Varese | 12 Settembre 2023

Tentato omicidio di Cittiglio, il racconto dell’aggressione

Inizia il processo al 29enne accusato di aver cercato di soffocare, lo scorso 20 marzo, la donna che lo ospitava. Le parole della vittima e quelle dell’imputato

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L’odore pungente dell’ammoniaca, la presenza di un intruso nel letto, uno strofinaccio premuto sul naso. Il panico che interrompe il sonno, il tentativo di togliere le braccia da sotto il cuscino e di sottrarsi a quella presa che le stava impedendo di respirare. Poi una reazione dettata forse dall’istinto di sopravvivenza, che sorprende l’aggressore, scaraventato al suolo. E infine la fuga dalla stanza tra le urla dei figli piccoli.

La scena è quella del tentato omicidio dello scorso 20 marzo, e a descriverla è la 40enne di Cittiglio sopravvissuta al violento gesto, che oggi la Procura di Varese contesta ad un 29enne con problemi di tossicodipendenza, arrestato pochi giorni dopo i fatti.

Il racconto di quella terribile mattina ha aperto il processo in tribunale a Varese. Davanti ai giudici la persona offesa, che si è costituita parte civile nel procedimento con l’avvocato Simona Ronchi. E alle sue spalle, nella gabbia per i detenuti, il giovane imputato, difeso dagli avvocati Corrado Viazzo e Valentina Commisso, che ha ascoltato la deposizione senza scomporsi, con lo sguardo quasi sempre rivolto verso il basso.

Fu lo stesso 29enne quella mattina di marzo a dire alla donna di chiamare i carabinieri, e a farsi trovare in strada all’arrivo dei militari dell’Arma, chiedendo espressamente di essere portato via, così da essere certo di non poter compiere altri gesti folli.

Quel gesto che lo ha portato in carcere, invece, sarebbe legato ad una sorta di “scambio di persona”, forse dovuto allo stordimento causato dall’alcol e dalla cocaina. Lo aveva detto il ragazzo, dopo il fermo, e lo ha confermato oggi in udienza la persona offesa: «Pensava fossi la sua compagna». Quella compagna con cui l’imputato, stando alle parole della 40enne, viveva un rapporto di continui tira e molla. E quando il 29enne finiva fuori casa, trovava ospitalità dalla odierna persona offesa, considerata una “zia” acquisita.

«Era stato nuovamente cacciato – ha raccontato ancora la 40enne parlando dei giorni precedenti l’aggressione – Non volevo riprenderlo, ma alla fine mi sono messa una mano sul cuore e l’ho accolto un’altra volta».

La mattina del 20 marzo, intorno alle 7.15, la donna era sola in casa con i suoi due figli piccoli. Il marito era già uscito per andare al lavoro. La vicina del piano di sotto fu la prima ad intervenire, ma trovò l’ingresso bloccato. Un dettaglio che ancora oggi è motivo di inquietudine per la vittima: «Se non voleva aggredire me perché ha bloccato la porta con la catenina?».

L’imputato, che fornirà la sua versione dei fatti più avanti, nel corso del dibattimento, ha comunque chiesto la parola per delle dichiarazioni spontanee, negando di essere stato in comunità per dei problemi di droga: «Ho frequentato una comunità evangelica prima del Covid – ha spiegato ai giudici – avevo bisogno di lavorare, di un posto dove stare e di staccarmi da tutto».

La 40enne, oggi in cura per superare il trauma di quei terribili momenti, ha invece scelto di lasciare la casa di Cittiglio: «Vivo dai miei genitori. È l’unico posto in cui mi sento tranquilla».

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