Luino | 18 Agosto 2018

“Westweg”, alla scoperta della Foresta Nera: il lungo cammino nella natura del luinese Lorenzo Buscaino

La prima parte del racconto del 25enne che sviscera l'esperienza tra cammino, partenza e conoscenza. "Viaggiare soli aiuta a riconnettersi con parti di noi assopite"

Tempo medio di lettura: 10 minuti

Dopo la grande avventura lungo la via del Sale, che lo aveva portato da Luino a Portofino nel mese di febbraio, cibandosi solo di erbe spontanee, il 25enne luinese Lorenzo Buscaino a luglio, in otto giorni, ha compiuto un’altra esperienza “wild”.

Zaino in spalla, infatti, Lorenzo ha percorso in lungo e in largo, dal 17 al 25 luglio, il Westweg, percorso escursionistico della “Foresta Nera”, in Germania. Un’altra occasione per mettere a dura prova i propri limiti, lontano della civiltà, con un solo obiettievo: viaggiare, camminare ed apprezzare le bellezze naturali di uno dei luoghi più affascinanti d’Europa.

Da anni, però, Lorenzo e Diana, che raccontano i loro viaggi sui Social, su Instagram e su Facebook, sulla pagina “Viaggiare è pura libertà”, hanno deciso di creare un blog con il medesimo nome, per racchiudere tutte le loro avventure.

Questo nel Westweg, infatti, è solo l’ultimo dei viaggi fatti da Lorenzo, già pronto per nuove avventure all’insegna della scoperta della natura. Ecco la prima parte del suo racconto.

CAMMINARE

L’atto di portare un piede davanti ad un altro, verso un luogo mai visto prima. La successione di passi. Sentire il terreno evolvere sotto di sé. Ascoltare le verità della vita, come quella che afferma che cresciamo assieme ad ognuno di quei passi. Pensare ad un cammino nuovo è qualcosa che ogni volta mi fa eccitare.

Così, quando uno dei miei più grandi amici, un’anima molto simile alla mia, quella di M., uno di quei pochi che chiami fratello, si è rivolto a me nell’intenzione e nella speranza di affrontare insieme il Westweg, la mia risposta istintiva è stato un ovvio ‘Sì, facciamolo!’ Il percorso che abbiamo di fronte si è presentato subito per ciò che è: arduo, intenso, complicato per i nostri tempi. Dodici giorni di cammino sono troppi. Tra un rattoppo ed un altro ne riusciamo ad estrapolare miracolosamente dieci. La domanda è: ‘Ce la possiamo fare in dieci giorni?’ Ci si pensa e si ripensa, ci si convince e poi ci si lascia andare in un rassegnato ‘Nulla, sarà per la prossima volta…’

Eppure siamo ancora lì, a guardare quella cartina su internet e a domandarci se non stiamo perdendo un’occasione per vivere appieno. Ci guardiamo negli occhi, rendendoci ancor più consapevoli che saremmo stati la coppia perfetta per camminare soli in mezzo al nulla: io più avventato e lui decisamente più razionale. I tentativi di trovare un altro Trekking non ci soddisfano e così prende sempre più piede la convinzione di essere già in cammino, in un territorio di cui sappiamo pochissimo, in Terra Straniera.

Detto, fatto. Siamo dentro al viaggio. Diamo il via ai veri preparativi. Nel farlo ci torna in mente di quel tale sul quale avevamo letto, in un forum di tutto rispetto, che aveva speso un intero anno per organizzare ogni dettaglio di questo stesso viaggio.

Noi siamo pronti in meno di quarantotto ore. Non ce ne rendiamo nemmeno conto ma è già la sera prima della partenza. Di nuovo quella sensazione, quell’entusiasmo unico che si prova prima di una partenza. Ma qualcosa, quella sera, non va. All’incontro con M. noto che la sua espressione è profondamente cambiata. E’ un espressione a cui entrambi diamo quasi immediatamente un senso: M. è ormai fuori dal viaggio. I suoi recenti problemi personali, i quali nessuno meglio di me può comprendere, vengono inaspettatamente intrecciati a complicazioni di origine familiare.

In quel momento non provo a combattere il destino, al contrario, compatisco il mio amico, lo ascolto, lo sprono a non abbattersi, ‘Ci sarà un’altra occasione per noi’, gli dico. Poco dopo ci salutiamo e realizzo che, nel giro di un’ora, il plurale è diventato singolare. E mentre l’eccitazione a poco a poco svanisce, rifletto. Io. Di nuovo io, da solo ad affrontare un cammino. Ma era davvero quello che volevo? Sono sempre stato un tipo introverso, di natura e per scelta, con tutte le conseguenze che ne derivano (chiusura, difficoltà nell’esprimermi, malessere sociale, ecc…) Ma da qualche tempo a quella parte la mia scelta era cambiata. Io ero cambiato. Avevo vissuto in modo sbagliato? In parte sì, in parte no. Mi ero perso un sacco di cose, introiettando tutto, creando il mio mondo personale.

