Luino | 12 Novembre 2020

Luino, “La politica può cambiare solo se cambia il punto di osservazioni: le relazioni di vicinato”

L'Osservatorio Felice Cavallotti torna ad intervenire nel dibattito locale mettendo in luce un aspetto prioritario della campagna elettorale di "Proposta per Luino"

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L’Osservatorio Felice Cavallotti, come da sua consuetudine, continua ad interrogare le dinamiche e i comportamenti della vita politica luinese, e lo fa in modo da individuare alternativi e possibili punti di osservazione che coinvolgano e agiscano sui principi e comportamenti etici della politica.

Oggi la riflessione si intrattiene sul significato e nuovo valore delle relazioni di comunità, su comportamenti di carità sociale e politica, che sembrano divenire urgenti e strategici nella qualificazione dei rapporti istituzionali tra il complesso tessuto sociale e le Amministrazioni Comunali.

Necessario rapporto di qualità qualora si decida di percorrere volontà di rigenerazione delle potenze attive di coesione sociale.

Ecco il testo redatto dall’osservatorio.

LA POLITICA SI PUÒ RIGENERARE GUARDANDO CON IL CUORE NEI MILLE OCCHI DEL QUARTIERE?

Se si vuole concretamente riflettere sulle dinamiche sistemiche ed esistenziali delle città, sui loro pensieri, sulle intrecciate ed empatiche reti di relazioni, nonché sul condizionamento che queste provocano sui bisogni dell’abitare, nell’economia, oppure nella progettualità dei dispositivi politici, non si può fare altro che ritenere necessaria e risolutiva la necessità di scalare di prospettiva l’osservazione applicata dalla politica. Cambiare metodo dell’atto di comprensione: passare da un metodo deduttivo ad un metodo induttivo.

Decidere di osservare la città non più facendosi orientare da una apparente e immaginaria visione rappresentativa di insieme, ma arrivare ad una “probabile sintesi” solo dopo aver compreso (superando l’immateriale intuizione) le cause che (ri)producono motilità e connessione degli eventi. Nella ricerca delle qualità sensibili la pregiudiziale visione di insieme risulta essere limitata, perché troppo spesso è condizionata e viziata da un euforico astrattismo teorico o dal superficiale opinionismo.

Insomma, per comprendere e intervenire sensibilmente sui processi dinamici dell’organismo città – processi possibili da interpretare solo facendosi coinvolgere nel loro “fluttuante stato di cambiamento”– diventa indispensabile dover scalare la visione nell’ambito del vivere quotidiano, nello spazio/tempo dell’agire esistenziale. Farsi condizionare da intuizioni deduttive – rappresentazioni pregiudiziali di insieme di larga scala – si rischia di farsi trascinare e ingabbiare in un riduttivo e penalizzante agire istituzionale che altera la buona volontà del “come fare” politica: vuol dire farsi congelare nei generici comportamenti istituzionali, negando il potenziale rivoluzionario del resiliente spirito generativo della politica.

Penalizzare l’osservazione possibile delle ricerche sensibili, ignorando la “cultura dell’incontropassione del volersi incontrare, cercare punti di contatto, gettare ponti d’affettività, progettare qualcosa che coinvolga tutti significa rinunciare alla possibilità del dialogo tra espressioni plurime facendosi risucchiare nel vortice omologante della tecnocrazia: meccanico comportamento politico, incapace di sconfiggere pensieri e comportamenti consolidanti e residuali che producono forme sociali abitate da emarginazione e da “scarti umani.

Dunque, diventa necessario per riuscire a leggere, modificare e caratterizzare l’esistenza pulsante delle città, che la politica sappia restringere il proprio sguardo e avvicinare il punto dell’osservazione in modo da “guardare con il cuore” nei mille occhi del quartiere (usiamo il termine quartiere per semplificazione) e, solo dopo, arrivare a sostanziare una sintesi d’insieme considerabile come probabile.

Uno sguardo dialogante in permanente movimento; un incrocio tra occhi in cui riesce ancora a trasparire vincente, sul pessimismo opacizzante delle lacrime, la speranza del “progressivo mondo del possibile”.

Incrocio di sguardi diretti all’immanenza, sguardi di esistenza che, nonostante le contraddizioni presenti nel quotidiano, vogliono continuare ad esprimerlo attraverso felici azioni generative di con-vivenza; un agire responsabile, un autentico bisogno di comunità, da cui nasce quella coraggiosa sfida fatta di operose azioni di prossimità solidale, fratellanza e strutturate condivisioni di carità.

