Questo il titolo dell’incontro avvenuto martedì 29 ottobre scorso presso l’ex Colonia Elioterapica di Germignaga, promosso dai giovani della Comunità Operosa Alto Verbano impegnati nel laboratorio “Stili di vita sostenibili” sul tema dei cambiamenti climatici.
Ospiti d’onore lo scienziato Giacomo Grassi, funzionario scientifico della Commissione Europea presso il Centro Comune di Ricerca di Ispra, e Fulvio Fagiani, membro del Dipartimento ambiente di ANCI in qualità di esperto fino al 2014, fondatore di Agenda21Laghi, di cui è stato il coordinatore dal 2000 al 2015 e ora presidente, nonché coordinatore, di Universauser. Quali sono, dunque, la situazione attuale, le previsioni future, le possibili soluzioni di questo problema di carattere planetario di fronte al quale non è davvero più possibile rimanere indifferenti?
Non ha usato mezzi termini Giacomo Grassi, nel fornire dati precisi e oggettivi sui cambiamenti climatici avvenuti negli ultimi 150 anni, soprattutto per quanto riguarda l’aumento delle temperature: se, a livello globale è stata di 1 grado, nel Nord Italia è aumentata di 2. Negli ultimi 50 anni, poi, secondo i dati del Centro Geofisico Prealpino, la temperatura di Varese si è incrementata di 2,5 gradi. “Negli ultimi 10 mila anni la temperatura non è mai aumentata con tanta velocità e la superficie terrestre non è mai stata così calda, con un incremento delle ondate di calore e l’inevitabile frequenza, intensità e durata di alcuni fenomeni estremi di piogge”.
La vegetazione si sta spostando a più elevate altitudini e latitudini, diminuisce la nevosità, la primavera arriva prima e i ghiacci si ritirano. Ma soprattutto assistiamo allo scioglimento del permafrost, ovvero il terreno dove il suolo è perennemente ghiacciato: enorme serbatoio di carbonio che, sciogliendosi, viene rilasciato lentamente in atmosfera. Il mare, che assorbe molta energia, porta un ulteriore riscaldamento.
I dati scientifici parlano chiaro: 20 cm di innalzamento del livello del mare, per molti atolli e tati del Pacifico diventerà questione di vita o di morte. Tra i fattori che possono far variare il clima non dobbiamo sottovalutare l’effetto serra, fenomeno naturale che aiuta la Terra a trattenere il calore, ma che, correlato alla forte concentrazione di CO2 causato dall’enorme emissione di gas, costituisce una vera e propria “pistola fumante”, la prova che l’aumento della temperatura globale è dovuto all’aumento di gas serra di origine antropica, cioè prodotti da noi.
Se non saremo in grado di invertire questa tendenza, mantenendo l’aumento della temperatura globale sotto ai 2 gradi, a fine secolo si prevede un aumento del livello del mare tra i 40 e gli 80 cm, con un impatto devastante per i miliardi di persone che vivono nelle aree costiere, oltre alla progressiva desertificazione, alle inondazioni, all’aumento e all’espansione delle malattie tropicali, ma soprattutto all’intensificazione del fenomeno migratorio, per cause economiche e politiche. Ecco allora la necessità di introdurre “buone pratiche”, che, oltre all’informazione e all’approfondimento, si occupino di “mitigazione e adattamento”.
E la politica? Che cosa ha fatto in questi anni? Già nella Convenzione ONU sul Clima del 1992 si era deciso di “stabilizzare i gas serra nell’atmosfera ad un livello che eviti pericolose interferenze sul clima”. Con il Protocollo di Kioto del 1997 i soli paesi ricchi (USA esclusi) si sono dati obiettivi da realizzare obbligatoriamente entro il 2020. L’accordo di Parigi del 2015 per la prima volta ha visto i paesi seduti intorno a un tavolo per riconoscere il problema comune. Oggi la Cina detiene il record di emissioni, ma su quelle pro capite chi si comporta nel modo peggiore sono ancora gli USA.