Sono convinto che nulla di ciò che siamo o siamo stati è da buttare via. I momenti difficili della mia vita e l’incredibile potere della condivisione mi avevano portato alla decisione di non essere più introverso. O, perlomeno, cercare di non esserlo più, combatterne gli aspetti negativi. In fondo stavo già imparando qualcosa a cui, spesso, viene attribuito poco valore: stavo imparando a pensare. Mi sono imbattuto in brevissimo tempo in tantissime verità, di quelle che sanno colpirti forte, di quelle che possono distruggerti, ed io ho avuto l’incredibile capacità di lasciarle fare. Ho lasciato che ogni parte di me si sgretolasse, al fine di poter ricostruire con maggiore impegno un Lorenzo da ogni punto di vista migliore. Ero rinato. Ho scoperto solo in seguito che tutto ciò fa parte di una dote umana, con nome e cognome, alla quale pochi riescono pragmaticamente ad attingere: la resilienza.

Per questo ora mi trovo sveglio, sdraiato sul letto, a fissare il soffitto. ‘Sto facendo la cosa giusta?’ Dieci giorni da solo? In una Nazione in cui non sono mai stato? Con il rischio di non parlare con nessuno per giorni interi?
Me la stavo proprio cercando. Ma ormai ero dentro al viaggio.

PARTIRE

L’euforia è alle stelle. Non ho dormito molto, alzarsi dal letto alle quattro e quaranta quindi non si rivela una grande impresa. Lo è un po’ di più per la mia dolce metà, costretta ad accompagnarmi a prendere il treno. Prima di uscire di casa mi concedo qualche minuto per contemplare il mio zaino. E’ davvero un capolavoro, non ricordo per quanto ho maledetto i mostri da sessanta litri che mi ero dolorosamente trascinato dietro per i cammini svoltisi precedentemente in Italia. Questa volta non avrei compiuto gli stessi errori. Ho optato per uno zaino minuscolo, un venticinque litri, nel quale mi sono imposto di farci entrare tutto l’occorrente.

Ora che l’euforia è tornata, ho voglia di camminare tanto, di darci dentro ogni giorno, di non perdermi nulla e di vivere appieno questa grandiosa esperienza che mi aspetta. Lo zaino contiene una tenda da Hiking, anch’essa capolavoro di ingegneria, pesa pochissimo. Poi un sacco a pelo, una borraccia, una piccola scorta di cibo, il kit di pronto soccorso, keeway, telo antipioggia per lo zaino, un maglione, un pantalone, caricabatterie cellulare e fotocamera, due powerbank. Decido deliberatamente, escluse mutande e calzini, di non portare alcun cambio: laverò tutto ciò che indosso giorno per giorno. Per il resto, solo Gopro e fotocamera a portata di mano.

Mettersi in viaggio. Salire su quel treno e sedersi su una di quelle poltrone. Mi sento vivo. Sto davvero vivendo, ora. Viaggiare da soli è un altro modo per riconnettersi con parti di noi assopite, delle quali magari non ricordiamo nemmeno l’esistenza. Sono io, sono pienamente me stesso. Nella mia condizione di ‘ragazzo impegnato’ non sarebbe esattamente la stessa cosa se non avessi a fianco una persona come Diana, che ha sempre dimostrato di essere in grado di comprendermi, di vedere oltre i muri, di rispettare, di cambiare assieme al cambiamento.

In un viaggio l’attimo prima di partire è carico di distorsioni della realtà, di immaginazione, di ‘se’ e di ‘ma’. Ma quando parti rimane la vera vita e te stesso, niente altro.

CONOSCERE

Ammiro con estasi l’evoluzione dell’ambiente esterno attraverso il vetro del finestrino del treno fino a che questi non raggiunge il famoso ed interminabile Traforo del Gottardo. Quindi lì, nel buio della galleria, penso a quando pochi minuti prima partivo da Bellinzona salutando Diana. La sua presenza mi manca già in questo viaggio.

