11 Agosto 2016

Cicciottelle? “Così è se ci pare”

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(linkiesta.it)

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Lo ripeto, sia mai che ripetendolo riesca effettivamente a suonarmi reale. No perché, non so voi, ma per quanto riguarda me, davanti ad un’affermazione del genere l’incredulità e lo sdegno si fanno strada posizionandosi perfettamente a metà tra l’irreale e l’inconcepibile. Vuoi mai che la mia miopia, che già si aggira intorno al -5,50, il che per i non addetti ai lavori significa su per giù metà della vista mancante, sia peggiorata al punto da non permettermi una corretta lettura di questo titolo, che non saprei definire in altro modo che aberrante? No, purtroppo no. Le mie diottrie sono rimaste immutate e gli occhiali fanno il loro dovere. Ahimè ho dunque letto bene. E vogliate perdonarmi la franchezza, ma bisogna essere dei giornalisti di un livello quantomeno mediocre, per riuscire, a fronte di una competizione olimpica, a non trovare altra argomentazione che l’aspetto fisico delle atlete.

A quanto pare questa categoria, che continuerò, per amor di civiltà, ad apostrofare semplicemente come “mediocre”, ancora esiste. Esiste e non ha per l’ennesima volta perso l’occasione per mostrare qualcosa che, se proprio non si ha la capacità e la ferma volontà di contrastare in sé stessi, sarebbe bene almeno tenere nascosto in attesa dell’agognata evoluzione, ed evitando, per quanto possibile, di esporre in pubblica piazza il vano tentativo di conquista di quel barlume di civiltà che da un uomo del secolo al quale apparteniamo ci si attenderebbe. E invece no. Nella “civilissima” società nella quale viviamo qualcuno è ancora in grado di giudicare una donna dai centimetri del suo sedere ed il tutto senza provare un quantitativo (quantomeno esiguo) di vergogna, anzi. L’aggettivo è sembrato così geniale da non provare nemmeno un pochino di imbarazzo, nello sbatterlo sulle prime pagine di un giornale. Dicendo ciò, non fraintendetemi, le mie parole non vogliono andare a colpire il malcapitato giornalista, o almeno, non solo. Certo chi lo ha scritto ha sbagliato, ma come me credo che a nessuno serva quest’uomo esposto alla pubblica gogna, che finirebbe semplicemente per diventare un capro espiatorio su cui scaricare le colpe delle nefandezze sessiste di cui questa società si macchia un giorno dopo l’altro nell’indifferenza più totale. Egli è un essere umano come tanti e come tale passibile di errore. Errore che per quanto io e voi ne sappiamo potrebbe essere stato commesso senza malizia.

Quel che invece val la pena d’osservare è la leggerezza con cui tal cosa è stata scritta. Per quanto mediocre il personaggio in questione, non credo che il suo intelletto non sarebbe stato in grado di indurlo a fermarsi, qualora si fosse reso conto di ciò a cui si stava esponendo. Dunque il problema non sta lì. Il problema sta altrove, in uno spazio ben più ampio, che spesso sfugge all’occhio dell’osservatore svogliato, nel quale, indisturbati, è possibile perpetrare scelleratezze di questa portata ed oltre, senza che nessuno se ne indigni: la nostra società. Sarebbe quest’ultima da mettere sul banco degli imputati, essa, che nelle profondità della propria essenza, quei tratti sessisti, che ne hanno caratterizzato i trascorsi, non li ha mai davvero del tutto abbandonati. Ecco perché un uomo, un “uomo mediocre”, non ha trovato per nulla sconcertante riferirsi ad una donna, dopo una prestazione sportiva eccellente, con l’appellativo di “cicciottella”, perché la società nella quale vive e dei cui valori è permeato, gli ha porto un nullaosta all’interno del quale rannicchiarsi e dal quale sputare, indisturbato, sentenze che grosso modo non fanno rabbrividire più nessuno, impermeabili come siamo al carico di violenze che esse portano con loro. Troviamo normale giudicare, dal piedistallo più alto sul quale siamo in grado di arrampicarci, i corpi e guarda caso quelli che vanno per la maggiore sono quelli femminili. Nulla è perdonato ad un corpo femminile che esula dai canoni di bellezza che in questo o in quel momento storico lo esigono in linea con una certa e prestabilita conformazione.

