26 Dicembre 2015

38 anni fa moriva Charlie Chaplin, colui che ha reso “la cinematografia la forma d’arte del Novecento”

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A Natale, ogni anno, la tv ripropone in maniera sistematica film o comiche che ormai spesso superano il secolo di età. Natale, un giorno di festa. E forse anche per questo il destino ha voluto che Charlie Chaplin, l’uomo che secondo l’Academy Award aveva “reso la cinematografia la forma d’arte di questo secolo”, se ne andasse proprio un 25 dicembre, quello del 1977.

(openmag.it)

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38 anni fa moriva Charlie Chaplin, colui che ha reso “la cinematografia la forma d’arte del Novecento”. Chaplin morì a 88 anni nella sua casa in Svizzera a pochi ettari da quella della sua ex moglie e migliore amica, Paulette Goddard (nata Levy, ebrea e moglie in seconde nozze dello scrittore Erich Maria Remarque), che diresse in “Tempi moderni” e “Il grande dittatore”. Se ne andò 5 anni dopo che Hollywood si era ampiamente riconciliata con lui, a partire dall’Oscar alla carriera che gli consegnò per “l’incalcolabile effetto che ha avuto rendendo la cinematografia la forma d’arte di questo secolo”, salutandolo con un applauso lungo 12 minuti. L’Academy volle così dare un parziale risarcimento a Charlot per il modo in cui gli Usa e il mondo dello spettacolo americano lo avevano trattato: il cineasta e attore inglese fu infatti una vittima illustre del maccartismo e della “caccia alle streghe” contro i comunisti nel 1952. L’Academy dava a Chaplin quel riconoscimento che la storia aveva già consegnato decenni prima, quando le sue comiche realizzate negli anni 1914 e 1915 per Mack Sennett e la Keystone si trasformarono in qualcosa di più di una semplice esplosione di risate. Divennero Arte. E bastano i titoli dei film (non più semplici corti, sketch o comiche che portano il numero delle sue pellicole a superare le 90) per giustificare la maiuscola: “Il monello” del 1921, “La febbre dell’oro” del 1925, “Il circo” del 1928, “Luci della città” del 1931, “Tempi moderni” del 1936, “Il grande dittatore” del 1940, “Monsieur Vordoux” del 1947, “Luci della ribalta” del 1952, “Un re a New York” del 1957, “La contessa di Hong Kong” del 1967.

A Natale, ogni anno, la tv ripropone in maniera sistematica film o comiche che ormai spesso superano il secolo. Natale, un giorno di festa. E forse anche per questo il destino ha voluto che Charlie Chaplin se ne andasse proprio un 25 dicembre. Attorniato da figli (ne ebbe undici, anche se il primo morì neonato) e nipoti, Chaplin se ne andò dopo aver contribuito alla propria eternità: a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, infatti, fece ristampare salvandole dalla distruzione moltissime sue comiche e pellicole degli anni ’20, ’30 e ’40 e ricompose e rimasterizzò le musiche.

La storia di Chaplin è affascinante: genio acclamato e incontestabile, decise di rischiare tutto realizzando nel 1939 un film contro un uomo che gli Usa guardavano con simpatia e con cui le ricche famiglie (tra cui i Kennedy) facevano affari, Adolf Hitler. Scrisse, diresse e interpretò “Il grande dittatore” ridicolizzando, approfittando di una somiglianza impressionante, il Fuerer (curiosamente nato il 20 aprile 1889, 4 giorni dopo Chaplin) contro l’opinione degli amici e del fratellastro-manager Sidney, nato dalla stessa madre ma da padre diverso (“Perchè lo fai, Charlie? Tu sei un artista, non un politico”, chiese Sidney. “Lo so, Sid, e tu sei un ebreo. E poi… qualcuno deve farlo”, la risposta).

La lungimiranza del genio e la sensibilità dell’artista anticiparono la realtà: la vera natura di Hitler fu chiara in breve tempo e, quando uscì il film, malgrado i sospetti di simpatie comuniste, divenne una sorta di manifesto antinazista e venne proiettato in trincea per sollevare il morale delle truppe Usa. Chaplin dovette però sempre difendersi dall’accusa di comunismo. In realtà non disse mai di avere simpatie per l’Urss, ma elogiò sempre Stalin dicendo che grazie ai sovietici, i nazisti erano stati sconfitti. Non si dichiarava comunista, ma “umanista”. Amava e rispettava gli uomini, senza ideologie nè credo religiosi. Non era ebreo, anche se era opinione diffusa che lo fosse (lo era la moglie Paulette, invece), ma di certo non smentì mai ed è vero che stimava molto quel popolo per le sue sofferenze e per quello che aveva dovuto subire durante il nazismo.

La vita di Chaplin, però, è anche fuga (o esilio). Nel 1952, quando partì per un viaggio in Europa, gli fu ritirato negli Usa il passaporto e dichiarato persona non gradita, impedendogli di tornare a casa. Allora andò in Svizzera e rimase per sempre con la sua famiglia, con la moglie Oona O’Neill che sposò quando aveva 53 anni e lei 18 (il padre Eugene, grande commediografo Usa, la ripudiò per questo), e con gli otto figli che ebbe da lei: la prima e più famosa è Geraldine, nata nel 1944 negli Usa e l’ultimo è James Christopher, nato in Svizzera (come altri suoi tre fratelli) nel 1962. Hollywood si ricordò di Charlie Chaplin quando ormai era finita la caccia alle streghe, in tempo per rendere omaggio all’uomo che aveva “fatto delle immagini in movimento una forma d’arte del XX secolo”. A titolo di cronaca, c’è da dire che Hollywood aveva già premiato Chaplin con un Oscar alla carriera nel 1929 quando, candidato come miglior attore per “Il circo”, fu rimosso dalla lista e premiato con l’Oscar speciale “per la versatilità e il genio con cui ha interpretato, scritto, diretto e prodotto” quel film. Nel 1973, poi, l’Academy consegnò a Chaplin un terzo Oscar, il primo “retroattivo” della storia, per la colonna sonora di “Luci della ribalta”, film del 1952 che rimase inedito negli Usa fino al 1972.

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