Luino | 24 Agosto 2020

Luino, il ricordo di Chicca Galante: “Poetessa innamorata del dialetto della nostra terra”

Le parole di Emilio Rossi sono dedicate alla memoria di Enrica Galante, scomparsa pochi giorni fa e autrice di numerose liriche nate dall'esperienza quotidiana

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(a cura di Emilio Rossi) Pochi giorni or sono si è spenta Chicca Galante, una donna dotata di una squisita sensibilità dalla quale erano scaturite splendide poesie in dialetto, presentate al pubblico in diverse occasioni. Un successo insperato, sempre.

Il dialetto è una lingua a pieno titolo, ricca di assonanze, di immagini modulate dalla sapienza popolare, di un sottile fascino antico. Chicca ne aveva tratto liriche deliziose, dense di una recondita musicalità. L’avevo sempre sollecitata a pubblicarle, ma lei si scherniva ritenendole delle amene divagazioni della memoria e del sentimento. Non era così.

Una poesia nata dalla quotidianità, come ad esempio, la vicenda del pettirosso divenuto ormai una presenza amica che ogni mattina compare al richiamo di chi gli propina il cibo. Si fida non c’è di che. Ma la fiducia non può essere riposta indiscriminatamente in tutti. In agguato ci può sempre essere un gatto, bianco o nero che sia, pronto a ghermirlo e a farne una succulenta preda. No, meglio non fidarsi di nessuno: è la morale dolorosa che nasce forse da una amara esperienza esistenziale.

Emergono in questo contesto domande profonde come nella poesia La scima, metafora più che evidente della nostra ascesa verso una meta sperata. In alcuni momenti l’erta salita sembra divenire impraticabile: una fatica immane. E attorno silenzio, indifferenza, mai una voce amica che ti rinfranchi l’animo e ti esorti a sperare. La dura legge della sopravvivenza impone un ritmo a volte intollerabile: guai a volgersi indietro, guai a fissare il proprio sguardo nell’abisso: potresti precipitare prima di raggiungere l’agognata meta. Ma la vetta dov’è? Un dubbio si insinua nella mente della poetessa come un tarlo vorace: esiste davvero questa meta tanto desiderata, per la quale si lotta e si accetta la dura fatica di ogni giorno?

La poesia che fa presagire la conclusione della sua vicenda terrena è però contenuta in questa accorata preghiera, un’incalzante sequenza di domande sul significato del nostro fatale andare nel transeunte viaggio verso Colui che saprà restituirci il senso delle cose, degli eventi umani e delle contraddizioni di una vita apparentemente sottratta ad ogni logica. Perché correre all’impazzata dietro false chimere se poi siamo destinati a finire in una fossa? E perché a qualcuno va sempre bene ed altri muoiono di fame? Certo una risposta deve pur esserci, anche se per noi poveri mortali non è sempre facile capire.

Quajdűn mha prōmetű (novembre 2010)

L’è vera?
mi riüsirò a vedét?
l’è ‘na vita che at parli,
at ciami,
ma mai
ü sentü la tôa voos,
mai
ho podü vardat in facia
o lêg dent aj tò oeucc!

Quajdün m’ha prometü
che un dì o l’alt
t’em ciàméree denanz a tì
e alora sì,
sarà püsee facil spiegamm, scüsamm,
dit ciar i me resun
e peu, sàvee a la fin
indoa cumincia el maa
e indoa finiss el bun!

Quajdün m’ha prometü
che dumà tì te see,
ma, che t’em dìseree
perché numm poer crisctian
scumbatum una vita
per sctaag adree a quajcoss
che peu deumm làsaa
e numm finii in d’un foss?
e perché sti magun
che se portumm adoss?

Quajdun m’ha sicüraa
che te se tì a decìd
de damm a mì sta vita
e n’alta, diferenta, a n’alt?
‘me te fee a catà feu?
perché a vün la ‘g và semper de lüsso
e n’alt el meur de famm?
e per mi,
se te ghe in ment per mi?

Anca ti, te ghe el tò bel de faa
per purtaa avanti el gioeug!

Furtüna che te ghee
n’esercit d’ajütant
‘n tra Angel, Cherübin,
Arcangél, Serafin
e ‘na gran schiera de Sant!
e peu da la toa, de bun
te ghee la Santa Pruidenza
che ‘na quaj volta
la giusta i tò svariun!

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