Germignaga | 22 Agosto 2018

Da Germignaga in Uganda, l’esperienza delle giovani Marta e Sofia: “L’Africa accoglie tutti”

Partite grazie al GIM di Germignaga, le due giovani luinesi raccontano le loro "vacanze": "Non solo per aiutare, ma è fondamentale anche partire per conoscere"

Da Germignaga in Uganda, l'esperienza delle giovani Marta e Sofia:
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Marta Simonetta e Sofia Giovanetti sono due ragazze che, dopo aver finito la scuola (Marta frequenta il Liceo Scientifico a Luino, Sofia iscritta a Psicologia a Pavia, ndr), hanno deciso lo scorso 22 luglio di partire per l’Uganda, grazie all’impegno e ai volontari del GIM di Germignaga, un’associazione di volontariato già attiva da parecchi anni in Africa.

Tre settimane in cui le ragazze si sono cimentate a vivere le loro “vacanze” in un contesto suggestivo, scoprendo il valore della conoscenza di nuove culture, di nuove abitudini, dimensioni socio-culturali e, soprattutto, dell’aiuto e della solidarietà verso il prossimo. “Un’esperienza positiva che da anni possono illuminare questo periodo di penombra che caratterizza la nostra epoca – afferma Gianfranco Malagola, referente del progetto per GIM-Terre di Lago – Così, quattro giovani del Luinese (Francesca, Marco, Marta e Sofia) hanno deciso di passare le loro vacanze in Uganda per conoscere, capire e lavorare con i missionari alla costruzione di scuole e dispensari per le popolazioni rurali del Karamoja”.

“Crediamo che questa esperienza faccia conoscere quanta solidarietà vi sia nei confronti di queste popolazioni da parte di tante associazioni che hanno capito come sia importante lavorare in Africa con l’Africa e per l’Africa al fine di dare un piccolo contributo alle grandi diseguaglianze tra il Nord ed il Sud del mondo – spiega ancora -. Questi viaggi di conoscenza e condivisione, ormai, sono diventato un progetto di alternanza scuola-lavoro tra il GIM ed il Liceo Scientifico di Luino che si concretizzerà con un altro viaggio di altri ragazzi nel mese si ottobre di quest’anno. La nostra è un’esperienza nata nel 1980 tra un gruppo di famiglie di Germignaga e le popolazioni dell’Africa che continua a crescere e a svilupparsi sui temi del rispetto dell’uomo e dell’ambiente facendoci compire come noi apparteniamo ad un’unica famiglia in un’unica casa comune”.

“Nel weekend si terrà Équalafesta – continua Gianfranco Malagola -, un momento di incontro e di riflessione sull’economia solidale che il GIM (Gruppo Impegno Missionario) organizza tra 25 ed il 26 agosto al Boschetto di Germignaga. Sabato 25 agosto alle ore 17.30 ci sarà proprio il racconto di Francesca, Marco, Marta e Sofia sul loro viaggio e domenica, invece, ci potrà partecipare ai tanti laboratori che si terranno al Villaggio Utopia nel Boschetto di Germignaga, tanti spunti per costruire comunità di persone più coese e solidali”.

Nel frattempo siamo andati a farci raccontare dalle due giovani luinesi la loro esperienza di tre settimane in Africa, ecco quello che hanno vissuto.

– Come mai siete partite? Come vi è venuta questa idea? Ci parlate del progetto?
Marta: Il progetto è organizzato dal GIM (gruppo impegno missionario) di Germignaga, un’associazione di volontariato che, dagli anni ottanta, è impegnata in attività di educazione e sviluppo del territorio nei paesi sottosviluppati, soprattutto in Africa. Per quanto mi riguarda il viaggio non è stato una mia idea, ma mi è stato proposto. Mia madre collabora con Gianfranco Malagola al progetto Terre di lago. Lui da anni è parte del Gim, e ha girato come volontario la maggior parte del continente africano. Ha raccontato più volte i viaggi a mia madre, che me li ha poi riportati. Da qui è nato il mio interesse e la proposta dei miei genitori di regalarmi il viaggio in Uganda come regalo dei 18 anni.

