Laveno Mombello | 10 Gennaio 2019

Laveno, “Il ricordo dei 12 docenti universitari allontanati dall’insegnamento per aver rifiutato il fascismo”

La lettera, inviata da Alberto Morandi, riguarda fatti avvenuti nel 1931, dopo la conferenza sulla Parresia dei pensatori classici all'Università dell'Insubria

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Egregio Direttore,

con la presente, dopo aver visto sull’argomento la trasmissione di Passato e Presente su Rai Storia del 06/01/2019 condotta da Paolo Mieli, vorrei rappresentare che alla conferenza sulla “parresia” (la libertà di parola) dei pensatori nel mondo classico, svoltasi all’Università dell’Insubria a Varese lo scorso 20/12/2018, alla quale ho assistito quale semplice appassionato e umile studioso della storia e della cultura classica e umanistica, il Prof. Fabio Minazzi, docente di Filosofia della Scienza presso la stessa Università, ha avuto il coraggio di ricordare, tra i pochi in tutti questi anni, l’esempio dei dodici docenti universitari che, nel nome della libertà di pensiero e della ricerca, nel 1931 si rifiutarono di giurare fedeltà al regime fascista, venendo quindi cacciati dall’università e allontanati dall’insegnamento, e a tale riguardo mi è particolarmente caro il ricordo del dimenticato, poiché “scomodo” sia prima, sia durante sia dopo il regime fascista, ma uomo coraggioso e sempre coerente con la sua coscienza, Professor Ernesto Buonaiuti, illustre docente di storia del cristianesimo. I suddetti docenti non allineati con il regime non vennero menzionati come esempio del libero pensiero nemmeno dopo la caduta del fascismo e la nascita della Repubblica! Anche nella nostra Repubblica il loro esempio risultava evidentemente scomodo per il “potere”!!!

Tale giuramento venne introdotto con il Regio Decreto n. 1227 del 28 agosto 1931, il quale prevedeva che i professori di ruolo e i professori incaricati nei Regi istituti d’istruzione superiore dovessero prestare giuramento non solo al Re e alla Patria, secondo quanto già imposto dal regolamento generale universitario del 1924, ma anche al “regime fascista”.

In tutta Italia furono solo dodici su ben 1225 i docenti universitari di ruolo che si rifiutarono di prestare giuramento di fedeltà al regime, perdendo così la cattedra. Pochi altri, per sottrarsi a tale obbligo, andarono anticipatamente in pensione o andarono all’estero.

Occorre in verità ricordare che molti accademici vicini al partito comunista aderirono al giuramento seguendo l’indicazione di Palmiro Togliatti poiché, mantenendo la cattedra, avrebbero potuto svolgere «un’opera estremamente utile per il partito e per la causa dell’antifascismo» con una “resistenza passiva” all’interno dell’Università e che la maggior parte dei docenti cattolici, su suggerimento di Papa Pio XI, ispirato da padre Agostino Gemelli, fondatore e Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (per i docenti di questa Università lo stesso rettore Agostino Gemelli aveva ottenuto che non dovessero giurare in quanto non dipendenti statali, ma costoro vollero ugualmente giurare fedeltà al regime con l’eccezione di soli quattro docenti e dello stesso padre Agostino Gemelli), prestò giuramento «con riserva interiore». Vi fu infine chi prestò giuramento seguendo l’invito del filosofo liberale Benedetto Croce, già autore del manifesto degli intellettuali antifascisti nel 1925, a rimanere nell’università «per continuare il filo dell’insegnamento secondo l’idea di libertà» e per impedire che le loro cattedre, come disse Luigi Einaudi, cadessero «in mano ai più pronti ad avvelenare l’animo degli studenti».

Soltanto presso l’Università dell’Insubria a Varese vi è una targa posta (non senza difficoltà) in ricordo di questi dodici docenti universitari che preferirono essere allontanati dall’insegnamento piuttosto che scendere a compromessi con la loro coscienza e con la loro libertà di pensiero e di ricerca; una lapide commemorativa è stata posta anche presso l’Università degli Studi di Torino in ricordo del rifiuto al giuramento di fedeltà al regime dei quattro docenti di quell’Ateneo.

Albert Einstein scrisse una lettera al Ministro di Grazia e Giustizia Alfredo Rocco: “La mia preghiera è che lei voglia consigliare al signor Mussolini di risparmiare questa umiliazione al fior fiore dell’intelligenza italiana. … entrambi riconosciamo e ammiriamo nello sviluppo intellettuale europeo beni superiori. Questi si fondano sulla libertà di pensiero e di insegnamento e sul principio che alla ricerca della verità si debba dare la precedenza su qualsiasi altra aspirazione … la ricerca della verità scientifica, svincolata dagli interessi pratici quotidiani, dovrebbe essere sacra a tutti i governi …”. In seguito Einstein annotò nel suo diario: «In Europa andiamo incontro a bei tempi».

La cultura e il libero pensiero restano ancora un preziosissimo e un importantissimo conforto di fronte alla continua ingiustizia sociale e alla miseria sia umana che intellettuale dilaganti ormai da tanto tempo nella nostra società: “Qui non intelligit, non perfecte vivit” (Tommaso D’Aquino). Contro ogni fanatismo e oscurantismo sia politico che religioso mi piace ricordare l’acuto filosofo scolastico Pietro Abelardo secondo il quale “Dubitando enim ad inquisitionem venimus”!

Chiedendo scusa per il disturbo e sperando che nel nostro Paese vi siano sempre libere e critiche “mentes cogitantes” nei confronti di ogni forma di “potere”, indipendentemente dalla loro opinione politica e/o religiosa, colgo l’occasione per porgere i miei più cordiali saluti.

Alberto Morandi 

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