Varese | 3 Dicembre 2021

Gavirate, “Vuole bere ma non ha soldi” e in pasticceria scoppia il finimondo: condannato 39enne

I fatti risalgono al 2019, l'uomo minacciò il proprietario del locale con un taglierino e si diede alla fuga dopo l'arrivo dei carabinieri: un anno di reclusione

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Sono le 6.30 di mattina in una pasticceria di Gavirate. Il gestore ha iniziato la sua normale giornata di lavoro da circa un’ora, quando si trova davanti il meno desiderato tra gli avventori. E‘ alterato dall’alcol, gli chiede aiuto, senza meglio specificare per cosa; poi si scopre che vuole continuare a bere ma non ha soldi. Il pasticcere lo asseconda sperando di levarselo di torno, ma dopo la seconda o terza birra, mentre il locale inizia a riempirsi, i due si mettono a discutere e alla fine le cose vanno oltre.

E’ quanto emerso dal racconto che il proprietario del locale, un ventiseienne, ha fornito ieri davanti ai giudici del tribunale di Varese nel corso dell’ultima udienza del processo per tentata rapina, minacce e resistenza a pubblico ufficiale a carico di un trentanovenne di origini marocchine. “Lo conoscevo, aveva già creato problemi”, ha aggiunto il giovane in aula, rispondendo alle domande del pubblico ministero Giulia Grillo.

I fatti risalgono alla primavera del 2019. I due discutono al bancone, dove il marocchino sventola un libretto degli assegni, forse per non passare ancora una volta come “cattivo cliente” (mentre per il gestore quell’uomo gli aveva chiesto di consegnargli mille euro in contanti), poi arriva la lite vera e propria che si sviluppa in tre momenti: il pasticcere spinge l’altro fuori dal locale, tra pugni e calci. Il trentanovenne va verso la sua auto, ma poco dopo ritorna con un taglierino: “Ti stacco la testa”, urla. Infine sopraggiungono i carabinieri che per placare l’uomo devono rincorrerlo e poi respingere le sue manate.

Il racconto della persona offesa ha chiuso l’istruttoria dibattimentale. Subito dopo l’avvocato Nicola Giannantoni, difensore dell’imputato, ha chiesto la riqualificazione del capo d’accusa riguardante la tentata rapina, sottolineando, nel chiedere l’assoluzione, l’incensuratezza del suo assistito e la regolarità della sua vita quotidiana, divisa tra la famiglia con i figli e un lavoro in regola da dipendente; una quotidianità alterata in apparenza da quell’unico episodio.

Il collegio presieduto dal giudice Andrea Crema ha accolto la richiesta di riqualificazione del reato di tentata rapina, convertendolo in tentate lesioni personali, e ha condannato il trentanovenne a un anno di reclusione. L’accusa aveva chiesto la condanna a cinque anni.

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