Sofia: Già da parecchi mesi mi ero messa in testa che dovevo partire per l’Africa. L’idea mi è venuta dopo aver letto l’esperienza di una ragazza conosciuta su un social, che raccontava del periodo trascorso in un orfanotrofio in Ghana. All’inizio la motivazione era esclusivamente quella di andare ad aiutare, ma man mano, soprattutto una volta arrivata in Uganda, ho maturato la consapevolezza che innanzitutto bisogna partire per conoscere. Forse è quasi troppo pretenzioso pensare di partire e mettersi a lavorare, a fare fin da subito, con l’idea fantasiosa che si possa andare e cambiare il mondo. In Africa, la prima volta ci vai per vedere. Per conoscere, per parlare e relazionarti, non solo con le persone che incontri, ma con una realtà che è radicalmente differente da quella quotidiana. Poi chissà, forse i cambiamenti più grandi dipendono proprio dalle relazioni che sei riuscito ad instaurare, dai paesaggi, dai volti e dalle parole scambiate che ti riporti in Italia.

Ci raccontate dove avete vissuto questa esperienza e con chi?
Marta: I primi giorni siamo state nella capitale ugandese, Kampala, nella casa dei padri comboniani, dove abbiamo conosciuto Padre Walter, colui che ci ha ospitato per le restanti tre settimane nel villaggio di Namalu, nella regione del Karamoja. Sofia e io non eravamo sole, ma accompagnate da alcuni volontari ormai veterani delle missioni ugandesi: Linda, Vincenzo, Silvano e Don Gianni. L’ultima settimana, insieme a Don Gianni, ci siamo spostate verso Kanawat, più a sud, alla missione di Padre Pablo, dove abbiamo conosciuto i suoi due nipoti ecuadoriani, Paola (16 anni) e Daniel (18).

– Di cosa vi siete occupate?
Sofia: Principalmente siamo state con i bambini di Namalu, che ogni giorno ci venivano a trovare dopo scuola per giocare insieme. Col passare del tempo il gruppo è diventato sempre più numeroso, perché si era sparsa la voce che avevamo un paio di palloni da calcio con cui giocare. In particolare, c’era un gruppetto di bambini con cui abbiamo legato moltissimo e che personalmente sono la cosa che mi manca di più dell’Uganda: Abigail, Keem, Anna, Joseph, Eliza, John, Pheelix, Hallan e Giacomo. Passavamo il tempo anche con due nostre coetanee del villaggio, Stella e Prisca, che ci hanno guidate alla scoperta di Namalu. Di tanto in tanto accompagnavamo Padre Walter che si spostava in base ai suoi impegni, e così abbiamo avuto modo di guardarci intorno il più possibile. Poi quando c’era bisogno aiutavamo gli altri volontari. Silvano e Vincenzo si sono occupati principalmente dell’istallazione di pannelli solari, mentre Linda e Don Gianni erano alle prese con la riverniciatura di alcune panche destinate ad una chiesetta lì vicino. Don Gianni inoltre si occupa delle adozioni a distanza, in particolare alla scuola di Kangole e Kanawat.

– Qual è la cosa che vi ha colpito di più di questo viaggio?
Marta: Onestamente non saprei dire cosa, è una realtà così profondamente diversa dalla nostra che sono rimata colpita praticamente da tutto: organizzazione dei villaggi, abiti, usanze religiose e non, modo di rapportarsi con gli altri (coi missionari soprattutto).

Sofia: Non credo ci sia qualcosa in particolare che mi ha colpito più di tutto. Ovviamente essere circondati da una situazione di povertà del genere costituisce spesso un bello shock emotivo e ci sono alcuni particolari che ci portavano a riflettere, che ti fanno rivalutare cose che hai sempre dato per scontato, a partire dall’acqua che bevi fino alle scarpe che porti.

