16 Agosto 2016

Il trailer di “La Teoria Svedese dell’Amore”, un viaggio in una società moderna e progredita

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Ecco il trailer di “La Teoria Svedese dell’Amore”, film di Erik Gandini, regista nato in Italia da padre italiano e madre svedese, racconta (in italiano) una storia che inizia in Svezia e finisce a Zygmunt Bauman, passando per l’Etiopia. Uscirà nei cinema italiani 22 settembre.

È noto che la Svezia si sia costituita in una società perfettamente organizzata, spesso presa a modello e simbolo delle più alte conquiste del progresso umano. Erik Gandini, in “La teoria svedese dell’amore”, analizza con attenzione entomologica la società svedese e nella sua ricerca scopre che la ricetta per lo stile di vita nordico era stata preparata a tavolino dall’élite politica svedese, che in un manifesto pubblicato negli anni Settanta dello scorso secolo aveva decretato l’indipendenza assoluta degli abitanti come necessità e obiettivo per l’intero popolo. Indipendenza dei figli dai padri, delle mogli dai mariti, eccetera. Gli svedesi, capaci di accettare immediatamente le proposte ritenute giuste dalla maggioranza, si sono subito adeguati e da allora l’indipendenza del singolo è favorita a ogni livello sociale.

La teoria svedese dell’amore scava nella vera natura dello stile di vita svedese, esplorando i buchi neri di una società che ha creato il popolo più autonomo, costituendo una società perfettamente organizzata in cui tutti hanno le medesime opportunità per una esistenza indipendente. Tra gli esiti di questa “autonomia istituzionalizzata”, in cui nessuno deve chiedere agli altri favori o aiuti, riducendo così al minimo i contatti fra gli individui, quasi metà della popolazione abita oggi in appartamenti singoli e sempre più donne scelgono di affrontare la maternità attraverso l’inseminazione artificiale. Alcuni svedesi stanno cercando strade differenti: giovani formano comunità che vivono nei boschi, scegliendo le emozioni e gli affetti; un chirurgo di successo sposta l’attività in Etiopia dove ritrova il valore della vita comunitaria, risolvendo con incredibile creatività i problemi che nascono dalla mancanza di materiale sanitario.

Il film è chiuso dalle parole illuminanti del sociologo Zygmunt Bauman che spiega perché una vita senza difficoltà non è necessariamente una vita felice. Gandini solleva una questione: “Perché una vita vissuta in tale sicurezza e tranquillità porta così spesso all’insoddisfazione?”. Il regista allontana il punto di vista dall’oggetto di studio fino a paragonare lo stile di vita svedese, fatto di benessere e solitudine, con la vita in Africa, oppressa dalle privazioni ma ricca e vivace sul piano relazionale.

Dopo Videocracy, il film “pop” sul berlusconismo, Gitmo, sui prigionieri detenuti a Guantanamo, Surplus, sulla società consumistica, Gandini ci regala un altro film saggio informatissimo, rigoroso, profondo e allo stesso tempo scanzonato, libero e fortemente cinematografico. Il regista italo-svedese non smette di stupire, con brillante intelligenza, trovando prospettive sempre nuove e inattese per raccontare l’attualità, lontano dai cliché su cui i media non smettono di arenarsi.

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