Varese | 15 Luglio 2020

Fattorie sociali: dai campi il “Welfare verde”, nuovo esempio di sviluppo socioeconomico

La prima rete nazionale delle "fattorie sociali" di Coldiretti a sostegno delle famiglie in difficoltà, dopo l'emergenza coronavirus

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Fattorie sociali: dai campi il “Welfare verde”, nuovo esempio di sviluppo socioeconomico. Dopo il lockdown, si è estesa la cosiddetta “area del disagio” con un incremento di “nuovi poveri” anche in provincia di Varese. Per sostenere le famiglie in difficoltà, gli anziani, i bambini, i disabili e le fasce più disagiate della popolazione scende in campo la prima rete nazionale delle fattorie sociali di Coldiretti, per offrire nuovi servizi nelle campagne dove, all’aria aperta, è più facile il rispetto del distanziamento e minori i rischi di contagio, anche in questa delicata fase.

Dai centri estivi rurali al rinserimento lavorativo, dai progetti di orto terapia alla pet therapy, sempre di più sono le imprese che, anche nelle province del settentrione lombardo, stanno sviluppando modelli socioeconomici che rispondono alle nuove esigenze sociali attraverso progetti imprenditoriali dedicati esplicitamente ai soggetti più vulnerabili.

Ieri è stato presentato il primo rapporto di Coldiretti dedicato a “La vera agricoltura sociale fa bene all’Italia” alla presenza del Presidente della Coldiretti Ettore Prandini e del ministro delle Politiche agricole Teresa Bellanova. Lungo tutta la Penisola sono circa 9mila le fattorie impegnate nel sociale, con un aumento di 7 volte dal 2013, in grado di offrire oggi un valore di servizi sanitari ed educativi che ha raggiunto il miliardo di euro secondo le stime della Coldiretti.

Nell’ultimo anno oltre 40mila famiglie, a livello nazionale, hanno usufruito dei servizi nati grazie all’impegno sociale degli agricoltori con azioni di aiuto e sostegno a disabili motori e cognitivi, a persone con autismo, a detenuti ed ex detenuti, a minori disagiati o con difficoltà di apprendimento, a donne vittime di abusi, ad anziani, a persone con problemi relazionali oppure con dipendenze fino ai disoccupati e agli stranieri.

Purtroppo, in questi mesi di pandemia si è ampliata la cosiddetta “area del disagio” anche nel Nord Lombardia e in provincia di Varese, con il considerevole aumento di “nuovi poveri”, i quali hanno bisogno di aiuto anche per i beni di prima necessità. Si tratta di una crisi economica e sociale provocata dall’emergenza coronavirus, senza precedenti dai tempi del dopoguerra,  provocata dalla conseguente perdita del lavoro di famiglie che mai prima d’ora avevano sperimentato condizioni di vita così problematiche.

Una crisi collettiva nazionale trasversale per demografia e lavoro che – evidenzia il rapporto di Coldiretti – può trovare delle risposte nelle esperienze di agricoltura sociale diffuse su tutto il territorio nazionale: il 52,4% al Nord, il 21,4% al Centro, e il 26,2% al Sud.

Il nuovo welfare “verde” nasce dall’innesto dei percorsi di riabilitazione e di reinserimento sociale grazie ad attività agricole tradizionali come la coltivazioni, l’allevamento, l’agriturismo, le fattorie didattiche e anche le vendite dirette che coinvolgono l’80% delle fattorie sociali italiane la cui dimensione media raggiunge i 24 ettari più del triplo delle altre aziende agricole.

“Oggi produrre in agricoltura nel nostro comprensorio – commenta il presidente della Coldiretti prealpina Fernando Fiori – non vuol dire soltanto portare le eccellenze Made in Varese sulle tavole, ma rispondere a precise necessità della società in diversi ambiti. Il welfare “verde”, che rappresenta oggi la punta più avanzata della svolta multifunzionale che ha rivoluzionato l’agricoltura, nasce dall’innesto dei percorsi di riabilitazione e di reinserimento sociale grazie ad attività agricole tradizionali come la coltivazioni, l’allevamento, l’agriturismo, le fattorie didattiche e anche le vendite dirette, e tutto questo può essere una risposta anche in un periodo come quello che stiamo vivendo dove, i gravissimi danni che l’emergenza sanitaria ha inferto al tessuto sociale, possono aggravare le situazioni e generare tensioni.

Proprio attraverso le nostre aziende agricole, si possono fornire opportunità e servizi alle fasce più deboli. Le comunità rurali sono da sempre aperte all’inclusione: la vita in campagna è idonea a garantire contesti più naturali ed accoglienti, ricchi di stimoli per dare alle fasce a rischio di emarginazione le migliori possibilità di crescita e di integrazione. Nei prodotti e nei servizi offerti dall’agricoltura non c’è solo quindi valore intrinseco, ma anche un bene per la collettività fatto di tutela ambientale, di difesa della salute, di qualità della vita e di valorizzazione della persona”.

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