Cambiato il treno a Zurigo, dopo circa un’ora raggiungo Basilea, collocata nell’estremo nord del territorio elvetico, al confine con la Germania. Grazie alla traccia GPS installata sul dispositivo mobile non impiego molto tempo a trovare il primo cartello della segnaletica escursionistica dedicata al Westweg. La storia di questo percorso è da ricercare agli inizi del novecento quando la sezione di Baden del Schwarzwaldverein (la corrispondente tedesca del CAI, che si occupa della salvaguardia dei sentieri su tutto il territorio della Foresta Nera) propone, per la prima volta nella storia, un Trail che tagliasse nord-sud tutto il territorio della Schwarzwald, la Foresta Nera, in Germania. Da qui nasce il Westweg, duecentosettantacinque chilometri di percorso che si snodano lungo una meravigliosa e primordiale foresta di conifere, intervallata solo da eleganti picchi montuosi e verdi specchi d’acqua. Come scenario delle innumerevoli fiabe dei fratelli Grimm, la Foresta, nasconde una ricca storia che non si celebra solo nel suo paesaggio ma anche nella sua cultura e nei suoi miti. Miti fortemente influenzati dalle strutture architettoniche preziosamente conservate, romaniche e celtiche, testimonianze non difficili da trovare sul sentiero, che donano quel definitivo sentore epico.

Cammino e cammino, giusto il tempo di due lunghe colline e Basilea si fa già lontana. Alcune solitarie nuvole caratterizzano ancor di più un cielo già di per sé meraviglioso. Mi fermo. Salgo su una di esse e mi osservo dall’alto. Alle mie spalle è ancora presente il caos urbano e la quotidianità, all’orizzonte rigogliose si manifestano le conifere e l’eccezionalità.

Sento possentemente accrescere in me un bisogno di conoscenza. Quante volte, durante questo imprescendibile percorso chiamato Vita, mi sono trovato a sentirmi clamorosamente ignorante, sopraffatto dalle vicissitudini di tutti i giorni, recluso come un animale rabbioso, incapace di sbrigliarsi da quelle corde che insistentemente lo mantengono legato all’ostile parola Società. Ma piano piano la luce ha cominciato a farsi vedere alla fine di questo flemmatico vivere. Il più grande nemico della conoscenza non è l’ignoranza, ma l’illusione di conoscenza.

L’immersione nella Schwarzwald è graduale, sorpassato il confine, realizzo di trovarmi per la prima volta nella mia vita in territorio tedesco e questa metamorfosi lenta mi regala la possibilità di un confronto diretto con la vita che si svolge qui in Germania. Calma, pulizia, precisione, ordine. Nulla appare trascurato, nemmeno in questi stralci di paesini.

Gli occhi si perdono tra i colori dei fiori e le forme delle case. Controllo il display della Reflex. Segna centotrenta scatti, eseguiti in meno di quattro ore. Dopo altre tre ore circa approdo a Kandern, cittadina deliziosa. Verifico il contachilometri sul cellulare che ne segna circa venti percorsi. Per oggi è abbastanza, mi dico, in fin dei conti non voglio ammazzarmi il primo giorno. Entro nella prima Kneipe e mi scolo subito due rigeneranti Birre Weizen. E’ come non aver mai bevuto birra, detto da uno spudorato amante di questa sacra bevanda. Posso dire a voce alta che la Legge della Purezza fa proprio il suo dovere da queste parti.

Rimetto lo zaino sulle spalle, pago il conto e scivolo via dalla birreria. Una volta in strada, nel centro di Kandern, mi accorgo di barcollare. Nessun sintomo di alterazione di coscienza, solo quella leggera sensazione di perdita dell’equilibrio che può causare un litro di alcolici a stomaco vuoto. Consulto la mappa sul dispositivo mobile ed individuo subito una potenziale zona non poco distante, dove piazzare la mia tenda. Recupero del cibo da un distributore di benzina miracolosamente aperto. Sono già le ventuno, mangio mentre mi incammino verso l’ignoto.

Per fortuna quel poco di esperienza maturata ha giocato a mio favore: la zona prescelta risulta adatta alle mie esigenze. Piuttosto immersa nella foresta, erba per niente alta, relativamente vicina ad un’area pic-nic e distante un paio di chilometri dal centro abitato. Dieci minuti e sono già nel mondo dei sogni.

SUDARE

Sto camminando da oltre sette ore, da oltre venti chilometri. Il non aver incontrato nemmeno una persona mi fa capire che sono entrato nella vera Foresta. Chiudo gli occhi e respiro. L’aria è fresca e sembra possedere l’effetto mistico di rilassare i miei muscoli indolenziti, di rigenerare la guaina mielinica dei miei neuroni sovraccarichi e di alleggerire il mio umore che talvolta risente della solitudine. Ho affrontato finora sali e scendi susseguiti da brevi spianate immerse nel verde più totale.

