16 Ottobre 2015

L’Istituto Comprensivo “B. Luini” di Luino ricorda i Partigiani Caduti della Gera di Voldomino

Tempo medio di lettura: 4 minuti

(Articolo del professor Giovanni Petrotta) – Come ogni anno la scuola media di Luino ha partecipato con il suo vessillo alla Commemorazione dell’Eccidio della Gera di Voldomino. La storia è conosciuta dai luinesi, ma la ripetiamo per i lettori (genitori, studenti e insegnanti) del nostro sito scolastico.

[slideshow_deploy id=’53547′]

La storia dei Partigiani Caduti della Gera di Voldomino. All’alba del 7 ottobre 1944 alcuni partigiani della Formazione Lazzarini vennero sorpresi nel sonno da fascisti della GNR di Varese. Seguono violenze, sevizie ed arresti. Quattro giovani vengono subito, senza processo, fucilati sul posto. Si tratta di Giacomo Albertoli, studente diciottenne, Alfredo Carignani, impiegato di 23 anni, Pietro Stalinvieri, operaio di 26 anni e Carlo Tappella di 29, carrettiere. Gli altri vengono fatti salire sui camion scoperti dai fascisti fatti e vengono trasportati per le vie di Luino come trofei. Durante la mattinata i partigiani prigionieri sono portati a Brissago, dove cinque di loro, il ventiquattrenne Giampietro Albertoli, Dante Girani di 20 anni, Flavio Fornara di 23 anni, Luigi Perazzoli di 23 anni e Sergio Lozzo di 18 anni sono fucilati, dopo essere stati confessati da don Paolo Balconi. Il triste corteo di macchine e camion fascisti si trasferisce poi a Varese, dove presso l’ippodromo delle Bettole, verso mezzogiorno, vengono fucilati Elvio Copelli di 20 anni, Luigi Ghiringhelli di 20 ed Evaristo Trentini di 23. Gli altri arrestati son condotti nelle carceri di Varese. Tutti i corpi dei partigiani fucilati, a Voldomino, a Brissago e a Varese, sono lasciati nel luogo di fucilazione per tre giorni, come lugubre monito ai vivi. Son stati tre giorni di forte pioggia autunnali.

Il prof. Giovanni Petrotta, figura strumentale del territorio e referente di storia locale, alla Gera di Voldomino ha letto il seguente testo, preparato dal prof. Emilio Rossi, già preside del nostro Istituto.

Alle Bettole di Varese si concluse la mattanza dei giovani partigiani della Gera il 7 ottobre 1944.

Oggi la nostra città ricorda i suoi martiri civili, immolati per la riconquista della libertà che, il fascismo prima e il nazismo dopo, avevano completamente cancellato dal nostro orizzonte. È però sconfortante dover rilevare nella nostra provincia le ricorrenti manifestazioni inneggianti al passato regime, troppo spesso tollerate anche da chi avrebbe il dovere di tutelare le istituzioni democratiche del nostro Paese. In questa circostanza vorremmo riproporre il racconto dell’eccidio degli ultimi tre partigiani della Gera, fucilati alle Bettole di Varese, sulla scorta della testimonianza di don Giuseppe Tornatore, riportata nel libro di Franco Giannantoni «I giorni della speranza e del castigo».