Per la politica, scegliere dunque di (ri)partire dalle frazioni/quartieri/borghi, da realtà geografiche considerate dei veri luoghi esistenziali – dove ancora si riesce a percepire e intrecciare sperimentali forme quotidiane di relazione sociale e solidali espressioni di prossimità – vuol dire voler intuire, voler incontrare, voler attraversare quel particolare mondo fatto di concreti bisogni e di conseguenza di nuovi e possibili processi condivisi di elaborazione della domanda sociale, domanda non rinchiusa su se stessa ma gestatrice di bisogni futuri.

MA QUAL È LA NOVITÀ DEI PROCESSI DI VICINATO?

Le relazioni di vicinato ponderano e caratterizzano la domanda sociale permettendogli di organizzare il tempo. La domanda sociale, ponderata da attivismo delle relazioni, modella il tempo dell’agire quotidiano prendendosene cura e custodendo il potenziale e futuro spazio esistenziale dell’abitare comune. Si arriva così ad un comune pensiero di custodia operosa, un comune comportamento in grado di garantire l’energia utile alla (ri)produzione dei beni comuni e al loro passaggio generazionale.

Nell’imperativo politico, di voler forzare la ricerca della “cultura dell’incontro” e del dialogo con e nel quotidiano esistenziale, si ritrova l’importanza di quel “sapere di speranza che rende possibile il (ri)generare di molteplici e imprevedibili forme di convivialità e di creatività: creare relazioni aperte di appartenenza e di identità, insomma uno spirito di cittadinanza di cui ogni processo politico sente il bisogno.

È la presenza dello “spirito guida” – incontro tra questo condiviso sapere di speranza e l’individuale volontà di appartenenza caritatevole ad una comunità – a richiamare quegli innati processi di comunità necessari per svolgere la funzione primaria del nominare le cose. L’esperienza di vivere la carità nella relazione empatica risulta essere l’unica condizione in grado di continuare ad attribuire al linguaggio, reso comune, la sua poetica funzione primaria di “casa dell’essere”, consentendogli di assegnare un nome alle cose; un nome rigenerato che possa ritornare a dare un senso alle cose del nostro abitare, sostanziando la presenza dell’alterità: presenza d’unità che ci permette di incarnare la “dimensione trascendente” del noi della comunità.

LA POLITICA PUÒ CAMBIARE? E COME PUÒ RIUSCIRCI?

Diamo merito nella campagna elettorale, all’attuale amministrazione luinese, di aver fatto proprie queste considerazioni. Dichiarare l’intenzione di voler guardare e affrontare operativamente lo stato di salute delle frazioni/quartieri/borghi, al fine di perseguire nel principio auto-generante ed empatico delle relazioni di vicinato, ci invoglia a ricordare che nell’anno 2016 alcuni cittadini, insieme alla Banca del Tempo e alla Parrocchia di Luino, hanno condiviso con l’allora amministrazione comunale un progetto pilota da applicare in un’area circoscritta del centro storico di Luino, tra via Felice Cavallotti e la Via Manzoni (ristretto progetto sperimentale ma metodologicamente riproducibile in altre “aree omogenee”). Il progetto prevedeva di iniziare una coinvolgente co-progettazione con gli abitanti che arrivasse a stimolare e animare forme caratterizzate e fattibili di relazione di vicinato.

La metodologia e le modalità d’intervento intraviste per quell’area, nonostante gli anni persi, sembrano ancora valide e possibili, ci piace dunque declinarle al presente: sono relazioni, eventi ritagliati e incastrati nel tempo della quotidianità –cene condivise di quartier; individuazione e manutenzione collettiva di aree da consegnare al gioco; momenti di solidarietà domestica; organizzazione di attività motorie e fai-da-te e altro ancora– incontri di prossimità autogestiti dai cittadini che fanno (ri)emergere, intercettare, intrecciare e (ri)interpretare collettivamente quei bisogni e desideri rimasti insoddisfatti, che possono invece caratterizzarsi e materializzarsi nel mondo possibile dell’agire in comune.

QUESTA NECESSARIA SCOMMESSA DI COESIONE ED INCLUSIONE SOCIALE LA SI PUÒ ANCORA VINCERE?