Agli uomini tutto è perdonato, dalla calvizie che fa brillare il loro capo sotto i raggi del sole, alla panza che con disinvoltura si appoggia alla cintura dei pantaloni, a visi sguaiati deturpati da brufoli, rughe, occhiaie e qualsiasi altro accessorio la natura abbia deciso di fornirgli. Alle gentil donzelle invece nulla è concesso. A noi nulla si perdona. E dunque via a commenti d’ogni genere e sorta sul quel seno che non è della taglia che più aggrada, o cede per via della forza di gravità, o ancora più semplicemente si “sgonfia” perché si è deciso, con il gesto più naturale che mi viene in mente, di allattare il proprio bambino. Su quelle cosce che ci hanno fieramente condotte a spasso, sino al raggiungimento dei nostri obiettivi e che dopo qualche annetto mostrano i segni del tempo, dove smagliature, cellulite e vene varicose fanno da padrone. Su quei chiletti che sono troppi o troppo pochi. Su quelle rughe che scultoree mostrano l’opera d’arte che è stata la nostra vita e che faticosamente ci siamo guadagnate tra pianti disperati e sorrisi sguaiati.

Ma sapete che c’è? Ci siamo rotte. Ci siamo rotte di strapparci peli negli angoli più reconditi del nostro corpo perché “guai se si vedono”. Ci siamo rotte di sottoporci a diete massacranti e a trattamenti di bellezza d’ultima generazione che nei centri estetici sono pubblicizzati come l’ultimo ritrovato miracoloso che ci regalerà lo “straordinario” corpo con il quale sentirci fiere di noi stesse. Salvo poi scoprire che la bellezza è un canone estetico in continua evoluzione, il che ci ridarà di lì a qualche tempo nuovamente in pasto alle ultimissime ed evolute torture. Ci siamo rotte di sopracciglia tatuate e rughe sapientemente riempite o trattate con schifezze d’ogni genere che deturpano il gioiello più bello che c’è dato d’indossare: le nostre espressioni. Di unghie che ogni mese vengono ricoperte da quintalate di gel colorati dai quali ci rendiamo dipendenti al punto da non ricordaci più come sono realmente fatte le nostre mani. Di interventi di chirurgia estetica dolorosi dentro e fuori, che gonfiano, sgonfiano, succhiano, come se il nostro corpo fosse qualcosa di non molto dissimile dal Didò con cui giocavamo da piccole.

Si, ci siamo rotte. O almeno ci siamo rotte di farlo per qualcuno che non sia “noi stesse”. Perché diciamoci la verità, quante lo fanno realmente per sé stesse? Quante se dovessero starsene da sole, lontano da occhi indiscreti ed in piena libertà seguiterebbero a sottoporsi a torture di tal sorta? E ancora, quante sono convinte di farlo per sé stesse ignorando che il condizionamento esterno ci ha plasmate oggi in un senso, domani in quell’altro? Perfino io che amo pensarmi libera in questo senso, e che, per carità, faccio il minimo indispensabile, so di non essere esente da questo mercato che ci dice come dobbiamo essere e uno dopo l’altro ci fornisce gli (spesso costosissimi) strumenti per adeguarci ad esso. Ma non finisce qui, la simpatica controindicazione di questa follia generale, vuole che chiunque esuli da questo stereotipo di perfezione, non solo possa essere sottoposta a commentini dei più svariati generi ma che in qualche misura lo possa meritare. O quantomeno, che diamine, aspettarselo! Risulta davvero così complesso per l’uomo e la donna medi comprendere che parlare delle donne partendo dall’esame del loro corpo è sessista?!

Ora, eviterò di dirvi ciò che potete farci con il vostro canone estetico, ma un consiglio non richiesto permettetemi di elargirlo. Nel limite del possibile, conservate quel minimo di dignità che permette di evitare la pubblica umiliazione, a voi, e l’incresciosa pena, a noi, dati dal dover leggere e sentire commenti urlati barbaramente da un finestrino, scritti sulla pagina di un giornale, “coraggiosamente” postati su Facebook e quant’altro.

Davvero.

Anche se lo stadio evolutivo al quale siete faticosamente approdati non è posizionato troppo in là, perché fare in modo che tutti lo sappiano ostentandolo in pubblica piazza? Voglio credere che oggi, domani o dopo, ogni donna possa, incoraggiata da una società evoluta ed acculturata, imparare ad amarsi per quello che è, ad amare il proprio corpo con le sue (im)perfezioni, segno di una vita vissuta intensamente e che sono tratto tangibile della sua irripetibile unicità. Voglio ed ho bisogno di credere che il corpo che ognuna porta con sé non sia metro e misura del proprio valore e che ogni donna abbia voglia di regalarsi una cena ed un aperitivo ad alto tasso calorico, durante il quale sorridere del capolavoro nel quale è riuscita a trasformare la propria vita e di voi.

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