Lavena Ponte Tresa | 14 Aprile 2018

Olimpia Calcio, “La professionalità di Oscar Verderame per i nostri giovani portieri”

L'ex calciatore professionista: "Crescere insieme sulla base di uno scambio reciproco e continuo: ecco in cosa si riassume, per me, l'essenza di un allenatore"

Tempo medio di lettura: 6 minuti

Piccoli ed impercettibili miglioramenti che, settimana dopo settimana, ingrandiscono il bagaglio dei giovani atleti, l’entusiasmo che si fonde con le gocce di sudore che scorrono sulle loro fronti e l’avvincente avventura del crescere, sono solo alcune delle imprescindibili basi sulle quali poggia il lavoro che l’Olimpia Calcio porta avanti con i suoi giovani atleti a Lavena Ponte Tresa.

A far da sfondo a questa realtà sportiva, il costante impegno volto a migliorarsi attraverso l’attenta e puntuale ricerca di tutto quello che il mondo dello sport può offrire. Ed è proprio dalla volontà di offrire un’elevata professionalità già partire dalle più tenere fasce d’età, che nasce la scelta di affidare i giovani portieri a Oscar Verderame, affiancato nel corso degli allenamenti da Vinicio Cipolletti.

Grinta, professionalità, determinazione e minuziosa attenzione al dettaglio. Oscar Verderame, classe 1971, ha iniziato nel settore giovanile del “Varese Calcio” per poi passare all’Inter fino alla primavera. Ha disputato 400 gare ufficiali nel calcio professionistico con Solbiatese, Lamezia, Lodigiani, Savoia, Gualdo Tadino, Ternana, Pistoiese, Pisa, Mantova, Lucchese, Valenzana, Cosenza ed infine Varese, dove ha sfiorato la Serie A in quella fantastica cavalcata che ha portato il Varese a giocarsi la massima serie contro la Sampdoria, perdendo nei playoff.

Oscar, ormai, oggi fa l’allenatore e da qualche anno annovera tra i suoi atleti anche i giovani portieri dell’Olimpia Calcio. Un lavoro complesso e pieno di sfaccettature che siamo andati a farci raccontare proprio dall’ex giocatore, che al suo attivo vanta una carriera calcistica ricca e piena di soddisfazioni che oggi mette a disposizione di chi al mondo del calcio si affaccia per le prime volte.

Quando è nata la tua passione per il calcio?

Non so dire di preciso quando sia nata, per quel che ricordo è sempre stata lì. Sin da quando ero piccolissimo con fratelli e amici si giocava a calcio e, nonostante non avessi una costituzione particolarmente robusta, il ruolo del portiere, in un modo o nell’altro, è sempre stato il mio.

Quando e come di questa innata passione per il calcio sei riuscito a fare il tuo lavoro?

Le prime esperienze nel settore giovanile le ho fatte nel “Marchirolo” quando ancora non c’era il “Tre Valli”. Da lì, complice una partita di amici che giocavano nel Varese, il papà di uno di loro, ha parlato di me al direttore con l’idea che avessi qualche possibilità. Sono andato a fare qualche allenamento e sono piaciuto, da lì ha avuto inizio un po’ il tutto. Ho fatto un anno nei giovanissimi, un anno negli allievi del Varese e poi sono andato all’Inter dove ho fatto 4 anni partecipando anche al ritiro precampionato. Ricordo ancora che l’anno successivo l’Inter vinse lo scudetto: per me, da interista, era la realizzazione di un sogno. Quattro anni meravigliosi, una sensazione stupenda: faticavo a crederci. Al termine dei 4 anni ho girato un po’ l’Italia facendomi le ossa in serie C trovandomi a giocare anche in piazze importanti: una bella soddisfazione. Nel 2004 sono tornato a Varese dove, dopo il fallimento dei Turri, si ripartì dall’Eccellenza arrivando quasi alla serie A. Che dire? Ho giocato più 400 partite tra i professionisti: è così che la passione diventa lavoro.

Quando ha avuto inizio la tua carriera di allenatore? Come hai vissuto questo passaggio?

