Alto Varesotto | 19 Marzo 2020

Pernottamenti e frontalieri, “Attenzione ai rischi che correte quando rientrate in Italia”

L'avvocato Furio Artoni chiarisce alcune questioni in questo periodo di emergenza Coronavirus: "Fondamentali per evitare contagio di ritorno e procedimenti penali"

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A causa dell’emergenza Coronavirus la situazione dei frontalieri italiani, che ogni giorno varcano il confine per andare a lavorare in Canton Ticino, è sempre preoccupante. Sono tanti, infatti, coloro i quali hanno deciso di pernottare in terra elvetica, rispondendo alle tante richieste di lavoro, nel momento in cui non vi era la sicurezza che le frontiere tra Svizzera e Italia rimanessero aperte.

Oggi, a seguito delle ultime disposizioni decise dal Consiglio di Stato del Ticino, i frontalieri possono spostarsi per motivi di lavoro, ma sono numerose le richieste pervenute all’avvocato varesino Furio Artoni in merito alla loro permanenza in Svizzera. Per questo lo Studio Artoni, che ha sedi anche a Luino e Lavena Ponte Tresa, zone altamente interessate dal lavoro dei frontalieri, ha voluto fornire alcune importanti informazioni.

“La permanenza in Svizzera, che deve avere una durata superiore a quella di un giorno – spiega l’avvocato penalista Furio Artoni -, può costituire violazione del Dpcm dello scorso 8 marzo, con il quale si stabilisce che deve essere comunicato al Dipartimento di prevenzione sanitaria competente per territorio, nonché al proprio medico. Ora il decreto parla di zone ad alto rischio epidemiologico e in questo momento il Canto Ticino e la Svizzera in generale lo sono”.

“Per questa ragione – prosegue Artoni – il frontaliere che rientra in Italia dopo qualche giorno passato in Svizzera rischia un procedimento penale che riguarda la violazione delle norme di contenimento dell’epidemia. È fondamentale che i frontalieri lo sappiano e che i sindaci dei Comuni di confine si attivino per accordi bilaterali con la Svizzera al riguardo”.

“Un accordo tra i due paesi, in questo senso, servirebbe in primo luogo per evitare il contagio di ritorno e in secondo luogo per evitare che i nostri lavoratori possano subire procedimenti penali”, conclude Artoni.

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