luino | 15 Gennaio 2020

“Autonomia”: significato e aspettative all’interno della comunità luinese

L'importanza del dialogo e delle prese di posizione, rispetto ad eventi rilevanti per la comunità, al fine di leggere nel modo migliore i cambiamenti socio-ambientali

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(Articolo a cura dell’Osservatorio “Felice Cavallotti”) Negli ultimi mesi, la realtà politica luinese ha subito due particolari e gravi condizioni, dall’apparenza distinte, a cui ha risposto, a nostro giudizio, timidamente e senza nessuna convinzione di ruolo.

La prima è stata un susseguirsi di comunicazioni ed eventi di lavori d’urgenza (manutenzione di strade, innovazione di servizi e di tecnologie) mosse, oltretutto, solo grazie dopo una prolungata denuncia dei cittadini.

La seconda, l’intervento appena fuori dai nostri confini della magistratura che intercetta e “segnala” alcuni comportamenti spiacevoli di corruzione.

Comportamenti che la politica locale ha fatto passare sotto silenzio, perché ritenuti irripetibili grazie ad una irragionevole convinzione: quella di credersi una realtà, oltre che virtuosa, assolutamente immune da tali pressioni e devianze. Due condizioni, quella dei lavori pubblici e della corruzione, però troppo spesso intrecciate tra loro e che non sembrano del tutto scongiurabili dall’attuale paradigma amministrativo, ma che non sono necessariamente legate alla specificità dell’opera e nemmeno ad una azione di corruzione necessariamente condivisa dall’intero esecutivo politico (questo è quanto c’hanno insegnato i molteplici scandali pubblici).

Dunque, una “reazione silenziosa” che, nonostante la certa buona fede che non stiamo mettendo in dubbio, ha (ed è sbagliato pensare che non potrebbe avere) possibili ricadute esistenziali e oggettive sulla vita quotidiana indebolendo l’azione fiduciaria, tra istituzioni e cittadinanza, necessaria in qualunque azione politica di governo.

Nonostante questo atteggiamento di debolezza reattiva, alla (decentrata) locale politica amministrativa viene però continuamente affidato, sarebbe meglio dire viene scaricato dall’alto, un ruolo tattico: il compito di intervenire a calmierare il conflitto antagonistico, incuranti di impoverire l‘unica forza relazionale, partecipativa e creativa, indispensabile alla riproduzione sociale.

Inevitabilmente, questo contraddittorio “ruolo passivo”, costringe a re-agire alla imposta e permanente “morsa ideologica” dello “stato di crisi”, non più nemmeno ottimale al sistema neoliberista incentrato sullo sfruttamento del dinamismo della produzione e riproduzione immateriale prodotto nell’attività delle relazioni sociali. Questa superata e logorante permanenza ideologica non può che richiamare alla memoria locale un desiderio velato (da più parti): l’importanza di rinverdire la discussione costituente sulla democrazia (rivisitazione delle modalità strutturali della legge elettorale, dell’idea di rappresentanza e di delega, non per ultimo della forma tecnocrate dell’amministrazione) e sull’applicazione dello spirito, sul significato e sull’aspettativa da assegnare al concetto di Autonomia. Dibattito, certamente indispensabile per costituire un destino di Comune (costituente struttura di relazione esistenziale collettiva di con-vivenza e con-divisione) inquadrabile, necessariamente, in una progressiva elaborazione di pensiero democratico.

Però, nell’attuale storia, questi condizionati e altalenanti momenti di discussione sono stati definitivamente delegati e portati al chiuso dei pantheon politici, finendo silenziati o “utilizzati” a dipendenza del bisogno elettorale. I “predestinati decisori”, una volta superato il puntuale momento congiunturale del conflitto, in attesa di un nuovo arrivo problematico anch’esso giustificabile dall’ideologia dell’emergenza, decidono di operare insabbiando la discussione in modo da poter ritornare ad agire in coerenza con la “tattica della disattenzione centralista”.

Nelle Comunità Locali, questa applicazione della “tattica della disattenzione centralista” non fa altro che rendere più complessa e inefficiente la macchina amministrativa, facendola ritrovare, per l’ennesima volta, impreparata nell’affrontare la domanda sociale rivolta dalla società civile. L’Amministrazione si ritrova così inadeguata ad affrontare i cambiamenti socio-ambientali e l’articolata e complessa richiesta esistenziale a cui deve dare risposte diversificate: giustificazioni bisognose di ampio e diversificato consenso che non possono prescindere dall’attivo confronto tra poteri e, dunque, da una potenza consolidata attorno al principio e all’esercizio dell’Autonomia.

Le Amministrazioni locali risultano così essere strutturalmente impreparate e deboli a rispondere ad una articolata ecologia sociale, ad affrontare abusi oligarchici e anche nel combattere il perseverante malaffare per la mancanza di strumenti statutari “personalizzati” di contro-potere: strumenti che possono nascere solo in presenza di un allargato dibattito e da un concreto cambiamento del modo di concepire la macchina amministrativa.

