4 Dicembre 2016

Morta in Pronto Soccorso a Luino nel 2014, la perizia: “Medico senza colpe”

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Aveva creato molto scalpore la morte di Fatma Jejili, nell’aprile 2014, al Pronto Soccorso di Luino, dove era arrivata accusando difficoltà respiratorio. Sentendosi male s era recata in Ospedale con il marito e i due figli, dove morì qualche ora più tardi. Grande lo sgomento e la rabbia nei confronti del personale da parte dei parenti. Negli scorsi giorni, a due anni dalla tragedia, è arrivata la perizia disposta dal giudice che scagiona la dottoressa che la visitò.

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Foto di archivio

Morta in Pronto Soccorso a Luino nel 2014, la perizia: “Medico senza colpe”. “Il percorso diagnostico fu corretto e il medico non poteva sospettare di essere di fronte a una tromboembolia polmonare prima di avere in mano i risultati degli esami di laboratorio e strumentali che aveva richiesto. E inoltre la possibilità di sopravvivenza per la paziente, in un caso di embolia polmonare massiva come quello, era solo dell’uno per cento”. Queste riportate sono le prime indiscrezioni sulle conclusioni della perizia disposta dal giudice nel processo per omicidio colposo a carico del medico che sabato 5 aprile 2014, al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Luino, ebbe a che fare con Fatma Jejili, la donna tunisina di 34 anni residente a Cunardo che morì mentre attendeva di essere curata per problemi respiratori sotto gli occhi del marito e dei due figli piccoli.

I periti “assolvono” dunque l’imputato, una dottoressa di guardia al Pronto Soccorso di Luino, che secondo la Procura di Varese avrebbe atteso troppo prima di intervenire in soccorso della povera Fatma, non essendosi reso conto che la donna, che da almeno tre settimane aveva difficoltà respiratorie, aumentate nelle ultime 24 ore, soffriva di una grave embolia polmonare.

“Secondo la perizia, invece, il medico fece quello che doveva fare, disponendo la giusta serie di esami, e non gli si poteva chiedere di scoprire, con una sorta di intuizione miracolosa, quello che stava capitando alla paziente, arrivata in Pronto Soccorso con parametri vitali nella normale. Senza dimenticare – spiega ancora la perizia -, che ormai la situazione era del tutto compromessa e qualsiasi terapia, anche decisa un istante dopo il suo ingresso in ospedale, non sarebbe riuscita a salvarle la vita. A Fatma fu assegnato al triage un codice ‘verde’ anzichè ‘giallo’, per questo i casi di altri pazienti furono affrontati prima del suo”.

Quindi sembrerebbe essere una fatalità quella che ha portato alla morte Fatma, anche se accettare un simile e tragico verdetto, per marito, figli e parenti, sarà molto complicato da superare

 

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