Dopo aver fatto esperienza in giro per l’Italia mi sono fermato al Varese, quella che è stata un po’ la mia “casa” di sempre e da un giorno all’altro mi sono trovato dallo spogliatoio dei giocatori a quello dello staff. In questo senso il passaggio non è stato così traumatico, anche perché per me il solo fatto di essere potuto tornare al Varese ha significato molto.

Cosa vuol dire per te essere allenatore?

Essere allenatore significa mettere a disposizione di chi viene dopo di te il tuo bagaglio di conoscenze ed esperienze, ma non solo. Significa anche sapersi confrontare con i propri ragazzi ed avere la capacità e l’umiltà di mettersi continuamente in discussione. L’idea di crescere insieme sulla base di uno scambio reciproco e continuo: ecco in cosa si riassume per me l’essenza di un allenatore.

Cosa ti dà questo lavoro e cosa tu riesci a dare ai tuoi ragazzi?

La risposta a questa domanda è differente in base alla fascia d’età che mi trovo ad allenare. Con i più piccoli la soddisfazione più grande è vedere il tuo lavoro che prende forma negli anni attraverso i loro progressi. E’ stimolante vedere che ti ascoltano, mettono in pratica e realizzano quel che gli insegni. Avere, attraverso i loro progressi, la conferma del fatto che stai facendo un buon lavoro è ciò che ti sprona ad andare avanti, giorno dopo giorno. Loro diventano in un certo senso il metro con cui tu stesso giudichi il tuo lavoro.

E con i grandi?

Con i grandi il discorso cambia un pochino. Nonostante i differenti ruoli su cui si basa l’interazione con loro cerco sempre di instaurare un rapporto di allenatore/amico, facendo sempre attenzione a mantenere un equilibrio tra le due figure che propongo. Per riuscire a lavorare bene e con serenità è importante conoscere bene i paletti e i limiti all’interno dei quali le figure di allenatore e amico coesistono. L’allenatore non può ovviamente sostituirsi al genitore, ma spesso proprio per la posizione che ricopre riesce a instaurare un dialogo “privilegiato” che, soprattutto nelle fasce d’età più complesse, diventa rilevante. Io tengo molto a loro e loro sanno di trovare in me un punto di riferimento.

E qual è la differenza tra l’Oscar giocatore e l’Oscar allenatore?

La differenza è la mentalità. L’Oscar allenatore è diventato papà e si è sposato. Dal 2007 faccio l’allenatore dei portieri, un lavoro per cui nel frattempo ho studiato e ho preso il patentino Uefa B, che mi da l’abilitazione per poter allenare anche i portieri di Serie A. Insomma in un certo senso Oscar è diventato “grande” anche se, poi, lavorare in questo ambiente “costringe” a rimanere giovani.

Mi racconti la differenza tra la sensazione di entrare in campo da allenatore e da giocatore?

Due sensazioni sicuramente differenti. Da giocatore sei protagonista e agisci spinto da quel che ti senti di fare. Quando sei allenatore arrivi fino al sabato a fare la rifinitura ma, poi, non puoi più far niente se non stare ad osservare l’evoluzione del lavoro che hai svolto. Vorresti fare ma non puoi: è una sofferenza diversa. Dà tanta soddisfazione vedere i propri ragazzi essere protagonisti, ma c’è molto da sperare e soffrire a bordo campo. Inoltre, venendo dal campo di calcio conosco le sensazioni che i miei ragazzi possono provare ed in qualche modo le vivo insieme a loro. Come allenatore posso dare dei consigli, ma è fondamentale per me non snaturare i ragazzi, lasciandogli in partita lo spazio per dare al gioco la loro personale impronta. Se un allenatore impone ai suoi ragazzi una ferrea modalità di gioco rischia di non vedere mai le loro qualità emergere.

Parliamo dell’Olimpia: una realtà che ha scelto di affidarti i suoi giovani portieri. Come sei arrivato qui, cosa hai trovato e soprattutto qual è il valore aggiunto della tua presenza in questa realtà sportiva?