Questa attuale deviata e ostacolante forma pedagogica di sudditanza la ritroviamo, continuamente, nei processi interni di governo e di trasformazione della città. Questa difficoltà, le Amministrazioni locali, la vivono tutte le volte che si propongono di relazionarsi a tavoli di contrattazione/concertazione con enti pubblici o soggetti privati. Accade perché, contemporaneamente all’atto legiferante (Nazionale/Regionale/Locale), non è seguito nessun pensiero strumentale (il come), nessuna volontà (qui c’è pari responsabilità tra locale e sovralocale) di costituire un “cantiere urbano” di condivisione. Appunto, un cantiere di elaborazione di forme di auto-controllo a giustificazione e protezione dell’autorevole esercizio dell’Autonomia.

Dimenticando e tralasciando la formazione pedagogica sulla concretezza immanente del significato, all’Autonomia, viene minata la sostanza della sua vera forza di (rel)azione.

Le Amministrazioni locali, affidandosi alla sola ed interna discrezionalità della rappresentanza “partitica”, alla macchina tecnocratica e all’abuso “legale” della forza di potere, continuano a convivere con un alto coefficiente di rischio di inconcludenza, rischio che li rende troppo e sempre più dipendenti da interessi esterni e, dunque, da concrete possibilità di inciampo: comportamenti poco virtuosi e antidemocratici.

La politica locale, non può dimenticarsi che anche gli “imprenditori politicanti” possono amare l’aria di lago, facendo decadere (pensiero pericoloso) l’immunità irresponsabilmente assegnata al luogo.

Se un contributo, tangentopoli l’ha dato, è stato proprio quello di averci insegnato che non si deve agire controllando solo i singoli soggetti, ma bisogna intervenire sulla macchina che li trasporta lontano.

Facciamoci alcune domande:  

il fenomeno omologante, delle Comunità Locali, può essere snodato e combattuto introducendo forzatamente nelle agende politiche il bisogno di elaborare, empaticamente e non solo burocraticamente, nuove intuizioni comportamentali sulla tensione ontologica interna al concetto (il concetto di Autonomia come tutte le elaborazioni concettuali si conforma/deforma nella tensione tra estremi: Individuo-collettività; potenza-potere, anarchia-democrazia; Stato-Comunità Europea, centralismo-federalismo ecc.) di rappresentanza e di Autonomia?

È possibile, riconsiderando e qualificando il concetto di Autonomia, definendo e raggiungendo una sostenibile equidistanza tra gli estremi, uscire da questo infelice impasse amministrativo fatto da interventi ideologizzati e, sempre più spesso, di azioni penali?

L’Autonomia non deve esser neutralizzata trasferendola nell’olimpo dei concetti universali: deve rimanere alloggiata nell’immanenza del vivere quotidiano, diventando la “macchina di relazione” dei processi di condivisione e della fabbricazione dei desideri.

Quando la politica rincorre il pensiero dell’Autonomia, senza capire o riconoscere che la si può concettualizzare e solamente rappresentare nella concretezza della relazione, potenza e atto, vuol dire che si è imbarcata su una nave senza deriva e timone e senza possibilità di poter seguire una rotta e che costringe, l’intero equipaggio, a navigare a (s)vista in acque scure e di incerta profondità.

Invece, andrebbe capito che, almeno in politica, questo è un pensiero da concettualizzare attraverso intuizioni a cui devono seguire “profonde prospettive” condivise, idee portatrici di un vero cambiamento sistemico di comunità: sostituzione delle vecchie geometrie istituzionali e delle loro conseguenti espressioni comportamentali e strumentali.

L’autonomia, oltre ad essere un pensiero performante, è anche un’azione reattiva di autocontrollo.

È un’esperienza non dissimile a quella che affrontiamo ogni giorno nella movimentata e complessa vita quotidiana, sempre più stimolata e veloce, imprevedibile e irreversibile, disegnata da sempre maggiori piegature frequentate da velate ombre di illegalità. Condizione a cui si deve reagire rinforzando le relazioni di contro-potere che movimentano la Comunità. È proprio contro l’attuale situazione ombrosa dei tradizionali fenomeni massivi di rigenerazione che deve risorgere l’abitare. Un risorgere che racconti di plurime e differenti relazioni esistenziali, di nuove soggettività che “pretendono” l’adozione di nuovi strumenti di condivisione per un governance luminosa delle città. Abbiamo bisogno, insomma, di nuove soggettività e di una nuova governamentalità che, empaticamente, conviva e condivida un cammino di ampio spettro di cooperazione operosa, di pratiche di autodeterminazione creativa.

Per il raggiungimento di questi processi esistenziali, diventa fondamentale l’approfondimento e la ricerca di un pensiero concettuale sull’Autonomia, ricerca possibile solo attraverso una visione immanente della realtà predisposta ad un suo cambiamento.

