono stata definita io stessa il quadro perché sembro uscita dal quadro stesso, infatti non c’è nessuna distinzione tra il quadro e me. Definiscono questo mio modo di esprimermi come un canale di sfogo, l’arte è anche terapia per me. Inoltre, come ultima frase che mi ha colpito tantissimo: affermano che ad ogni pennellata gli osservatori non possono fare altro che provare un brivido.

Desidero dedicare un ricordo speciale al torinese Luca Beatrice recentemente scomparso. Ho avuto modo di conoscerlo, sebbene in modo indiretto, attraverso la comune passione per la Juventus, la nostra squadra del cuore. La sua figura e il suo contributo nel campo dell’arte rimarranno nella memoria di tutti, soprattutto quelli che hanno apprezzato questa bella persona.

Lo considero una bella persona che ci ha dato molto e ho imparato da lui tantissimo. Lo considero proprio un uomo ricco di cultura. Non l’ho conosciuto di persona, ma avrei voluto farlo. Da lontano lo ammiro, comunque lui vivrà ancora.

Hai intrapreso altre attività come quella di modella, cantante, quali sono le tue ambizioni?

Ho deciso quattro anni fa, dopo la mia patologia, di iniziare a dipingere e scrivere in stile empirico, tipo ‘Poeti Maledetti’ alla Baudelaire, il mio preferito. Successivamente, circa un anno fa, ho iniziato a lavorare come modella, ma ho deciso di abbandonare questo campo perché dopo una gara a cui io ero in competizione ho notato che questo mondo è un po’ corrotto, c’è molta falsità e devi dare altro per ricevere qualcosa in cambio. Io non mi lascio mettere le mani addosso.

Ti ritieni anche cantante e attrice?

Cantante ancora no, perché sto studiando per diventare cantante. Dicono che abbia una bella voce, però non posso definirmi una cantante. Quando avrò finito il mio percorso, magari sarò una cantante. Attrice non ho mai provato, però mi piacerebbe fare teatro.

Sei nata in un posto meraviglioso, il Salento, e sei cresciuta in un posto che noi luinesi sappiamo che è meraviglioso, ma spesso non ce ne accorgiamo abbastanza: il nostro lago. A che posto sei più legata, al mare del Salento o al Lago Maggiore?

Io mi identifico più nel lago per la sua malinconia della sera, per le sue onde, per la sua acqua, per i tramonti, per il misto tra lago e montagna. Questa associazione mi dà l’ambiguità tra i monti e l’acqua, tra la terra e il vento, come la lotta che è dentro di me tra bene e male. Quando io guardo il mio lago mi emoziono, sento i brividi, mi sento più luinese che salentina.

Una buona parola anche per il Salento la puoi dire?

Certo, è il mio luogo d’origine, non lo dimenticherò mai. Il mare è stupendo; a me piaceva moltissimo raccogliere i ricci di mare, i polpi e le conchiglie, ma quella è la mia infanzia e rimane un ricordo. Io amo di più il lago, io mi sento una laghè.

C’è uno slogan che dice: ‘Salento, mare, sole e vento’. Ti chiedo se pensi che questo slogan sia sempre attuale o se, al contrario, sia diventato un po’ inflazionato nel tempo…

Penso che ‘Viva lu Salentu, lu mare, lu sole, lu jentu’ sia ormai diventato qualcosa di commerciale. Esistono gruppi musicali che talvolta ascolto proprio per ricordare il mio meraviglioso territorio d’origine, che ha delle spiagge bellissime, ma rimangono tali perché d’inverno il mare è veramente morto, invece il lago per me è vivo sempre. Secondo me, questo slogan ha scopo di lucro, soprattutto per attirare il turismo giù in Puglia.

Lo sai che questa cosa non ti attirerà molte simpatie, però tu sei schietta e ovviamente dici quello che pensi.

Io dico sempre la verità. Se mi sento di appartenere a un posto, appartengo a quel posto. Non è la casa dove sei nato, perché non scegli dove nasci, ma puoi scegliere dove vivere. Io ho scelto il lago.

Chi sei tu in realtà? Come ti definisci?

Non avendo né marito né figli, ho scelto l’arte. Quindi mi definisco la sposa dell’arte. Mi definisco come un’acrobata che danza sul filo dorato della follia, come tutti quanti gli artisti.

In conclusione posso affermare che Dea Ninfea è un’artista che colpisce dritta al cuore, con una storia che è un vero e proprio viaggio dentro l’anima. Le sue opere sono come un urlo di libertà, un’esplosione di colori e di emozioni che ti lascia senza fiato. Ha iniziato a dipingere dopo aver sviluppato una patologia alle mani, eppure la sua arte è come un’estensione del suo corpo, un modo per esprimere sé stessa in maniera autentica e originale.

La sua passione è palpabile e si vede in ogni cosa che fa. Ha una grande stima per le persone che come lei amano il bello, non ha paura di esprimere sé stessa e i suoi lavori riflettono la sua personalità e le sue emozioni.

Quando parla di sé come “la sposa dell’arte” e del “danzare sul filo dorato della follia”, possiamo dedurre che è una persona che ha trovato la sua vera vocazione. La sua identificazione si rafforza maggiormente specchiandosi nelle onde del nostro lago, perché è qui che sente di essere veramente sé stessa. È una donna molto interessante e complessa, con una forte anima, ma soprattutto una persona speciale, non solo per la sua arte, ma anche per il suo carattere dolcissimo e la sua umanità.

Il dipinto che ha portato l’artista al successo si intitola Il terzo occhio (vedi foto allegata in galleria, ndr). È un’opera apparentemente semplice, ma quando viene esposta alla luce della luna, rivela un aspetto giovanile: l’età reale dell’autrice. Tuttavia, se il quadro viene illuminato dalla luce del sole, sembra invecchiare.

Questa particolare trasformazione ha suscitato l’interesse e l’analisi da parte di diversi critici, i quali si sono interrogati sul significato di questo fenomeno. L’unica spiegazione, fornita dalla stessa artista, è che desidera mostrare al mondo quanto sia antica la sua anima. Questo concetto viene rappresentato attraverso il terzo occhio, un elemento simbolico collocato sulla fronte della figura femminile presente nel dipinto. Il terzo occhio è progettato in modo da avere la forma di un fiore color oro, simbolizzando la connessione tra la bellezza, la saggezza e la spiritualità. Questa scelta stilistica invita lo spettatore a riflettere su temi profondi e universali, rendendo l’opera un vero e proprio invito alla contemplazione.

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