10 Novembre 2015

Atletica – la Russia nel ciclone doping, Wada: “Escluderla dalle competizioni”. Cremlino: “Accuse infondate”

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Non la Siria, non l’Ucraina, ma il doping mette all’angolo Mosca, e rischia di trasformare l’atletica in un nuovo terreno di scontro tra la Russia e l’Occidente. Mosca rischia di perdere le 19 medaglie – otto d’oro, cinque d’argento e sei di bronzo – conquistate ai Giochi Olimpici di Londra del 2012, che le avevano valso il secondo posto nel medagliere, dopo che l’agenzia mondiale anti-doping (Wada) ha chiesto la messa al bando della Federazione russa di atletica leggera.

(qz.com)

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Atletica: la Russia nel ciclone doping, Wada: “Escluderla dalle competizioni”. Cremlino: “Accuse infondate”. In un rapporto di 323 pagine frutto di un’inchiesta di 11 mesi si spiega che la sospensione dovrà durare fino a quando Mosca non avrà fatto chiarezza sui ripetuti casi di doping che hanno coinvolto i suoi atleti. Sono state identificate carenze sistematiche nei controlli della Federazione internazionale (Iaaf) e di quella russa che “impediscono o diminuiscono la possibilità di un efficace programma anti-doping” per gli atleti russi e si afferma che la presenza degli atleti dopati russi ha praticamente “sabotato” la XXX Olimpiade. La Commissione sollecita inoltre la squalifica a vita per cinque atleti, fra cui l’oro degli 800 femminili nei Giochi della capitale britannica, Mariya Savinova. Quello e altri successi, scrive la Wada, sono frutto di un complotto gestito dai servizi segreti dell’Fsb che avevano controllato il laboratorio antidoping moscovita anche durante i Giochi invernali di Sochi del 2014.

Mosca non ci sta e passa al contrattacco: “Non avete il diritto il diritto di sospenderci”, è stata la prima risposta del ministro dello sport, Vitaly Mutko, che però assicura di voler “adeguarsi” alle raccomandazioni della Federazione mondiale dell’atletica e della World Anti-Doping Agency, fondata il 10 novembre 1999 a Losanna per coordinare la lotta contro il doping nello sport. Non solo: la Federatletica russa ha anche accusato la Wada di eludere i protocolli stabiliti per la lotta al doping. “Qualsiasi provvedimento di sospensione dovrebbe essere discusso nella riunione della Iaaf nel mese di novembre – ha detto il presidente ad interim di RusAthletics, Vadim Zelechenok -. Dovrebbe essere dimostrato che le violazioni erano colpa della federazione e non dei singoli sportivi. Dovrebbe esserci data la possibilità di difendere la nostra reputazione”.

Intanto l’Australia si schiera al fianco della Wada nel chiedere la sospensione della Russia da tutte le competizioni, e dunque anche dalle prossime Olimpiadi di Rio 2016. “La strada è chiaramente molto corta per affrontare tutte le questioni che il documento ha portato alla luce – ha detto il presidente della federazione di atletica australiana -. Visto il poco tempo da qui ai Giochi di Rio mi risulta difficile pensare che la Russia possa fare chiarezza sull’intera vicenda”. Su Twitter, nel frattempo, l’australiano Jared Tallent, secondo nella 50 Km ai Giochi Olimpici di Londra 2012 alle spalle di Sergej Kirdjapkin, torna a reclamare l’oro dopo la squalifica per doping del russo. La posizione dell’Australia è infine condivisa anche dalla Nuova Zelanda: “Tutti i paesi che non adottano il codice Wada devono essere oggetto di sanzioni contenute nel codice stesso”, ha detto in una nota il presidente della federazione, Linda Hamersley.

Oltre alla richiesta di sospendere la federazione russa di atletica leggera dalla competizioni per due anni, la Wada ha indicato alcuni nomi di dirigenti ed atleti da squalificare a vita. Tra essi c’è il “cavaliere” della Mordovia Viktor Chegin, l’allenatore più vittorioso al mondo ma anche molto chiacchierato per i suoi metodi di lavoro che viaggerebbero in parallelo col doping. Per sfidare le squalifiche inflitte per doping, Chegin era anche a conoscenza della partecipazione ad alcune gare interne, ma comunque ufficiali, di atleti squalificati. Il fatto è accaduto alla fine dello scorso anno quando Elena Lashmanova partecipò ad una competizione indoor. Nel luglio 2014, a seguito di un’inchiesta della Rusada sui casi di doping nella marcia, la federazione di atletica di Mosca non aveva accreditato ufficialmente Chegin per gli Europei di Zurigo. Il tecnico mordvino era comunque presente in Svizzera ai bordi del circuito di marcia. Suoi allievi sono stati tutti i marciatori russi che da metà dagli anni ’90 ad oggi hanno vinto qualcosa di importante. Il primo marciatore più famoso è stato German Skurygin, già campione del mondo nel 1999 sulla 50 km (titolo poi revocato e andato all’italiano Ivano Brugnetti), morto a soli 45 anni per infarto. La new generation del marciatori russi, quella che ha fatto largo uso di in particolare di eritropoietina (Epo), ha visto implicati campioni del calibro di Olimpiada Ivanova, Olga Kaniskina, Valeriy Borchin, Sergey Kirdyapkin, Lashmanova, Sergey Morozov, Stanislav Emelyanov e tanti altri.

Nel 2015 il doping ha annientato il settore e nessun marciatore russo era presente ai Mondiali di Pechino. Almira Alembekova, sulla quale vi erano forti dubbi dopo la vittoria in Coppa Europa nel maggio scorso, ha smesso di allenarsi con la scusa di preparare il matrimonio di fine agosto ed il viaggio di nozze in Turchia con Aleksandr Ivanov, ormai ex campione del mondo sulla 20 km. In totale gli atleti trovati positivi o comunque con un passaporto biologico anomalo seguiti da Chegin sono stati ben 37. Molti casi sono emersi proprio negli ultimi mesi. Tre di loro Igor Erokhin, Kanaykin e Morozov sono stati squalificati a vita per recidiva. (AGI)

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