Violenti, ossessionati dalla bella vita, disposti a tutto e senza farsi scrupoli pur di circondarsi dal lusso che veniva poi ostentato via social network.
E’ questo il quadro emerso ieri in tribunale a Varese durante l’udienza che ha portato in aula altri tre imputati, dopo le condanne dello scorso settembre, nell’ambito della cosiddetta “operazione Beverly”, che tra ottobre 2018 e marzo 2019 ha condotto i carabinieri a sgominare una banda di spietati criminali che da tempo seminava il panico in diverse sale slot del territorio.
Bisuschio, Marchirolo, Porto Ceresio, Vedano Olona: queste le località sulla mappa dell’organizzazione che vantava al suo interno un’intera famiglia composta da marito, moglie e due figli. Persone che non esitavano ad aggredire le vittime presenti all’interno dei locali, minacciate talvolta anche con l’impiego di armi, e che non mostravano timore nel presentarsi presso le stesse sale a volto scoperto, come le immagini raccolte dalle telecamere testimoniano.
“Dopo i primi arresti, gli inquirenti decisero di monitorare i colloqui in carcere con i famigliari – si apprende oggi dal quotidiano La Prealpina attraverso le parole di un militare dell’Arma ascoltato ieri in aula, durante l’udienza -. Tutti sapevano dell’attività criminale. Tanto che in un’intercettazione il padre di uno dei ragazzi consigliò ai figli: ‘La prossima volta tagliategli le canne, al fucile, così fa più paura‘”.
Ma l’episodio forse più inquietante tra quelli raccontati davanti al giudice, per ricostruire il contesto criminale e i metodi adottati dalla banda, risale ad una perquisizione effettuata dagli inquirenti alla ricerca di armi, presso una casa appartenente alla famiglia.
Qui la sorella di uno degli indagati, riporta ancora il quotidiano locale, fece leva sulla presenza di una bambina di pochi mesi, tenendola in braccio per occultare una pistola e impedire ai carabinieri di ritrovarla. “La pistola che cercavano, la donna la teneva sotto l’ascella, ‘nascosta’ inconsapevolmente proprio dal corpo della neonata“.
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