– Quale la cosa più particolare che vi è capitata?
Marta: Un giorno una bambina di 10 anni mi ha chiesto le ciabatte per andare nel bosco per un bisogno urgente. Erano le uniche che mi ero portata e, visto che lei non le aveva generalmente le desiderano moltissimo, ero un po’ restia a dargliele. Gliele ho prestate comunque, e lei è sparita nel bosco. Dopo dieci minuti ho iniziato a insospettirmi, visto che tardava a tornare. Ho aspettato ancora, 20 minuti, e lei non si è fatta vedere. Allora sono uscita dal cancello e ho proseguito nella sua stessa direzione per cercarla. Spingendomi più verso l’interno del boschetto, l’ho vista accovacciata con un secchio d’acqua intenta a lavarmi le ciabatte. Sono stata così impressionata (sapevo quanto aveva bisogno e volesse le mie ciabatte) che per qualche minuto sono rimasta nascosta senza farmi vedere. Quando sono uscita, lei mi ha fatto un sorriso e mi ha chiesto scusa per avermele sporcate e per non essere riuscita a pulirle bene.

Sofia: Un ricordo a cui torno spesso e molto volentieri è l’immagine di me e Marta appena scese dalla macchina, prima di entrare in una chiesa, che veniamo circondate da decine e decine di testoline nere e con centinaia di occhietti vispi puntanti addosso. I bambini sono sempre un po’ diffidenti e disorientati davanti al colore della tua pelle, ma non riescono a smettere di guardarti, proprio perché sei strano, diverso. I più piccoli hanno addirittura paura, e magari si mettono pure a piangere se ti avvicini troppo. Però non appena tendi la mano per presentarti, nonostante la diffidenza, loro non vedono l’ora di stringertela. Così quella mattina, non appena la suora che era con noi ha detto ai bambini che non c’era motivo di avere paura, ci siamo ritrovate sommerse da mille manine in cerca di una stretta, di un segno di amicizia. Però, appunto, non è tanto un’esperienza o un momento in particolare che emerge con più forza rispetto agli altri ricordi; ci sono una serie di sensazioni che ben ho impresse in mente, ed è l’interezza del contesto in cui sei completamente immerso che ti colpisce: il colore della terra rossiccia, il cielo notturno da cui si vede distintamente la via lattea, le urla delle donne durante i canti, l’accento delle persone quando parlano inglese, i nomi tradizionali e i suoni delle parole in Karimojon, i bambini che ti salutano per strada, i loro occhietti stupefatti che studiano la tua pelle bianca, la loro inventiva nel giocare, la voglia di esserti amico, e così via.

– Come reputate questa esperienza? La rifareste? 
Marta: Partirei adesso se potessi, soprattutto perché ho legato molto con le persone di Namalu e perché il Karamoja é così bello che non puoi non volerci tornare. È un’esperienza che reputo estremamente arricchente da tutti i punti di vista, apre la mente moltissimo e soprattutto aiuta ad avere una visione obbiettiva e completa della situazione africana.

Sofia: Di sicuro si tratta di un’esperienza intensa. Appena tornate io e Marta già pianificavamo il nostro ritorno, e ogni volta che ci vediamo parliamo di quanto ci mancano i nostri bambini. E’ una realtà per la quale è facile provare nostalgia, non a caso si parla di mal d’Africa.

– Consigliereste un impegno di questo tipo ai vostri coetanei?
Marta: Assolutamente sì, in primis per rendersi conto di quanto siamo fortunati e soprattutto per vedere da vicino una realtà che sembra dimenticata dai media occidentali, evidentemente più concentrati su altri aspetti dell’Africa.

Sofia: Non penso che conti molto l’età, basta avere voglia di conoscere e di riempirsi gli occhi e si può partire. L’Africa accoglie tutti.

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