Bergamo | 15 Marzo 2020

Terra di leggende il regno delle Bocce, Cesco il bergamasco

Cesco era di Ponte San Pietro, amante delle bocce come moltissimi suoi conterranei, non molto bravo, accostatore nato, ma affatto preciso. ecco la sua storia

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(articolo di Roberto Bramani Araldi) Bergamaschi, gente operosa con il sacro fuoco del lavoro, del fare, indipendenti con convinzione, protesi comunque a crearsi il proprio presente e futuro, con la chiara visione che solo con l’impegno quotidiano si possono ottenere risultati, ma non egoisti, anzi, sovente disposti ad aiutare gli altri con il conseguente ciclo virtuoso: io aiuto te, poi, se ne avrò bisogno, tu aiuterai me.

Terra di muratori, si diceva, abili, arte tramandata da generazioni, ma anche di grandi meccanici. Aziende importanti che davano lavoro a migliaia di operai, dalla Dalmine alla Brembo, alla Rigamonti e Villa, anche piccole e medie, con fatturati meno eclatanti, ma numerosissime e altrettanto essenziali per lo sviluppo economico della zona. Lì confluiva la mano d’opera, specializzata, altamente specializzata: tornitori, fresatori, montatori. Anche tecnicamente meno raffinata come i saldatori.

Ecco, Cesco era uno di quelli. Piccolo, massiccio, la camminata sghemba, una grande bocca dove tutti i denti non avevano comunque trovato posto, tanto erano irregolari e sovrapposti, un sorriso enorme che, allorché appariva, sembrava dovesse far precipitare all’interno naso e orecchie, timido all’eccesso: strappargli quattro parole di seguito rappresentava davvero una grande impresa. E quell’aria un po’ svagata lo faceva sembrare un sempliciotto, anzi per quasi tutti lo era certamente.

Di Ponte San Pietro era, per tutti Cesco il Bergamasco, amante delle bocce come moltissimi suoi conterranei, non molto bravo, accostatore nato, ma affatto preciso: spesso le sue bocce rimanevano abbastanza lontane dal boccino, tuttavia era ugualmente cercato per la sua bonomia e remissività. E poi non disdegnava un buon bicchiere di vino, di quello rosso, naturalmente, e la tavola: di gusti semplici, come i suoi compagni del resto, con un appetito consistente che sembrava difficile poter saziare.

Dopo alcuni bicchieri un poco si scioglieva, cominciava a parlare nel suo dialetto quasi incomprensibile per i non eletti, e narrava dei polli di suo cugino, a suo dire bravissimo nell’allevamento, ruspanti erano e decisamente speciali. Tanto ne parlava in quelle riunioni conviviali dopo le partite alle bocce, sovente perse dalla sua terna, data la sua scarsa predisposizione e malgrado la sua assoluta passione, che qualcuno cominciò a sondarlo per sapere se quei famosi polli del cugino fossero acquistabili, a buon prezzo, è evidente.

Cesco prometteva invariabilmente di chiedere, di vedere se …, può darsi, magari … forse il cugino avrebbe potuto… Così un bel giorno arrivò all’officina con un bel pollastro, fatto su nella carta di giornale, e dichiarò di essere disposto a venderlo. Affollamento intorno e richiesta del prezzo. Il prezzo non era proprio “a buon mercato”, circa il doppio del costo corrente, tuttavia era ruspante e il cugino voleva la giusta valorizzazione della qualità.

Fu l’inizio di un piccolo fiorente commercio: il lunedì Cesco arrivava in fabbrica con un sacchetto in plastica al cui interno giacevano due o tre polli che andavano letteralmente “a ruba” fra i colleghi che volevano accaparrarsi quelle rarità di ruspanti, introvabili sul mercato. I prezzi? Altini. A suo dire il cugino aveva dovuto sostenere delle spese per allargare il pollaio, per cui voleva rientrare, bisogna capire, non aveva programmato di ampliare così l’attività.

Un bel giorno uno dei suoi colleghi, un fresatore tanto bravo quanto scorbutico che non si annoverava fra i suoi clienti, ricevuto l’ordine perentorio dalla moglie di andare a comprare delle uova nella vicina polleria non così distante dalla fabbrica, entrò di fretta per svolgere la mansione domestica e… chi ti trova, con il suo bel sacchetto in mano appena ricevuto dalle mani del pollivendolo?

Ma il Cesco, che come il solito andava ad approvvigionarsi, all’alba o giù di lì, dei cosiddetti polli ruspanti del cugino nella polleria di normalissimi polli d’allevamento, venduti a metà prezzo rispetto a quello che lui avrebbe richiesto un paio d’ore dopo. Fu così che il Cesco, il sempliciotto, l’ingenuo, quello “un po’ indietro”, quello non tanto capace di giocare alle bocce, vide sfumare in “un amen” il suo proficuo traffico di ruspanti.

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