Verbania | 24 Giugno 2021

Stresa, un mese dopo la tragedia. Il punto sulle indagini

Continuano le analisi su smartphone e computer degli indagati. L'8 luglio ci sarà la prima ricognizione sulla cabina. Ieri il ricordo delle vittime con una messa

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(Immagine di copertina dal sito Vconews.it) Un mese ieri. Sono trascorsi trenta giorni dal 23 maggio scorso quando, poco dopo mezzogiorno, una cabina della funivia Stresa – Mottarone, con a bordo quindici turisti, tra cui tre bambini, si è schiantata al suolo da un’altezza di circa trenta metri, dopo aver percorso all’indietro, ad una velocità folle, il tragitto che conduce alla stazione di arrivo in vetta alla montagna dei due laghi.

La cabinovia era quasi a fine corsa quando, dopo un forte rumore metallico, ha cambiato improvvisamente il senso di marcia, alterando in maniera tragica e irrimediabile anche il destino delle persone a bordo. Tutte morte, fatta eccezione per un bambino di cinque anni, trasportato d’urgenza in ospedale dove i medici lo hanno operato, salvandogli la vita. Il piccolo, di nome Eitan, ha lasciato l’ospedale pediatrico “Santa Margherita” di Torino due settimane fa e si trova ora nel Pavese, presso la casa degli zii. Chiede dei suoi genitori ma sa che non torneranno più. La sua delicata riabilitazione, sia fisica che psicologica, prosegue nella tranquillità del contesto familiare che è diventato la sua nuova casa, con il sostegno di zii, nonni, del pool di esperti che lo segue fin dal suo risveglio, e con la vicinanza di tantissime persone che da nord a sud hanno aderito – e continuano a farlo – alle iniziative di solidarietà promosse per contribuire con ogni mezzo possibile alla crescita e a quello che sarà il futuro dell’unico sopravvissuto all’incidente.

La rottura della fune traente – quella che fornisce il movimento alla cabina – e il mancato funzionamento dei freni di emergenza, bloccati dalle ganasce, sono i due elementi al centro dell’inchiesta condotta dalla procura di Verbania. Un’inchiesta già segnata da polemiche e colpi di scena, e scossa come prevedibile dal clamore mediatico suscitato dalla vicenda, sia per l’immane catastrofe che per quanto emerso nelle ore immediatamente successive ai fatti, con l’arresto di quelli che ad oggi sono rimasti gli unici indagati per la strage: il caposervizio dell’impianto, Gabriele Tadini, il gestore Luigi Nerini e il direttore d’esercizio, l’ingegner Enrico Perocchio. Il primo ha da subito ammesso le proprie responsabilità in rapporto al fatto che la cabina numero tre, quella dello schianto, viaggiava con il sistema di sicurezza volutamente disattivato per arginare i ripetuti blocchi causati da una anomalia che non era stata risolta subito dopo il lockdown, e che avrebbe certamente portato ad una ulteriore chiusura in vista della stagione estiva.

Gli altri due indagati si sono invece dichiarati estranei alla ricostruzione, andando contro l’iniziale confessione del collega. Una presa di posizione che, tuttavia, non ha consentito loro di evitare la misura cautelare in carcere disposta dalla procuratrice di Verbania Olimpia Bossi, provvedimento in seguito annullato dal gip Donatella Banci Buonamici, sostituita pochi giorni dopo le scarcerazioni (il solo Tadini si trova ai domiciliari) tra l’incredulità e lo sconcerto dei tanti colleghi e avvocati che pubblicamente hanno dichiarato di aver assistito ad una decisione, presa dal presidente del tribunale di Verbania, “senza precedenti”.

Poi le indagini hanno ripreso il loro corso con la partenza degli accertamenti tecnici su smartphone, computer e altri dispositivi sequestrati a Tadini, Nerini e Perocchio, al fine di stabilire chi fosse davvero a conoscenza dei rischi legati alla messa in funzione dell’impianto con il sistema di frenata disattivato. In tutto questo tempo i rottami della cabina sono rimasti sul luogo dell’impatto – una zona impervia, circondata dai boschi – protetti dalle intemperie e controllati a turno dalle forze dell’ordine per tenere lontani i curiosi. Lì resteranno con ogni probabilità fino alla fine dell’estate. Il terreno e l’area circostante – si è appreso dai vigili del fuoco – devono essere preparati alla rimozione in sicurezza con un elicottero che trasporterà i resti a valle, presso un magazzino dove verranno poi messi a disposizione dei consulenti di parte. Una prima ricognizione sul pendio, però, verrà eseguita il prossimo 8 luglio. Così ha stabilito il nuovo gip Elena Ceriotti, accogliendo la richiesta di incidente probatorio avanzata dalla difesa del capo servizio Tadini.

Ieri in vetta al Mottarone si è tenuta una messa in memoria delle quattordici vittime. Cittadini, sindaci, forze dell’ordine e soccorritori si sono riuniti all’esterno della stazione di arrivo della funivia a quota 1500 metri, dove si spalanca il panorama offerto dalla perla dei laghi Maggiore e d’Orta, ora località fantasma e dal futuro incerto. “Il dolore ha sconvolto tutti, la vita delle persone non si baratta con altri interessi”, ha affermato il vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, durante l’omelia.

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