Conoscevo già la realtà dell’Olimpia essendo un uomo “di valle”, ma la proposta di allenare i portieri mi è arrivata tramite una conoscenza. Qui mi sono ambientato e trovato bene da subito, sia con i ragazzi che con lo staff. Questa società è caratterizzata da un bellissimo ambiente e sin dall’inizio mi è stata lasciata carta bianca. Questo mi ha permesso di costruire un percorso con i ragazzi, che nel frattempo vedo crescere, e questo è qualcosa che non ha prezzo. Vedere la loro fatica e insieme a questa i loro miglioramenti, dà davvero una grande soddisfazione. Questo è quello a cui le realtà sportive dovrebbero ambire: essere sì una scuola di sport ma anche, e soprattutto, di vita. Che poi è un po’ il concetto che abbiamo voluto trasmettere nella scelta del nome della ASD a cui abbiamo dato vita e con la quale ci occupiamo della preparazione dei portieri di diverse società: “Cresco imparando“.

Proprio per la capacità di attrattiva che lo sport esercita sui ragazzi, in una realtà come quella di Lavena Ponte Tresa, qual è il ruolo che assume una società sportiva come l’Olimpia?

Credo che lo sport sia in qualche modo una scuola di vita, capace di portare i ragazzi a diventare delle persone in grado di interfacciarsi al mondo ma anche, e soprattutto, all’altro. In questo senso una realtà come l’Olimpia permette ai ragazzi di crescere in un ambiente sano, come può essere quello dello sport, instaurando, al contempo, dei legami con il contesto sociale nel quale vivono. Il calcio, in particolare, essendo uno sport di squadra obbliga i ragazzi a ragionare in un’ottica plurale. Il rapporto con gli altri e la capacità di relazionarsi assumono ancora più rilievo, poi, se guardati parallelamente alla smisurata crescita delle “realtà virtuali” che sempre più spazio si ritagliano nella vita dei nostri ragazzi.

Quanto l’essere stato un giocatore ti aiuta nel tuo lavoro?

Nell’allenare, ovviamente, il mio passato da portiere mi aiuta moltissimo perché spiegare qualcosa che hai sperimentato sulla tua pelle è tutta un’altra cosa. Conosci quel che stai chiedendo ai tuoi ragazzi, riesci a calibrare la mole di lavoro, facendo attenzione ai dettagli che nel tempo fanno la differenza. Credo che in allenamento non lasciare niente al caso sia fondamentale soprattutto per il loro futuro.

“Avere all’Olimpia una figura dello spessore di Oscar è un privilegio – spiega il responsabile del settore giovanile, Saverio Lucà -. La cura con cui si occupa della crescita sportiva dei nostri ragazzi e la sua determinazione nel fare sempre ciò che rappresenta il meglio per loro, lo rende un allenatore assolutamente in linea con quella che è la filosofia della società. Non vogliamo per i nostri bambini e ragazzi un allenatore superficiale, che scarica da internet un percorso di allenamento e punta solo al risultato. Un allenamento non ponderato con la giusta consapevolezza può provocare dei danni al fisico degli atleti e questo è quanto di meno etico una società sportiva possa fare. Mettere al centro lo sviluppo armonico dei ragazzi, strutturare un allenamento capace di tenere conto di diversi fattori e non farli crescere con l’ossessione del risultato ma con l’umiltà di imparare dai loro errori, per noi è fondamentale. Guardiamo ai nostri bambini un occhio rivolto ai ragazzi che saranno domani. Non vogliamo rimediare dopo. Vogliamo creare i presupposti per non dover rimediare”.

© Riproduzione riservata

Vuoi lasciare un commento? | 2

2 risposte a “Olimpia Calcio, “La professionalità di Oscar Verderame per i nostri giovani portieri””

  1. LUIGI ha detto:

    ottimo articolo

  2. LUIGI ha detto:

    un grande allenatore ma anche un uomo vero!!

Lascia un commento

"Luinonotizie.it è una testata giornalistica iscritta al Registro Stampa del tribunale di Varese al n. 5/2017 in data 29/6/2017"
P.IVA: 03433740127