22 Novembre 2016

Germignaga, “La fossa comune” per ricordare il massacro di Srebrenica

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(emmepi) Un approccio insolito, per la mostra inaugurata sabato 19 novembre scorso all’ex Colonia Elioterapica, che a visto protagonisti il pittore Riccardo Chisari e lo scultore Alberto Chisari. Con grande sorpresa, appena varcata la soglia del salone, un avviso a caratteri cubitali, posto per terra, intimava ai visitatori: “Toglietevi le scarpe e percorrete l’opera Bosnia Herzegovina a piedi scalzi”.

(Foto © Marina Perozzi)

(Foto © Marina Perozzi)

Germignaga, “La fossa comune” per ricordare il massacro di Srebrenica. Il sospetto di essere di fronte a qualche stravagante sorpresa, cosa non insolita per chi conosce l’originalità e l’esuberanza di Riccardo Chisari, ha lasciato ben presto il posto ad un disagio che si è fatto via via più intenso a mano a mano che, a piedi nudi, abbiamo attraversato il salone. Non una mini passerella stile Christo Yavachev, l’artista che ha fatto camminare la gente sulle acque del lago d’Iseo, ma una tela dipinta con tecnica mista, larga 2,12 m e lunga circa 13, sulla quale corpi di uomini, donne, bambini seminudi, straziati da corde e strumenti di tortura, ci hanno fatto sprofondare nell’orrore del massacro di Srebrenica, un genocidio avvenuto durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina nel 1995, durante il quale furono trucidati migliaia di musulmani bosniaci da parte delle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladìc.

Quando abbiamo iniziato a pensare alla mostra è stato questo il punto di partenza: una vicenda ancora oggi poco sconosciuta e ci è sembrato importante riportarla alla luce utilizzando questa forma – ha spiegato il sindaco Fazio -. Oggi l’arte spesso punta alla provocazione pura e semplice, ma perde di vista i grandi fatti, si è un po’ slegata da questo filone della Storia. Anni fa, invece, c’era un legame più diretto con i fatti e forse l’Arte riusciva anche a smuovere di più le coscienze”.

Il primo cittadino ha poi condiviso un momento di riflessione personale ricordando un viaggio proprio a Srebrenica, compiuto alcuni anni fa insieme a un gruppo di ragazzi: “Credo che sia stata una delle esperienze che più mi hanno segnato, soprattutto l’immagine del cimitero di Srebrenica, che si trova esattamente di fronte al capannone dove sono avvenute gran parte delle violenze e dove sono state ammazzate in modo terribile tante persone. A differenza dei cimiteri di guerra che siamo abituati a vedere, non si ha l’impressione di essere in un memoriale, perché ancora oggi vediamo le mogli, le madri, le figlie che vanno sulla tomba dei loro cari: è la Storia che continua a farsi vita, vita anche nella sofferenza di poter incontrare, al mercato o in giro per le strade, qualcuno che forse è stato un aguzzino o un complice degli aguzzini”.

Insolita, dunque, la modalità utilizzata da Riccardo Chisari per presentare quest’opera, perché “ci mette molto in gioco, con questa scelta di perpetrare una dolce violenza, obbligandoci a toglierci le scarpe e a interagire fisicamente con il dipinto”. Non è facile scegliere dove mettere i piedi, perché “si rischia di calpestare qualcuno che diventa una metafora di quello che è successo vent’anni fa”. Tra le opere esposte da Riccardo Chisari, alcune ricordano la cultura biblica e, come ha fatto notare Marco Fazio, in questa cultura mettersi a piedi scalzi ha un significato ben preciso: vuol dire trovarsi di fronte ad un terreno che è sacro.

Ecco allora che camminare su quest’opera mette il visitatore nello stato d’animo di colui che s’inchina di fronte a ciò che è successo, “perché la memoria non deve essere semplicemente ricordo, ma deve essere poi feconda, un monito perché ciò non avvenga più”. E di impegno sociale ha parlato lo stesso Riccardo Chisari, ricordando che la cultura non deve essere solo dolcezza ed evasione: “L’artista è colui che grida per primo e qui c’è un grido che è iniziato vent’anni fa. Era il primo semestre di presidenza italiana al Parlamento europeo e speravo che si potesse fare qualcosa, invece non si fece nulla”.

Così nacque “La fossa comune”, una tela lunga 26 metri per descrivere l’orrore raccontato al pittore da un’amica che viveva a Sarajevo ed era in contatto con lui. “Sono contento che, a vent’anni di distanza, nonostante sia stata tagliata a metà, si sia trovato il luogo giusto per mostrarla”. E proprio alla vigilia della giornata internazionale dei Diritti dell’Infanzia e dell’adolescenza, celebrata il 20 novembre per ricordare i milioni di bambini la cui vita è sconvolta da guerre e conflitti, è stata data l’occasione per riflettere non solo sul passato, ma anche sul futuro, che oggi come non mai, appare così incerto e confuso.

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