Per fortuna l’Europa ha ridotto le emissioni del 20% pur avendo aumentato il proprio prodotto interno lordo negli ultimi 25 anni. La sfida climatica richiede dunque un livello di cooperazione e di fiducia internazionale mai sperimentate prima. Purtroppo gli impegni presi non sono stati del tutto concretizzati, anche perché “lontano dai negoziati, il cambiamento è nelle nostre mani”. Come? È auspicabile mangiare meno carne e affidarci a cibi locali; coibentare le nostre case, regolare la temperatura, usare elettrodomestici e lampadine efficienti, installare e usare energie rinnovabili; utilizzare meno auto e meno, più biciclette e mezzi pubblici; ridurre, riusare, riciclare, utilizzare prodotti eco-certificati.
E a proposito di risposte possibili, nel suo intervento Fulvio Fagiani ha insistito sul fatto che sia necessario, entro il 2050, “decarbonizzare” il mondo, per contenere il riscaldamento climatico entro 1,5 gradi. Il primo passo? Dimezzare le emissioni globali entro i prossimi dieci anni, attraverso un maggior utilizzo delle principali fonti di energia rinnovabile: il sole e il vento. Come superare il problema dell’intermittenza di queste fonti? Incrementare l’uso di batterie d’accumulo e di reti intelligenti, che trasferiscano l’energia “da dove c’è a dove serve”. Si tratta dunque di un sistema energetico il più possibile elettrificato, ma soprattutto è necessario trasformare l’utente da passivo a “prosumer”, cioè utente produttore e consumatore nello stesso tempo.
Quali strategie per arrivare, nel 2050, ad un 80% di energia prodotta da fonti rinnovabili? Case sempre più dotate di tecnologia “domotica”, con riqualificazione del patrimonio immobiliare esistente e sostegno finanziario alle ristrutturazioni; incremento del trasporto pubblico e l’elettrificazione dei veicoli, con l’introduzione delle auto a guida autonoma, che diventano così veri e propri mezzi di servizio; trasferimento del trasporto merci da gomma a ferrovia; ritorno ad una dieta a basso contenuto di carni, riduzione dello spreco di cibo, protezione e buona gestione delle foreste e pratiche colturali sostenibili.
Le tecnologie a disposizione ci sono, purtroppo ciò che ancora manca è l’intenzionalità della politica: “Dovremmo dirci che il nostro obiettivo primario è la guerra al cambiamento climatico, perciò dobbiamo concentrare tutta la nostra energia, le risorse e i nostri sforzi al raggiungimento di quell’obiettivo. Oggi non siamo dentro a quel modo di pensare”. Per realizzare quegli obiettivi servono investimenti addizionali da 175 a 290 miliardi di euro/anno, in gran parte a cura di privati. Ma il settore pubblico deve dare segnali a lungo termine, deve fare da leva indirizzando quella massa di investimenti, attraverso una riforma del sistema fiscale, finalizzandolo al cambiamento climatico: cancellare i sussidi ai fossili, dare un prezzo al carbonio, spostare le tasse dal lavoro a “consumo delle risorse ed esternalità ambientali”, applicare il principio “paga l’inquinatore”.
Per quale ragione non si dovrebbe usare l’IVA per tassare con aliquote maggiori beni dannosi all’ambiente? Perché il costo del kilowattora prodotto dal fotovoltaico deve avere la medesima aliquota IVA del kilowattora prodotto dal fossile? Come attuare un’adeguata politica climatica locale? È necessario attuare una strategia, con dei piani d’azione a breve e lungo termine, coinvolgendo soggetti locali, fare massa critica, diffondere le buone pratiche, informare, comunicare, adottare standard comportamentali, sperimentare, fare rete.
Ecco allora l’utilità di rivolgersi ai bandi di riqualificazione energetica di edifici e impianti d’illuminazione pubblici di Agenda 21Laghi; espandere il progetto Green school nelle scuole; sostenere il progetto Equostop per la mobilità sostenibile; aderire al gruppo d’acquisto fotovoltaico; effettuare acquisti sostenibili di cibo locale e biologico; ottenere, per le imprese e le organizzazioni, la certificazione EMAS per l’impegno nel valutare e migliorare la propria efficienza ambientale.
FOTO emmepi
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