La “Costituente Comunità Politica” (da pensare sempre in divenire), dovrà far di tutto per evitare di ritrovarsi sommersa nello stato liquido e omologante della “tattica della disattenzione” e, per evitarlo responsabilmente, dovrà elaborare una convinta e consapevole coscienza dove, potenza ed atto, caratteristiche potenziali di nuova soggettività, possano esprimere in forma costituente, attivamente e concretamente, la futura realtà di Comunità.

A questo punto, l’autonomia risulterà ad essere di fatto una contro-reazione circolare, un ambito di contro-potere che agisce sulla e nella “forma del come” (potenza e atto), ritenendo questa l’unica condizione preliminare etica e virtuosa per determinare la giusta “sostanza del fare”. Nonché, ambito comportamentale generativo del Comune (Comune: costituente struttura di relazione esistenziale collettiva di con-vivenza e con-divisione) all’interno di cui si consolidano relazioni (in)formate sul giudizio e sul valore del “quanto basta”: giudizio derivato dalla sussunzione immanente «da ognuno secondo le proprie capacità e ad ognuno secondo i suoi bisogni».

Non si possono percorrere e organizzare pensieri di Autonomia se non si è determinati a cambiare e modificare i comportamenti e gli strumenti amministrativi. Questa volontà comportamentale dovrebbe essere la legge prioritaria della politica.

Questa incapacità sensibile o scarsa (o finta) volontà di agire sulla “forma del come” è proprio quel comportamento su cui si ritorce, rendendolo obsoleto, l’intero impianto decisionale della politica.

Purtroppo, è proprio su questa forma inconsapevole (forse utile?) di plagio, del sincretismo comportamentale, che le strutture amministrative locali sembrano non volere o non sapere fare valutazioni e prendere decisioni: sulla nebulosa e contraddittoria forma di governo lontana da ogni principio di autonomia locale; sulla considerazione e sull’uso indiscriminato degli strumenti nella elaborazione delle differenti scelte, accontentandosi di poter sopravvivere nell’ombrosa insostenibilità delle attuali logiche di potere. Si potrebbe ormai definire l’Amministrazione Pubblica, “macchina di potere”, una percepibile ma invisibile forza astratta, proprio per la sua potenza di cancellare l’attività relazionale produttrice di pensiero sull’autonomia, per l’appunto una forza “tattica della disattenzione centralistica” capace di occultare e dimenticare tutti i cambiamenti socio/ambientali avvenuti e ancora in corso.

È proprio all’interno a questo comportamento di disattenzione politica, questa carenza di interesse sulla permanente necessità progressiva di elaborazione democratica, materiale e immateriale, che i governi locali incespicano. Gli Enti Locali inciampano nelle loro stesse mancate aspettative. Si ritrovano nell’impossibilità di poter sostenere un desiderio di autonomia e, per mancanza di quello spirito condiviso, capace di strutturare e rendere produttiva con ragione democratica la forza potenza/potere, non riescono e nemmeno possono reagire all’aggressione e alla prepotenza dell’operato imposto da Enti esterni o da portatori di interesse.

Senza una rivoluzione della forma mentis che parta dalle comunità locali, non si riuscirà mai ad elaborare e rappresentare un pensiero politico sull’autonomia. L’esercizio equilibrato dell’autonomia, “il buon senso“, è dato dalla saggezza prodotta nelle relazioni di condivisione del quotidiano.

Senza una rivoluzione culturale e politica della forma mentis sullo stato dell’arte del governare (disponibile ad innovare la forma amministrativa locale e i suoi prescritti comportamenti, introducendo comportamenti strumentali predisposti a percorrere illuminati processi di partecipazione/condivisione e forme comportamentali co-progettanti) non riusciremo mai a farci educare da un percorso di rivisitazione concettuale della Democrazia e dalla sua facoltà, autorevole, portatrice di Autonomia.

Come Comunità Locali, non riusciremo mai a giustificare ed imporre alle istituzioni politiche sovracomunali e sovranazionali che abbiano un sacrosanto diritto di coinvolgimento e di condivisione sulle decisioni anche di interesse sovralocale: Europeo, Nazionale e Regionale, o da parte di Società per Azioni come Gruppo Ferrovie dello Stato, ANAS ecc.

Il contributo dell’Autonomia alla struttura di Comunità è di fatto un percorso di co-educazione propedeutico alle relazioni con-divise e non una soluzione preliminare e prescritta da qualche pensatore o autorità benpensante.

L’Autonomia non potrà mai nascere e progredire in ambienti che insistono nel voler solo dividere, con l’unico scopo di isolare per appropriarsi della potenza inclusa nello Spirito di Comunità ma, caso mai, in quelli che forzano relazioni all’interno della moltitudine: molteplicità singolare, prossimità e (ri)distribuzione.

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