Questa scommessa la si può vincere se “saremo innovativi”, innovativi nei comportamenti sia istituzionali che civiliuso il plurale “saremo” perché riteniamo che i processi di inclusione non possano essere divisivi -, innovativi in modo che si possa evitare quello che è successo negli anni ‘70-’80 dove le Istituzioni hanno creduto sufficiente, nell’organizzazione dei comitati di quartiere, l’applicazione del corrente e tradizionale parziale comportamento istituzionale: proporre forme assembleari di ascolto all’interno di un rigido confronto bidirezionale (autorità pubblica organizzata da una parte e disorganizzata popolazione dall’altra).

L’innovazione, per essere tale, impone una decisa scelta di priorità: superare la relazione dissimmetrica, che ha visto in quegli anni posizionarsi da una parte l’organizzata macchina pubblica e dall’altra singoli soggetti precipitanti nel consumismo individuale (siamo all’inizio dell’era decadente neo-liberalista).

Purtroppo il soggetto istituzionale (ieri come oggi), trovandosi in piena crisi d’identità, ha strategicamente continuato ad assecondare questa decadenza individualistica, decidendo di tagliare e rinunciare definitivamente alle forme innovative di decentramento deliberativo. Questo pensiero unico, alla fine, ha portato alla condanna definitiva della generante forza comune, ad una passività che ha impoverito l’humus attivo della condivisione e della convivenza empatica.

Oggi, la scommessa si è rinnovata e si muove nel verso giusto. Il soggetto istituzionale sembra finalmente deciso ad innovarsi, è consapevole del superamento indispensabile della relazione dissimmetrica:

– ha capito l’urgenza e l’importanza di lavorare principalmente su comportamenti di affiancamento e accompagnamento in modo da agevolare la qualifica e stimolare l’auto-determinazione delle relazioni di vicinato;
– fare analisi per l’individuazione e la protezione della molteplicità;
– collaborare a soluzioni cooperanti per l’eliminazione della povertà e la valorizzazione delle minoranze culturali;
– rigenerare forme solidali di attivismo civile e ambientale;
– individuare strutture di incontro esistenti o da co-progettare: condivise strutture di vicinato da disporre per relazioni/incontro funzionali per il mantenimento fisico e la salute; laboratori fai-da te; spazi per l’educazione; spazi del dono ecc.).

L’Istituzione politica ha capito che questa nuova predisposizione comportamentale è indispensabile per affrontare e soddisfare i compiti attribuitegli dalla Costituzione: individuare, comprendere e instaurare azioni di tutela del “bene comune”.

CONTRIBUIRE A RI-VIVACIZZARE LA CITTADINANZA È LO SLOGAN DI QUESTA SCOMMESSA?

Sicuramente si!

L’iniziativa “relazione di vicinato” ha questo unico scopo: la volontà di riportare in tutti i cittadini e in tutti gli operatori presenti quella reale fiducia, indispensabile, alla crescita dello spirito dinamico di autonomia e di coesione comunitaria.

La scommessa, potrà dirsi vinta solo qualora si inizierà ad intravedere un concreto e comune cammino, una comune volontà di autodeterminazione creativa, una relazione operosa tra la cittadinanza e le istituzioni dove, la stessa operosità, diventi il faro e l’espressione politica dell’Amministrazione pubblica, una vera e integrata co-partecipazione, per strutturare una nuova e condivisa visione integrata dell’abitare, predisposta a (ri)creare tessuti intrecciati di socialità cooperativistica e solidale animata da pensieri di “amore sociale”.

Concludiamo, e non c’è modo migliore, con una citazione dalla lettera enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale Fratelli Tutti di Papa Francesco, lettura che consigliamo a tutti per l’esaustiva lucidità e per l’affinità con il tema trattato, ricordando a Tutti che il covid non può e non deve fermare il pensiero. Lui sarà sconfitto e noi, per fortuna, continueremo a dover cercare il “come” del convivere:

Riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella e ricercare un’amicizia sociale che includa tutti non sono mere utopie. Esigono la decisione e la capacità di trovare i percorsi efficaci che ne assicurano la reale possibilità. Qualunque impegno in tale direzione diventa un esercizio alto di carità. Perché un individuo può aiutare una persona bisognosa, ma quando si unisce ad altri per dare vita a processi sociali di fraternità e di giustizia per tutti, entra nel “campo della più vasta carità, della carità politica”. Si tratta di progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale. Ancora una volta invito a rivalutare la politica, che “è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune”.

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