25 Giugno 2016

Luino: alcune riflessioni e proposte tra urbanistica, sviluppo e rapporto centro-frazioni

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(Diego Intraina) – Se questa Amministrazione dovesse organizzare un dibattito o un nuovo gruppo di lavoro sulla città di Luino, consiglierei di iniziare dall’individuazione di alcune valutazioni e considerazioni che possano fare da cornice alla discussione, e si dovrebbe farlo proprio per evitare il solito elenco di desideri che molto spesso, non vivendo di quelle necessarie forme d’unità, non creano armonie di senso giustificanti.

Panorama su Luino dalla frazione di Creva (Foto © Giancarlo Onnis)

Panorama su Luino dalla frazione di Creva (Foto © Giancarlo Onnis)

Non sto dicendo che le intuizioni non servono, sto solamente dicendo che queste possono essere utili solo qualora vengano stimolate a partire da un ambiente pensato e preparato per svolgere un preciso ruolo dialogico di sintesi; pertanto inquadrate all’interno di contesti di possibilità che interessano ed elencano le peculiarità materiali irrinunciabili: l’ambiente, e anche le “congiunture” immateriali come la cultura e le risorse economiche.

Sono consapevole che la geografia amministrativa del Comune, per alcune considerazioni d’inquadramento che elencherò, risulta essere stretta, ma purtroppo questo è il limite dell’esperienza luinese sulla pianificazione e sulla volontà politica in generale.

Il centro di Luino si è trasformato in una grande rotonda andando a strutturare un limitato sistema centrifugo implosivo dove gli assi di collegamento, con le altre realtà residenziali, non sono stati mai pensati e progettati per acquisire o indicare nessuna caratterizzazione d’impianto urbanistico salvo quello funzionale: non è un caso il taglio ferroviario mai risolto, l’anonimia di via Creva e Turati, Via Asmara, la via Don Folli, via Sbarra e la strada del lago che collega Colmegna ecc.. E non è un caso il consenso espresso sulla pedonalizzazione della via Vittorio Veneto che sarebbe per l’appunto considerato come un effetto del problema più generale.

Le realtà originarie (i nuclei) o di nuova residenza, pensiamo a Voldomino, Colmegna, Creva, Moncucco/Villaggio Menotti, ma anche a Poppino, sono state trattate e trasformate nel tempo senza predisporle ad una relazione di senso con quello che si è lasciato caratterizzare come possibile centro commerciale e amministrativo della città. Non si riesce a intuire quale sia stata l’idea urbanistica/territoriale seguita e che si sta ancora percorrendo: non si è mai dichiarato e meno ancora palesemente sostanziato su quale sistemi urbani si è deciso concretamente di operare: centripeto, policentrico, molecolare ecc.

Le scelte fatte dalla pianificazione sull’urbanistica del lavoro, per un’evidente e continua generalizzazione dell’uso di modelli di produzione standard ormai obsoleti, non è riuscita ad adeguarsi in tempo utile alla trasformazione tecnologica e al cambiamento delle caratteristiche e peculiarità produttive della domanda di settore. Sempre più spesso molte attività produttive, non più moleste neppure nei bisogni architettonici, hanno richiesto (e continuano a richiedere) di potersi integrare a contesti urbani di qualità, meglio ancora se espressione di forti cariche simboliche. Nella storia luinese, in modo sconsiderato, si è invece continuato a decentrare le attività produttive, perseverando nel consumo indiscriminato delle aree agricole (vedi piana di Voldomino e non solo), realizzando contesti monofunzionali impersonali che hanno contraddetto e negato la soddisfazione della sensibile domanda di localizzazione. Questa logica di decentramento ha purtroppo trasformato e continua tutt’oggi a trasformare vecchie aree industriali strategiche in squallidi contesti commerciali o in pindarici complessi residenziali, aree che avrebbero potuto corrispondere alla domanda d’insediamento di nuovi modelli, soddisfacendo nuove forme di insediamento produttivo, senza doverci obbligare a sacrificali costi infrastrutturali e irreversibili disastri ambientali: penso alle ultime rimaste aree produttive dismesse non ancora completamente sacrificate: parte di Creva, Voldomino e Luino, sperando in un maggiore buon senso di quello che è successo con il nuovo supermrcato in Via Don Folli e meno recente insediamento in via Turati.

