21 Agosto 2013

Intervista a Marco Righi, autore e regista de “I giorni della Vendemmia”

Tempo medio di lettura: 5 minuti

“Sulla mia terra, semplicemente ciò che sono mi aiuterà a vivere.” 

Pier Vittorio Tondelli, Altri Libertini.

Il regista Marco Righi, sul set di "I giorni della Vendemmia"

Il regista Marco Righi, sul set di “I giorni della Vendemmia”

Marco Righi ha ventinove anni, uno studio di comunicazione di nome “505” e ha esordito alla regia con il lungometraggio I giorni della Vendemmia, che è distribuito dalla casa di produzione e di distribuzione cinematografica “Ierà” di Simona Malagoli.

Vive a Reggio nell’Emilia, terra alla quale è molto legato. Lettore appassionato dello scrittore Pier Vittorio Tondelli, autore di Altri Libertini, ha partecipato a numerosi Festival di Cinema in Italia e all’estero, tra cui Londra, Hong Kong e l’America Latina, in cui la sua prima opera ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti. Da ottobre 2012 il film è disponibile, per rassegne, in tutte le città d’Italia, dopo essere approdato sui grandi schermi nelle sale di quei Cinema italiani che credono valga ancora la pena proiettare opere prime e film d’autore.

Com’è nata la tua passione per il cinema ed in che modo sei riuscito a trasformarla in un lavoro?

La mia passione per il cinema è nata casualmente, difficile ora, individuare come. Credo banalmente vedendo film. Ho cominciato a guardare i film che mio padre mi portava a casa quando, per lavoro, si spostava. Gli “homevideo” dei primi anni ottanta, quando sono nato: The Gonnies, Back to the Future ed E.T.. Penso che, in prima istanza, ci sia stata un’inconscia fascinazione nel “mezzo-cinema”. Film che per un ragazzino sono assolutamente straordinari! Crescendo ho poi approfondito la materia e studiato la storia del cinema, il montaggio, le opere dei grandi autori. Per quanto concerne il lavoro, purtroppo non lo è ancora, ma spero un giorno possa diventarlo. Ho esordito con un lungometraggio, però non si può dire che sia il mio mestiere…

marco righi fine film

Il regista Marco Righi in uno scatto a fine riprese

Curi un blog su “ilfattoquotidiano.it”. In un articolo parli della mancata partecipazione dei giovani alle presentazioni del tuo lungometraggio I giorni della Vendemmia. Perché spesso anche chi studia cinema, desiderando farne un lavoro, non sostiene il cinema d’autore soprattutto se realizzato da un’esordiente?

A questa domanda non so risponderti. Ho denunciato questa situazione perché lo trovo un controsenso, del tutto anti costruttivo. Non vorrei che si generalizzasse, ma devo prendere atto che con I giorni della Vendemmia è stato così; anche quando vado al cinema da spettatore, nelle mono-sale, vedo pochi giovani. C’è questa abitudine di scaricare i film. L’argomento credo necessiterebbe di un maggior approfondimento, però quello che vorrei far comprendere, ai fruitori, è che, a parte il sostegno al mercato, il cinema visto in sala è un’altra cosa. Lì diviene cinema, in quel luogo. Il discorso vale ancora di più per gli addetti (o chi vorrebbe esserlo) ai lavori: vedendo cinema s’impara il cinema. Bisogna essere spettatori prima che registi, sceneggiatori, scenografi…

Parlaci di 505, lo studio di comunicazione che hai aperto nel 2009. Quali sono i progetti a cui lavorate?

Ecco, questo è per me l’argomento “Lavoro”, di cui si accennava in precedenza. 505 sono io, un piccolo studio in affitto nel centro di Reggio Emilia che cerco di mantenere facendo lavori di natura commerciale. Ma appena posso, lo dedico ad eventi di varia natura. Diventa così spazio espositivo durante la settimana di Fotografia Europea, saletta concerti, reading, cineforum… Tutto quello che mi va di farci insomma!

Nel 2008 hai realizzato il documentario Abbasso il Duce, curandone regia e montaggio. Cosa ti ha spinto al racconto di San Polo d’Enza, paese in provincia di Reggio Emilia, scenario della Resistenza partigiana italiana?

Sono nato a San Polo d’Enza. Qui in Emilia l’argomento Resistenza è un argomento caldo, nel senso positivo del termine. Qualcosa di molto vivido, sentito, ricordato; come ci si auspica. Poco distante da qui sono nati i sette fratelli Cervi, il documentario è stato anche presentato, e lo dico con un certo orgoglio, nella loro casa-museo di Campegine. “Abbasso il Duce” nasce dai racconti del periodo partigiano che mio nonno mi narrava da piccolo vicino al calorifero del salotto di casa. Cresciuto, ho deciso insieme ad un amico di raccogliere la sua e altre testimonianze su quello che era accaduto dalla loro prospettiva, dal punto di vista di ciò che era avvenuto in un piccolo Comune disperso tra la Pianura Padana. Non la Storia dunque, con la s maiuscola, ma le storie di una vicenda collettiva in una comunità. Umili, quotidiane, fatte di amori che sbocciavano e amicizie tra compagni di lotta. Sarò sempre affezionato a questo lavoro. (Il documentario è in streaming gratuito a questo indirizzo: http://vimeo.com/40972609)

Una scena del film

Lavinia Longhi e Marco D’Agostino, nella foto originale della locandina

Il dibattito sulla relazione che intercorre tra la politica italiana e “il mondo della cultura” si assopisce e si riaccende ormai da anni nei salotti televisivi e nell’opinione pubblica. Qual è la relazione che intercorre tra cultura e politica? Credi che occupandosi di cultura si faccia volontariamente o meno politica?

