Varese | 31 Marzo 2020

Terra di leggende il Regno delle Bocce, Gavino e i campionati provinciali

Un'altra storia d'altri tempi dove si raccontano miti che si perfezionano giorno dopo giorno e sono sempre pronti ad essere celebrati

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(articolo di Roberto Bramani Araldi) Gavino non amava cimentarsi in competizioni ufficiali, preferiva il gioco fra amici, dove vi fosse solo la consueta rivalità satura del piacere della compagnia e della socialità, tuttavia doveva sottostare, ogni tanto, all’esigenza di scendere in campo con la divisa societaria, anche per soddisfare la voglia di contesa di Filippo, suo socio abbastanza consuetudinario nelle interminabili sfide del fine settimana.

Una delle gare irrinunciabili erano i Campionati provinciali a coppie ai quali Gavino non poteva proprio sottrarsi. Pure quell’anno, dunque, la coppia Gavino/Filippo s’iscrisse e la domenica mattina scesero in campo in quel di San Donato per la prima gara eliminatoria. Gavino era abbastanza svogliato, come sovente gli accadeva in gara, quindi in un batter d’occhio si trovarono sotto, tanto per non smentirsi, per 10-2, con Filippo che schiumava rabbia, tanto che, alla fine dell’ultima giocata, sbottò: “Va bene perdere, ma con una donna, poi!”.

“Ma cosa stai dicendo, quale donna?” ribatté Gavino. “Ma il puntista, perdiana!” puntualizzò seccato Filippo. Gavino mise a fuoco l’avversario che stava chinandosi a raccogliere il boccino per la giocata successiva, una specie di tronco d’albero piatto davanti e dietro, i capelli corti, un neppure lieve accenno di peluria sotto il naso e sulle guance, ma non poté che ammettere che si trattasse di un’esponente del sesso femminile, anche se molto lontano dagli ideali di avvenenza che uno, con una certa fantasia, potesse prefigurarsi. “Porco Giuda, hai ragione, l’è una dòna”.

Gavino, maschilista convinto, non sopportava l’idea di essere sconfitto da una donna – da sempre, non solo in quel momento – e immediatamente subì una metamorfosi inattesa: quanto impreciso e approssimato fosse prima della rivelazione, tanto spietato e implacabile si trasformò poi. Bocce del punto, pallini, colpiti come fossero di grandezza smisurata, non più un errore e la malcapitata donzella – si fa per dire, naturalmente, sarà pesata almeno novanta chili e avrà avuto una sessantina d’anni – veniva travolta col suo compagno, che già assaporava la facile vittoria, per 12-10.

Gavino ormai era in trance agonistica, si era destato dal torpore del risveglio antelucano, e non sbagliava più nulla; il Filippo, meno dotato, ma tignoso, teneva il passo e una dopo l’altra le coppie vennero spazzate via, senza pietà.

La manifestazione prevedeva che le fasi eliminatorie dovessero laureare la coppia che nel pomeriggio sarebbe entrata fra le prime quattro per disputarsi il titolo provinciale, comunque queste coppie avrebbero avuto il privilegio di andare a competere, la settimana successiva, per il titolo regionale. Si dà il caso che dopo aver stravinto i sedicesimi e gli ottavi, intercorse un lungo periodo prima di disputare il quarto di finale per varcare la soglia degli eletti del pomeriggio.

L’incontro ebbe inizio intorno a mezzogiorno e gli avversari dimostrarono subito di non voler partecipare al banchetto altrui, ma cominciarono a contrastare con fondate velleità. La partita andava per le lunghe, gli avversari giocavano le bocce con studiata lentezza e Gavino cominciò a dare segni sempre più visibili d’insofferenza.

Bisogna sapere che Gavino non solo non sopportava perdere con le donne, ma aveva un altro totem inviolabile: la pastasciutta dell’ora di pranzo. Al massimo alle ore 13 doveva sedersi a tavola e gustare un monumentale piatto di profumata e fumante pasta: lì risiedeva la beatitudine! Si poteva scendere a compromessi con tutto, ma non con il rito della pastasciutta.

Ormai si stava avvicinando l’una, si era ancora in parità 7-7, l’avversario non demordeva, si era a San Donato, almeno trenta minuti di strada prima di arrivare a casa: Gavino si stava innervosendo sempre più e la precisione, la grinta precedente svanirono con incredibile rapidità. Non ne azzeccò più una, di bocciate, e la contesa si concluse come logica pretendeva: sconfitta per 12-7!

Filippo rimase sul campo sconsolato, non realizzò subito la ragione dell’improvviso cambiamento, raccolse mestamente le bocce per tornare alla sua abitazione. In auto ripensò all’accaduto e una frase criptica di Gavino assunse di colpo un significato luminoso e agghiacciante: aveva capito il senso di:”Ci è andata male, andrà meglio un’altra volta, vado a casa, mi aspettano”.

Quel … non capiva più nulla, pensava solo alla pastasciutta! E avremmo potuto andare ai regionali! Ma se lo prendo! Domani lo inseguo per tutta la Lombardia. Come in Giappone che mi ha fatto impazzire per farsi un piatto di pastasciutta. A Tokio, pensa un po’, rimuginava Filippo.

Ma questa è un’altra storia e nel Regno delle Bocce i miti si perfezionano giorno dopo giorno e sono sempre pronti ad essere celebrati, perché le leggende possono solo crescere, non si estinguono mai.

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