Varese | 15 Marzo 2023

Rapine al supermercato di Cadegliano, padre difende il figlio a processo: «Era con me»

L'imputato, classe 1996, è accusato insieme ad altri giovani di aver messo a segno due colpi tra febbraio e giugno 2020. Il genitore: a cena e al lavoro insieme nei giorni dei blitz

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Il figlio è a processo con l’accusa di aver compiuto due rapine. Il padre ieri, davanti al collegio del Tribunale di Varese, ha testimoniato a sostegno della sua innocenza dicendo che in un caso il ragazzo, classe 1996, si trovava a cena con i genitori; e nell’altro in cantiere a lavorare, proprio insieme al papà, con cui mandava avanti un’impresa edile.

Le rapine risalgono al febbraio e al giugno del 2020. Un obiettivo, il supermercato DPiù di Cadegliano Viconago, e tre imputati, difesi dagli avvocati Alberto Caleffi, Fabio Fiore e Vera Dall’Osto: il già citato ventiseienne, un ragazzo di un anno più giovane e un trentenne. Furono loro, secondo le accuse, a compiere un primo blitz all’interno del DPiù, pistola in pugno e volto coperto, poi la fuga con un bottino di ottomila euro, e a fermare qualche mese dopo – sempre armati – due dipendenti dello stesso supermercato, che a fine turno se ne stavano andando con l’incasso della giornata: cinquemila euro in contanti.

Alla testimonianza del genitore si è poi aggiunta una dichiarazione spontanea del figlio a processo, che per la rapina di febbraio ha ribadito: «Era una domenica e come tutte le domeniche ero a casa a mangiare con i miei», mentre per l’altro colpo ha avuto un attimo di esitazione, prima di rivolgersi nuovamente ai giudici: «Non mi vengono in mente le cose che volevo dirvi».

Dichiarazioni, e niente domande delle parti, anche per un secondo imputato, all’epoca dipendente del supermercato preso di mira dai rapinatori: «Quel 2 febbraio ero a mangiare in un fast food, il 6 giugno invece sono stato io stesso vittima della rapina». Ma per chi ha indagato il giovane, vista la sua posizione lavorativa e un legame d’amicizia con almeno uno dei coimputati, emerso da alcune foto pubblicate su Facebook, avrebbe fornito ai soci le informazioni per non fallire i colpi, senza opporre resistenza ai rapinatori. Sempre dagli scatti presenti sui profili social, gli inquirenti identificarono una moto dello stesso modello di quella con a bordo due rapinatori, inquadrata dalle telecamere. Mezzo uguale a quello che fu trovato a casa di uno degli imputati. Gli inquirenti associarono inoltre alcuni capi di abbigliamento immortalati nelle foto a quelli indossati dai malviventi.

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