«Originario di Roreto di Cherasco, classe 1879, figlio di un medico di Bra, don Tornatore fu per qualche tempo vicecurato a S. Vittoria d’Alba; quindi si trasferì a Cuasso al Monte al seguito del carmelitano Padre Gerardo Beccaro, che aveva già incontrato quand’era adolescente, per dedicarsi ai ragazzi ricoverarti presso l’Ospizio dei Piccoli Derelitti fondato da quest’ultimo. Fondò, a sua volta, altri istituti, a Biumo Superiore, Viggiù (1921) e a Milano (1924). Cappellano militare nella I Guerra Mondiale presso il comando della III Armata, fu decorato al valore. Fu proprio lui il 7 agosto 1945 a scrivere questa toccante testimonianza: «[…] Il 7 ottobre tornavo da Varese, diretto alla mia residenza, quando una giovane donna, tremante e sconvolta, con voce e gesti concitati mi avvertiva che dinanzi all’ippodromo tre patrioti stavano per essere fucilati. Affrettai il passo verso il luogo indicato e consultai l’orologio: erano le 18.[…] Chiesi allora il permesso di portare la mia parola di sacerdote ai tre condannati facendomi forte della mia qualità di ex cappellano: un milite, che disse di conoscermi, accondiscese. I tre partigiani stavano appoggiati al muricciolo di cinta della proprietà Aletti. I tre disgraziati, che erano stati sorpresi nel sonno nel loro rifugio montano, erano a piedi scalzi, senza giubba e cappello, due con i calzoni corti: gli occhi infossati, i visi pallidi erano di una eloquenza angosciosa […], facevano parte della banda Lazzarini […]. I minuti erano contati, dopo aver rivolto alcune parole di conforto ad uno ad uno, abbracciai i poveretti e quindi ne ascoltai le confessioni […]. Le mie semplici e paterne parole seppero portare nel cuore dei tre poveretti sollievo e rassegnazione. I due più giovani accolsero con spirito veramente cristiano il pensiero della morte vicina, ma il Trentini, era in preda ad un nervosismo estremo che non gli permetteva di pronunziare parole. […] Imbruniva: il tempo concessomi era terminato. Fu dato l’ordine di legare le mani dietro il dorso ai tre giustiziandi e di accompagnarli di fronte, sul prato adiacente il tennis. Rimasi vicino ad essi fino all’ultimo istante e, quando già il plotone di esecuzione schierato in linea si disponeva a puntare i mitra contro le tre giovani schiene, una voce si elevò, straziante, a richiamarmi: “Cappellano, cappellano!” Era il Trentini. Pregai i militi di concedermi ancora qualche istante e mi portai sullo spazio erboso dove i tre giovani attendevano la ingiusta e fratricida morte. E fu sotto il tiro dei mitra che ascoltai le ultime raccomandazioni del poveretto, tormentato dal pensiero del tenero nipotino e della giovane madre. “Coraggio, ragazzi! – fu l’ultima mia esortazione – volgete lo sguardo al Santuario della Madonna del Monte che vi sta di fronte” […] . E dopo aver suggerito una giaculatoria mi ritrassi ponendomi al lato del plotone […] . Mentre alzavo la mano benedicente, una scarica terribile colpì i tre partigiani che caddero riversi, contemporaneamente, come alberi schiantati da improvvisa bufera. I tre poveretti giacevano sull’erba, tra rigagnoli di sangue e colpi di mitra ancora squarciavano le giovani carni, ne laceravano i polpacci: il Trentini ebbe asportato un occhio. Non potei non esclamare: “Basta, ormai sono morti!” […]. Il plotone si allontanava intonando canzoni, mentre la massa di popolo si rovesciò sul piazzale e venne accanto alle vittime mormorando parole di pietà e di esecrazione. Fino a tarda notte una pietosa processione sostò dinanzi alle salme, e mani anonime le coprirono di fiori […]. Mentre mi preparavo a tornare al mio istituto, uno sconosciuto mi si avvicinò e, dichiarandosi partigiano, mi espresse la sua gratitudine per quello che avevo fatto […]. La terribile giornata si chiuse […] e quella notte si scatenò un furioso temporale tra scrosci di pioggia torrenziale. Insonne, pensavo ai tre cadaveri, in balia dei cani randagi, sotto quel diluvio […]. Tre giorni i cadaveri rimasero esposti sulla pubblica strada, finché dopo la mia protesta in Prefettura, vennero rimossi e trasportati all’obitorio di Belforte. Due giorni dopo, dal Comm. Duca, questore di Varese, ebbi l’autorizzazione di benedire le salme che venivano sepolte […]».

Inoltre, il prof. Petrotta ed una delegazione dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) di Luino, guidata dal suo presidente Remo Passera, si è recata al cimitero di Brissago Valtravaglia, dove si è svolta una cerimonia per ricordare i cinque giovani partigiani lì fucilati esattamente 71 anni fa. Qui hanno preso la parola il sindaco Giusy Giordano, il testimone Enrico Menotti, i prof. Petrotta e Rossi, il parroco di Brissago e, infine, a concludere Remo Passera presidente dell’Anpi di Luino. Presenti autorità e cittadini di Brissago, di Porto Valtravaglia ed anche gli alunni della scuola media dell’Educandato di Brissago Valtravaglia accompagnati dai loro docenti.

© Riproduzione riservata

Vuoi lasciare un commento? | 0

I commenti sono chiusi.

"Luinonotizie.it è una testata giornalistica iscritta al Registro Stampa del tribunale di Varese al n. 5/2017 in data 29/6/2017"
P.IVA: 03433740127