Si è fino ad oggi ignorato l’importanza del dialogo tra l’ambito residenziale e le aree agricole immediatamente ai margini dell’urbanità, condizione che, non potendo più essere ignorata per evidenti ragioni di buon senso e coscienza esistenziale, obbliga ad un pensiero di complementarietà su cui bisognerebbe fermarsi a riflettere. Oggi questo tempo serve a noi per (ri)assegnare a loro delle relazioni di senso che ci sappiano legare a nuove visioni e differenti stili di vita: differenti forme di condivisione della quotidianità e del sistema culturale dell’alimentazione; forme capaci d’indicarci una nuova struttura di valori da cui ripartire, in modo che si possa superare la difficoltà in cui, molto spesso, ci troviamo quando dobbiamo affrontare un atto di rappresentazione fenomenologica riguardante i limiti e i contenuti della città: non è un caso l’elenco prolisso delle problematiche a cui molto spesso si può solo rispondere con dei puntuali lifting.

L’intuizione fenomenologica soggettiva è necessaria perché, qualora si riuscisse a rendere collettiva con attività e processi culturali pedagogici all’insegna della (ri)conoscibilità, permetterebbe di raggiungere una condivisione e una consapevolezza d’essere in grado prima di leggere (processo della conoscenza) e poi di rappresentare (processo del giudizio) un impianto paesistico in modo da poter, di conseguenza, assegnare coerentemente “relazioni di scopo” alle aree urbane e, perché no, anche a quelle centrali: penso a strutture organizzate che svolgano attività pedagogiche, come le comunità degli orti urbani, i mercati coperti per la vendita locale (anche per le comunità) di prodotti a km 0 e volontà (di azioni politiche amministrative) capaci di assegnare un nuovo valore aggiunto all’attività agricola rivisitata attraverso i principi del bene comune e della qualità della vita.

Altra riflessione d’affrontare è quella del bisogno di abitazioni sociali, argomento ormai dimenticato nei piani regolatori e di governo di Luino e non solo. Anche questa situazione avrebbe bisogno di un profondo ripensamento che, finalmente, sposti l’interesse dall’aree di espansione (anche in questo caso rubati all’agricoltura) verso una più empatica visione di inclusione: recuperi e ricuciture urbanistiche che possono e devono essere incentivate anche attraverso virtuose politiche dell’affitto, che vanno a coinvolgere e dialogare con i patrimoni privati esistenti: penso non solo a risoluzione di condizioni di disagio economico, ma anche a innovazioni abitative di condivisione per anziani e copie che siano interessate a percorrere strade alternative. L’introduzione di queste soluzioni empatiche non potranno evitare di far riflettere e ripensare anche il possibile valore comunitario e l’utilità terapeutica che potrebbero assumere in queste nuove visioni i nostri centri storici.

Ecco, queste sono solo alcune delle possibili considerazioni che purtroppo non mi sembra abbiano avuto una risposta chiara e decisa nella recente adozione del Piano di Governo del Territorio, e pertanto prevedo che potranno essere di inciampo nel prossimo lavoro sulle “aree centrali”. Si può fare finta di non capire l’indubbia complessità del pensiero – la complementarietà dei diversi ambiti, la loro indubbia comunicazione pedagogica e la necessità di una visione olistica del paesaggio – quando si sta esponendo ragioni politiche, ma non potremo fare altrettanto quando ci troveremo di fronte a richieste pilotate da interessi privati e da eventuali aggiustamenti pubblici che non avranno come legittimazione un forte consenso politico.

Questa condizione sarà inevitabile e la si potrà solo superare se si correrà per tempo ai ripari. Risulta evidente che si dovrà supplire alla carenza predisponendosi, da subito, all’elaborazione di strumenti concettuali che possano definire, anticipatamente, quelle invarianti territoriali di cui non ci si può permettere nessun sacrificio o sconsiderata e banale trasformazione (penso alle sensibilità presenti nell’area ex Ratti, alla strategica Visnova, alla possibilità di ricucitura che permetterebbero l’area della ferrovia e quella dell’ex SVIT) e, non per ultimo, al raggiungimento di quelle forme comportamentali di democrazia deliberativa che riusciranno a garantire il controllo delle possibili decisioni; in questo caso penso ad una rivisitazione dello Statuto Comunale o una scrittura in Consiglio Comunale di un “Patto di cittadinanza”.

Senza questi inquadramenti possibili tutto il lavoro che verrà svolto rischia, come è già successo, di rimanere solo letteratura subendo il trascorrere del tempo come consigliere muto.

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