Ti trovi in mezzo alla selva ed intorno a te il nulla, per chilometri e chilometri. Divieni capace di provare un senso di libertà di cui sarà difficile parlare e spiegare. Sei felice e non riesci a capirne il motivo. Sorridi ad ogni minimo movimento del sottobosco, lasci scivolare le dita tra i fili di erba più alta, accarezzi le cortecce dei pini, ti butti per terra e cerchi con lo sguardo le fronde più alte degli alberi, ascolti cosa la natura ha da dirti ed improvvisamente il tuo passo diviene molto più profondo e rispettoso.

Raggiungo una zona pianeggiante più grande ed asfaltata, dove incontro diversi gruppi di escursionisti locali e ciclisti, una Gast Haus ed il primo cameriere antipatico. Mi faccio servire subito una Radler Bier ed in seguito ordino un piatto di Spatzle alle verdure ed una porzione di Funghi Contadini in salsa: in quel momento la scelta più consona per un vegetariano. La mia regressa esperienza nella ristorazione mi fa immediatamente rivalutare l’antipatia del cameriere: entrambe le terrazze sono piene e manca il personale. E’ costretta ad uscire e servire in sala una ragazza della cucina con ancora il grembiule sporco addosso. Quante volte avevo assistito a scene del genere in Italia, mi rallegra perlomeno il fatto che ancora una volta mi trovo d’accordo con il detto ‘tutto il mondo è paese’.

Ad ogni modo finisco il mio pranzo e, completamente soddisfatto, pago il conto lasciando volentieri la mancia, ma comunque considerata obbligatoria in Germania. Mi rimetto in cammino molto, molto lentamente. So che mi attende la salita al Belchen, il picco montuoso più alto del percorso, dopo il Feldberg, che in futuro si rivelerà assai più semplice da conquistare.

Mi concedo tutto il tempo per riprendere il passo ma il Belchen è una bella canaglia. Mette alla prova la mia preparazione atletica: è il secondo giorno, il caldo cocente mi divora la nuca scoperta e già sette ore di cammino sono sulle mie spalle. Ci impiego altre due ore abbondanti e sono finalmente in vetta. Me la godo. Ed assaporo la vista panoramica sulla Schwarzwald. Per la prima volta sono circondato da pini e abeti in qualsiasi direzione guardi, per almeno cinquanta chilometri, situazione che vivrò in seguito molte volte, dalla cima di montagne o di torri romaniche, alla quale non sono mai riuscito ad abituarmi.

Dopo i festeggiamenti solitari in cima al Belchen, decido di procedere alla discesa verso un rifugio alpino situato a circa seicento metri più in basso. Si fa ora di cena e avvisto un hotel-ristorante ma la mia fame viene interrotta e momentaneamente archiviata. Faccio la conoscenza di una donna, cinquantacinquenne, attira la mia attenzione per via della sua tenuta da trekking e per l’enorme zaino sulle spalle. La prima persona, escludendo ordinazioni di cibo ed indicazioni, con cui riesco a parlare, anche perché l’unica incontrata fino a questo momento che conosce l’inglese.

Menomale’ penso, stavo cominciando a risentire del discostamento umano (che è ben diverso dal discostamento sociale). Chiacchieriamo un po’ e mi spiega le sue intenzioni di dormire in vetta. Mi invita, osservando con titubanza il mio piccolo zaino. Affermo di avere una tenda all’interno: fa fatica a credermi. ‘I’ve everything i need, here’ la rassicuro io, rispondendo pure al suo quesito sulla torcia frontale, domanda di tutto rispetto: sono le venti passate e devo ancora fermarmi all’hotel a mangiare, la risalita al buio era pressoché assicurata.

Ceno con patate al forno e una ricca insalata di bietole, mais, cetrioli e legumi, guarnita da varie salse incredibilmente succulente. Il dolce mi ispira: una Cheesecake rigorosamente fatta in casa. Divorata. Conto, mancia, auf wiedersehen! Qualcuno diceva che ogni cosa bella costa sacrificio. E’ proprio ora di sacrificarsi un po’. Completo nuovamente l’ascesa, questa volta al buio.

Non era la prima volta che camminavo in un bosco con il buio e, a discapito di ciò che si può immaginare, è fattibilissimo. Ma questa è la Schwarzwald, ed è un territorio che non conosco ancora abbastanza. Di conseguenza, leggermente preoccupato, salgo in fretta e dopo una mezzora sono di nuovo in cima. Maglione in pile, pantaloni lunghi, tenda e Guten Nacht!

FINE PRIMA PARTE

Per guardare le tante “storie Instagram” del viaggio nel Westweg pubblicate da Lorenzo sul profilo “Viaggiare è pura libertà”, cliccare qui.

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