Milano | 4 Settembre 2018

Lombardia, violenza sulle donne: nel 2017 quasi 6mila aiuti, crescono casi di coraggio e denunce

I dati dimostrano che l'autore della violenza domestica è il partner (64%) o l'ex partner (27%), mentre per le violenze da estranei spesso non viene indicato alcun nome

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Il rapporto annuale sulle donne vittime di violenza, che si sono rivolte nel 2017 ai centri antiviolenza attivi in Regione Lombardia, è da oggi online sul portale di Regione Lombardia, dal titolo “La violenza contro le donne in Lombardia”. Si tratta del primo realizzato col nuovo sistema informativo “Osservatorio regionale antiviolenza”. L’iniziativa è stata promossa dall’assessorato alle Politiche per la famiglia, genitorialità e pari opportunità in collaborazione con i Centri antiviolenza.

I dati dei centri antiviolenza 2017 rilevano che sono state 5 892 le donne che si sono rivolte per violenza domestica ad uno dei Centri antiviolenza (abilitati all’inserimento dei dati nel sistema). Un dato arricchito da quante si sono rivolte al “Soccorso violenza sessuale e domestica” della clinica Mangiagalli (Svsed), che ha raccolto a parte anche i casi di violenza sessuale ad opera di sconosciuti o di persone esterne alla rete familiare. Si tratta di 288 vittime, un numero molto sopra la media dei Centri, al quale perciò è stata riservata un’analisi separata.

In quasi i due terzi dei casi (il 64,1%) l’autore della violenza domestica è il partner (coniuge, convivente o fidanzato) e nel 27% l’ex partner. Se per le violenze da estranei il 39,9% dei maltrattanti è causato da sconosciuti, nel 33% l’autore è una persona nota e appartenente alla cerchia amicale. Più di un quarto delle donne (il 25,7%) invece non indica l’autore della violenza.

Le caratteristiche socio-anagrafiche delle donne prese in carico nel 2017 sono coerenti con le rilevazioni passate e le indagini dell’Istat. Tuttavia emerge una significativa differenza tra le donne vittima di violenza domestica e le vittime di estranei. Nel primo caso si tratta di italiane (61,5%), quasi tutte adulte (90% con più di 25 anni), coniugate o conviventi (52%), con figli/figlie (il 61% ha almeno un figlio/figlia minorenne). Le donne vittime di violenza sessuale da parte di estranei sono nella maggioranza dei casi giovani (il 54,1% hanno meno di 25 anni), in larga parte nubili (81,6%) e senza figli (80,7%). Solo il 54,6% di loro è italiana, il 45% è straniera, sia Ue (12%) che extra-Ue (33,6%).

La possibilità delle donne di essere economicamente autonome rispetto al partner o alla famiglia di origine è considerata cruciale per sostenere il percorso di uscita dalla violenza. Per questo i Centri pongono particolare attenzione alla loro condizione lavorativa ed economica. Quasi la metà delle donne (il 48,5%) non ha un proprio reddito da lavoro, perché disoccupate (30,2%) o casalinghe/inattive (5,9%) o studentesse (9,4%). La percentuale di occupate è ancora inferiore tra le donne vittime di violenza sessuale da estranei: sono per lo più studentesse (37,3%) e occupate solo nel 30,5% dei casi, rispetto al 54,9% di quelle vittime da violenza domestica. I pochi dati disponibili sul reddito annuo delle donne prese in carico confermano la scarsa o inesistente autonomia economica. Il 40,6% non ha un proprio reddito da lavoro e solo il 4,3% dichiara un’entrata superiore ai 25 mila euro l’anno. Tra le quelle registrate extra-sistema, più giovani e meno occupate, la quota di quante non hanno reddito raggiunge il 91%.

La gran parte di quante si sono rivolte ai Centri (il 77,1%) ha preso contatto tramite telefono o sms, nel 14,9% dei casi sono andate direttamente in sede. Solo il 6,4% di loro è arrivata attraverso altri servizi territoriali, dalla rete familiare e/o amicale. Il primo contatto mira ad ottenere informazioni generiche (56%) o legali (nel 36%). Più della metà di esse (54,5%) chiedono di essere ascoltate, il 19,6% chiede sostegno psicologico, segno della solitudine di cui soffrono. Il 71% delle donne vittime di violenza sessuale da parte di estranei si è recata direttamente invece al pronto soccorso della Clinica Mangiagalli per le prime cure mediche, nella quasi totalità dei casi (il 92%) la loro richiesta è di assistenza sanitaria.

Il progetto dell’”Osservatorio regionale antiviolenza”, avviato a partire nel 2014, ha portato alla stesura dei primi due rapporti nel 2015 e nel 2016 e alla successiva strutturazione ed evoluzione che consente oggi una raccolta organica e sperimentale di dati, garantendo alle donne il più assoluto anonimato.

Non tutte le donne che contattano i Centri infatti attivano un percorso completo di uscita dalla violenza. I dati indicano percorsi non lineari, spesso frammentati e intermittenti: alcune si fermano al contatto iniziale, altre partecipano a colloqui di accoglienza o di ascolto telefonico, volti a individuare i bisogni e il percorso più adatto per uscire dalla violenza, ma alcune ancora li abbandonano o li sospendono.

“Appare sempre più evidente che il rafforzamento della copertura territoriale delle Reti antiviolenza e la crescente sensibilità dell’opinione pubblica stanno influendo sulla crescita del numero delle donne che rompono la spirale della violenza rivolgendosi a noi – ha spiegato l’assessore Silvia Piani -. La nota dolente è la diffusione del fenomeno e la constatazione di quanto rimanga ancora da fare in termini di prevenzione”.

La violenza di genere è difficilmente misurabile – ha aggiunto l’assessore -, perché si manifesta prevalentemente all’interno delle mura domestiche o per mano di persone conosciute. Il complesso rapporto tra la donna e l’autore del crimine e le reazioni emotive e psicologiche che la violenza genera nelle vittime, rendono infatti spesso difficile la sua emersione. La disponibilità di informazioni puntuali ed aggiornate sulle caratteristiche del fenomeno, rappresenta dunque una base essenziale per sviluppare nuove strategie ed iniziative e avere in questo modo informazioni sempre più accurate sui bisogni. L’obiettivo è offrire sempre maggiore qualità, efficacia ed omogeneità negli interventi di prevenzione e di sostegno”.

“Questo rapporto – ha concluso Piani – mira certamente a migliorare la conoscenza per intervenire meglio, ma anche a mantenere alta l’attenzione verso il lavoro delle operatrici e degli operatori che quotidianamente si occupano di contrasto alla violenza, donando impegno, energia, dedizione, tempo libero. E ancora di più a sensibilizzare l’opinione pubblica, poiché solo con l’impegno di tutti sarà possibile contrastare e prevenire un fenomeno che è una ferita aperta per l’intera comunità”.

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