Lavena Ponte Tresa | 27 Giugno 2017

Bottega e artigianato: segni di un vissuto non solo commerciale

Un'analisi, quella riproposta, che origina dalla penna di Domenico Righetti e che, forte della sua lungimiranza, si mostra ancora oggi, per molti versi, attuale

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A seguito dell’annuncio della prima edizione de “La Notte dei Saldi”, voluta e realizzata grazie alla caparbietà dei commercianti che, rimboccatisi le maniche di fronte al quadro economico che quotidianamente si palesa agli occhi di tutti, manifestano la volontà di contrapporre a questo momento un ritrovato spirito di aggregazione, noi andiamo a rispolverare l’analisi di Domenico Righetti comparsa qualche anno fa su “EOS”, il notiziario dell’allora gruppo di minoranza di Lavena Ponte Tresa, “Innovare nella continuità”: “Cara, vecchia bottega”.

Una riflessione che, pur rifacendosi agli anni nella quale è stata scritta, si presenta certamente animata da lungimiranza e proprio per questo, per molti versi, attuale. Un’analisi, quella di Righetti, sulla quale vale certamente la pena soffermarsi ed intorno a cui urge certamente una riflessione per una paese che voglia rivendicare la propria vocazione commerciale. Domenico Righetti passa in rassegna alcune fasi del commercio a Lavena Ponte Tresa partendo dalla sua genesi sino a giungere al 2005, anno nel quale, ancora, il più grande supermercato del paese non era stato edificato pur esistendo già qualche sussurro in merito nell’aria. Il fascino della bottega e l’anima dell’artigianato, segni di un vissuto non solo commerciale, la posta in gioco per il paesino lacustre.

“Più il paese è evoluto, più i supermercati crescono e la grande distribuzione eliminerà fatalmente la maggior parte dei negozi”. Così sostengono in parecchi, a cominciare da molti economisti e politici. Sarà… ma forse perché lo erano i miei genitori, dico subito di stare dalla parte dei commercianti. Mi ricordo ancora, ero bambino, quando a Ponte Tresa c’erano poco più di una decina di licenze commerciali: l’Arte Fiorentina, la merceria della signora Vergani, le macellerie del Costante (Andreoli), e del Dante (Binda), il negozio d’abbigliamento del signor Atella, la farmacia del dottor Mensi, la bottiglieria della Lucia (Albergati), l’edicola del Franz, la profumeria della signora Franceschina (Trolli), la salumeria dell’Ermanno (Rossetti) e l’indimenticabile “Bar Varese” degli altrettanto indimenticabili fratelli Magistrali.

Fine anni Cinquanta, inizio anni Sessanta il paese era tutto lì, in quella via, ora centro storico, che conduceva al vecchio valico-ponte. Poche centinaia di abitanti dunque, l’immigrazione solo agli inizi, ma un piccolo centro commerciale in costante evoluzione e di cui già si intuiva l’espansione potenziale grazie alla vicinanza con la Svizzera e al favorevole rapporto monetario Lira/Franco. La nostra economia è nata così; poi, con l’immigrazione di un numero sempre più importante di connazionali che sarebbero divenuti frontalieri, il paese si è demograficamente sviluppato sino a divenire quasi una cittadina. Uno sviluppo a volte caotico, poco programmato, ma difficilmente programmabile, basato appunto su un’economia fittizia o comunque precaria, Franco-dipendente, che ha fatto diventare Lavena Ponte Tresa una sorta di “Little Italy”, con tutte le positive potenzialità del contesto ma anche con altrettanti problemi che sono puntualmente emersi. Marginali le alternative alla bottega: nessuna industria, un turismo mai seriamente decollato, pochi uffici, presidi militari eliminati o depotenziati (caserma P.S., caserma “Baschi Verdi”), qualche piccola impresa edile e un artigianato poco presente, anche perché gli imprenditori si sono ritrovati nell’annoso problema del personale che fatalmente ha optato, e opta, per un lavoro più conveniente e redditizio oltre confine. L’unico sviluppo costante, almeno fino a qualche anno fa, riguardava il numero dei negozi.

Oggi però, per una serie di concause non certamente positive, questo sviluppo ha subito un brusco rallentamento. Peggio. Parecchi commercianti hanno abbassato definitivamente la saracinesca e per la prima volta il numero delle licenze commerciali appare in declino. Diverse dicevo, le cause, ma senz’altro una va ricercata nel proliferare dei supermercati. Ora, è abbastanza evidente che non è possibile fermare il mondo che corre (troppo?), ma sarebbe ugualmente miope ignorare che la grande distribuzione conduce all’eliminazione della piccola, portando gradualmente alla cessazione di attività di quel grande numero di negozi sui quali si basava una grossa parte dell’economia del nostro paese. Si dirà che è la vita, il progresso che, come si sa, non sempre è portatore di connotazioni positive. Comunque, con la chiusura di questi negozi scompare il contatto con il personale, spesso tramutato in amicizia tra venditore e cliente: lo scambio di battute, l’ultimo pettegolezzo del paese, il rigore non dato alla Juve, un consiglio per il vino perché ho amici a cena, il problema dell’acqua potabile, il nome del nuovo sindaco… Come sostiene un vecchio giornalista nonché acuto osservatore di costume, il mondo moderno è impersonale e lo è anche il supermercato: ti servi da solo, vai alla cassa dove l’addetto, non certo per colpa sua ma preso dalla monotona ripetitività del rigido gesto spesso non ti guarda neppure; poi paghi, rimetti il tutto nel carrello e te ne vai. Ma al di là di questo, pensiamo anche a cosa può succedere al negoziante e alla sua famiglia impossibilitati a proseguire un’attività che spesso si tramandano di generazione in generazione: c’è chi ha guadagnato abbastanza e può tirare avanti, anche bene, senza bottega, ma gli altri? Mi rendo conto che non ci vuole molta fantasia a confutare queste mie considerazioni. Immagino un’obiezione su tutte: al supermercato costa meno e con i tempi che corrono qualche Euro risparmiato non è un fatto di poco conto. E’ certamente vero. Ma è altrettanto vero che in un mondo così portato al consumismo, ci sono altrettanti modi per risparmiare ed evitare spese inutili, a volte, diciamocelo, superflue. Rimango fedele alla vecchia bottega, anche se questo può comportare un piccolo sacrificio. Ma ripeto non vorrei mai rinunciare ad uno scambio di battute, ad una pacca sulle spalle, magari anche ad un piccolo litigio politico o sportivo, solo per qualche Euro in più nel borsellino”.

(Foto copertina pubblicata da Lingua Sandro sul gruppo Facebook “Sei di Lavena Ponte Tresa se…”)

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