7 Ottobre 2016

Millennials: migrare è il nostro futuro o è il nostro futuro a migrare?

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(Daniele Foderà) Nel 2015, 107.529 italiani hanno lasciato il Paese e, in generale, un italiano su 12 vive all’estero. Di questi un terzo ha tra i 18 e i 32 anni e la metà proviene dal sud Italia.

italia fuga

Il famoso pacco che migliaia di genitori spedivano e spediscono a cadenza quasi mensile ai figli studenti/lavoratori fuori sede nelle grandi città del nord Italia, affronta adesso molti più km. Londra in primis, ma anche Parigi, Berlino e un po’ tutte le grandi capitali europee. E non si tratta più di un flusso esclusivo sud Italia-resto del mondo ma Italia-resto del mondo.

Se, come me, hai dai 18 ai 32 anni, ti invito quindi a fare un gioco. I maschietti sicuramente ricorderanno le ore passate a scorrere le figurine panini degli amici esclamando a ogni calciatore “celo!” o “manca!”. Bene. Adesso prendi il cellulare o connettiti a Facebook e inizia a scorrere la lista dei tuoi contatti esclamando per ogni amico “estero!” o “Italia!” a seconda di dove vive. Forse nella lista “estero” ne inserirai parecchi, forse addirittura troppi penserai.

Se, come me, hai dai 18 ai 32 anni, per la scienza demografica sei appartenente alla Generazione Y. I media invece preferiscono la versione più accattivante, e quindi sei un “millennial” o meglio ancora un “digital native”. Inglesismi che cercano di catalogare gli oltre 11 milioni di Italiani nati tra il 1980 e il 2000. Una generazione (su questo demografi e giornalisti sono d’accordo) istruita, in possesso di qualificati titoli di studio post-laurea – corsi di specializzazione, master, dottorati di ricerca, certificazioni delle lingue, programmi di studio per scambi internazionali (Erasmus prima e ora addirittura Erasmus+). Giovani connessi al mondo e che, testuali parole dell’odierno Rapporto Italiani nel mondo 2016 della Fondazione Migrantes “vedono l’emigrazione non tanto come una ‘fuga’ quanto piuttosto come mezzo per soddisfare ambizioni e nutrire curiosità. La loro mobilità oggi è in itinere e può modificarsi continuamente perché non si basa su un progetto migratorio già determinato ma su continue e sempre nuove opportunità incontrate”.

In sostanza e indipendentemente dalle motivazioni, noi emigriamo, fuggiamo, scappiamo. L’amaro succo è questo e nessun ritratto idilliaco di giovani indipendenti e pronti a conquistare il mondo, può camuffare il vero e sempiterno motore di tutto: il bisogno. Tralasciamo, quindi, la questione della fuga dei cervelli, del sostentamento delle pensioni, del “io Stato investo nell’istruzione di una persona che poi andrà a utilizzare le sue competenze per un altro Paese”. Temi di importanza fondamentale ma che, oggettivamente, dovrebbero preoccupare più che i giovani, lo stesso sistema Italia.

Siamo istruiti, conosciamo il mondo e ne vogliamo fare parte. Tutto molto bello. Adesso siamo pure la “generazione mobile”. Ma con una disoccupazione giovanile al 39%, quanta curiosità c’è in questa mobilità? Quanta libera scelta?

Ormai la domanda che si pone un ragazzo di 18-20 anni non è più “che faccio, parto?”, ma piuttosto “che faccio, resto?” e non c’è niente di esaltante o di cosmopolita in questa domanda. “Vedono l’emigrazione non tanto come una fuga” Certo, se vuoi o riesci a lavorare in Italia, per uno stipendio da stagista devi comunque aver maturato almeno due anni di esperienza all’estero. “Emigrazione come mezzo per soddisfare ambizioni e nutrire curiosità” Certo, la curiosità di vedere una retribuzione onesta e in linea con le tue competenze e i tuoi sacrifici. “La mobilità oggi è in itinere, non si basa su un progetto migratorio già determinato..” Certo, a 30 anni magari il progetto che vuoi realizzare non è migratorio ma famigliare e la risposta dell’Italia è il #fertilityday. “…ma su continue e sempre nuove opportunità incontrate”. 

Certo, ma diversa è l’opportunità dalla necessità, come diversa è una casa da una valigia, un collega da un amico e, lasciatemelo dire, una carbonara francese da una italiana.

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