Certamente, politica nell’accezione non di gestione del potere, ma di comunità dei cittadini. Spazio, sia fisico che astratto, al quale tutti partecipano. La cultura è terreno fertile per la (buona) politica e viceversa; dovrebbe esserci reciprocità, un dialogo ed uno scambio continuo. Purtroppo nel concreto, a livello di finanziamenti e di gestione, la cultura è spesso un sottoposto della politica. Però, per non sfuggire alla tua seconda domanda, tendo a credere che nell’occuparsi di cultura, anche da fruitori di questa, si faccia sempre del bene alla politica.

La tua opera prima I giorni della Vendemmia, ha girato molti Festival italiani e stranieri ed è stata distribuita nei cinema, come il Mexico di Milano, che seguono logiche diverse dai ricchi multisala. Perché le logiche commerciali della grande distribuzione sembrano diventate insuperabili?

Anche questa risposta meriterebbe un discorso più approfondito, ma cerco di semplificare: le logiche commerciali seguono i diktat del mercato, quello che cercano la maggior parte degli spettatori. Per questo è complesso, anche per i grandi distributori, investire su opere prime o seconde, o più intellettuali. Perché sono opere, per il mercato quindi più deboli, più vulnerabili; senza un reale “appeal” nonostante siano state internazionalmente riconosciute e/o celebrate in Festival importanti. Così vengono escluse dai giochi dei circuiti distributivi e devono crearsi un loro spazio personale lottando per la visibilità. Mi fermo, visto che da qui potrebbero aprirsi altri scenari.

Elia, in una scena del film nella campagne emiliane

Elia (Marco D’Agostino), in una scena del film nella campagne emiliane

Il film, ambientato nella campagna emiliana di fine anni ottanta, racconta di una famiglia e di una provincia fortemente contraddittoria in cui comunismo e cattolicesimo si incontrano e combattono piuttosto serenamente. Credi che contraddizioni di questo tipo siano tipiche della provincia italiana?

Credo che queste contraddizioni siano anche molto italiche e non solo della provincia. In Emilia hanno radici profonde, ataviche e rimangono attuali soprattutto nella contemporaneità politica. Premesso ciò, penso che qui (in Emilia) abbiano trovato un loro personale equilibrio.

La piccola partecipazione di tua nonna Maria che recita in dialetto reggiano ricorda un pò la registrazione vocale presente in “Diamante” di Zucchero Fornaciari, in cui la nonna, presunta o tale, “recitava” poche battute in dialetto. E’ un elemento comune degli emiliani il legame con la propria famiglia e la propria terra?

Penso di sì, quantomeno come legame con la propria terra. Così è stato trasversalmente in passato, con grandi autori di cinema, musica, letteratura, arte, e così si ritrova, con una certa frequenza, oggi. Per quanto mi riguarda, mia nonna Elide è entrata nel cast per varie esigenze: la prima di natura economica, la seconda per rassicurarmi dell’intimità del lungometraggio.

La passione per lo scrittore Pier Vittorio Tondelli da cosa nasce? I suoi libri influenzano il tuo cinema?

Per ora tantissimo. Chi mi conosce sa che Tondelli per me è una figura centrale, per la sua provenienza e nel suo rapporto con la provincia. Ho conosciuto Pier tramite i suoi libri, è morto nel 1991, quando avevo otto anni. I suoi testi mi hanno coinvolto, come scrive lui, fino al parossismo. Credo che Tondelli sia uno scrittore di un’attualità sconvolgente: scrive la cronaca degli anni ’80, ma è come se, sostituendo alcune tendenze, band e modi di fare, scrivesse dei nostri anni zero. C’è una tale lucidità nel descrivere comportamenti e stati d’animo che commuove.

Hai diretto, scritto e montato I giorni della Vendemmia. Cosa vorresti lasciasse allo spettatore?

Vorrei che il film restituisse una piccola storia, famigliare, semplice, come è la linearità del racconto. “I giorni della Vendemmia” è un titolo in prosa. Ho cercato di descrivere pochi istanti nel fine-estate di un adolescente, Elia, di una ragazza che incontra e di un fratello che torna. Di pulsioni sessuali che scopre il ragazzo, di gioie e di tristezze cosmiche che lo fanno crescere. Amo il cinema dove succede poco e nulla, se non tra la psicologia delle persone coinvolte.

Un film di Marco Righi. Con Lavinia Longhi, Marco D’Agostin, Gian Marco Tavani, Maurizio Tabani, Claudia Botti, Elide Bertani, Luigi Gandolfi, Rossella Torri, Claudio Binini, Emiliano Bisegna. Drammatico, durata 80 min. – Italia 2010. Uscita venerdì 24 febbraio 2012.

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