Maccagno con Pino e Veddasca | 28 Marzo 2020

Dalla terza media di Maccagno, il confronto tra i tempi della peste di Manzoni e quelli del Coronavirus

Un'insegnante della scuola media di Maccagno ha chiesto ai suoi alunni di leggere alcune pagine dei "Promessi Sposi" e di confrontarle con la situazione attuale

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La diffusione del Coronavirus in Italia, ma soprattutto l’alto numero di casi in Lombardia, che ancora sta cercando di combattere il contagio, viene sin dai primi tempi accostata all’epidemia di peste avvenuta a Milano tra il 1629 e il 1630.

Benchè si tratti di due malattie infettive differenti, il Covid-19 causato da un virus e la peste da un batterio, ci sono effettivamente alcuni tratti di ciò che sta succedendo in questo periodo, che rimandano ai racconti delle pagine dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, colui che più di tutti ha descritto in modo vivido l’epidemia del ‘600.

Proprio per questo, un’insegnante della classe terza media della scuola “Leonardo da Vinci” di Maccagno ha chiesto ai suoi alunni di leggere alcune pagine dei “Promessi Sposi” e di confrontarle con la situazione attuale. Il risultato è nelle righe di una pagina di diario di uno degli alunni, che riporta le sue riflessioni sul tema.

Ecco di seguito riportato il testo scritto da uno dei ragazzi della scuola media di Maccagno.

Caro diario,

In questi giorni la nostra professoressa di italiano ci ha assegnato un compito: dobbiamo leggere due brani tratti dal romanzo “I promessi sposi”di Alessandro Manzoni. Entrambi i brani descrivono il contagio di peste che è avvenuto nella città di Milano tra il 1629 e il 1630. La Prof. ci ha dato questa lettura perché in questi giorni in Italia c’è stata la diffusione di una malattia molto pericolosa: il Covid-19. Leggendo i brani tratti dal romanzo possiamo vedere come le persone affrontavano le epidemie nel diciassettesimo secolo e confrontare il loro comportamento con quello tenuto da noi al giorno d’oggi.

Il primo brano, intitolato “La peste a Milano”, racconta la situazione che Renzo trova attraversando le strade della città. Le vie sono deserte, la gente è rinchiusa nelle proprie case, ovunque vi è un grande silenzio interrotto a volte dal lamento di qualche moribondo o dal rumore dei carri dei monatti. I monatti erano coloro che portavano via i corpi dei morti. Anche oggi per le vie c’è un grande silenzio. Il nostro Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ci ha ordinato di non uscire dalle nostre case. Chi esce lo fa solo per fare la spesa o per recarsi in farmacia. Inoltre, nel ‘600 le condizioni igieniche erano scarse, infatti i morti si potevano trovare anche per strada mentre oggi questo non succede.

Nel secondo brano, “Don Rodrigo colpito dalla peste”, Manzoni racconta che Don Rodrigo, avendo scoperto di avere la peste, chiede aiuto al suo fedele bravo il Griso. Ma il bravo lo tradisce, chiama i Monatti che porteranno Don Rodrigo al lazzaretto. Il lazzaretto era il luogo dove venivano portati gli appestati. Adesso i malati di Covid-19 vengono trasferiti negli ospedali. Purtroppo, i contagiati sono molti e i posti in ospedale non sono sufficienti. Così stanno allestendo in tutta Italia e soprattutto in Lombardia ospedali da campo. Per esempio hanno creato 600 posti letto nei padiglioni in fiera a Milano.

Manzoni ci racconta che ai tempi della peste la gente era molto superstiziosa: si credeva che ci fossero degli untori che ungevano con sostanze malefiche le porte e i muri per diffondere il contagio. Al giorno d’oggi non ci sono queste superstizioni, al contrario c’è molta informazione. Invece, come avveniva allora, la gente si saluta da lontano. Certo, non utilizziamo sfere di metallo traforate contenenti spugne di aceti medicati, nè boccette di argento vivo. Usiamo invece mascherine, guanti in lattice e l’amuchina per disinfettarci o per disinfettare le superfici.

Leggendo il primo brano ho notato una curiosa somiglianza: il nostro parroco tutte le sere alle 18.30 suona le campane della chiesa invitando tutti coloro che lo desiderano a dire una preghiera proprio come avveniva a Milano nel ‘600. Oggi come allora, caro diario, una cosa è rimasta uguale: la speranza della gente che questa epidemia finisca al più presto.

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