7 Ottobre 2014

La Cassazione: “Nessun licenziamento per l’impiegato-escort. Le abitudini sessuali? Private”

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Le abitudini sessuali devono rimanere un fatto privato e come “dati sensibili” meritano una “tutela rafforzata”. Lo ha sottolineato la Cassazione, occupandosi del caso di un dipendente piemontese impiegato in Provincia che, finito sotto procedimento disciplinare, era stato rimosso “per avere inserito sui siti per escort annunci contenenti l’offerta di prestazioni sessuali a pagamento, in danno dell’immagine della Provincia”.

(fanpage.it)

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Per la Cassazione le abitudini sessuali devono rimanere un fatto privato. Alle abitudini sessuali del dipendente piemontese, sotto procedimento disciplinare, ricostruisce la sentenza 21107 della Prima sezione civile, si era arrivati in seguito ad una comunicazione anonima con cui si segnalava il suo esercizio dell’attività di escort. L’amministrazione aveva quindi fatto i controlli accedendo ai siti web indicati ed era scattato il procedimento disciplinare.

Il Tribunale di Verbania aveva detto che non c’era stata alcuna lesione della privacy del dipendente. Il Tribunale di Verbania, nel giugno 2012, aveva escluso che la raccolta di informazioni in rete fosse avvenuta “in difetto delle condizioni richieste dal decreto legislativo del 30 giugno 2003” che regola il trattamento dei dati sensibili finalizzati alla gestione del rapporto di lavoro. A detta del Tribunale, dunque, non c’era stata lesione della privacy del dipendente perché la raccolta dei dati “era volta ad acquisire non già elementi relativi all’orientamento sessuale del dipendente, ma la prova della denunciata pubblicizzazione dell’attività di prostituzione ritenuta lesiva dell’immagine dell’Ente”.

La Cassazione è stata di diverso avviso e ha accolto il ricorso del Garante della Privacy. Il Garante ha insistito sulla necessità di una tutela rafforzata per i dati che riguardano “la parte più intima della persona”, come i costumi sessuali. Nel dettaglio, la Suprema Corte, riscontrando “l’illegittimità dell’operazione posta in essere dall’Amministrazione attraverso l’acquisizione dei dati informatici”, ha osservato che “non possono condividersi le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata, la quale ha escluso l’applicabilità della disciplina in esame, in virtù dell’osservazione che l’attività posta in essere dall’Amministrazione non era finalizzata alla raccolta di dati inerenti alla vita sessuale del dipendente, ma alla verifica dell’avvenuta pubblicizzazione dell’attività di meretricio da quest’ultimo svolta”. La Cassazione in proposito ricorda che “portata decisiva deve riconoscersi al dato oggettivo dell’acquisizione di informazioni attinenti alla vita sessuale del dipendente, di per sé sufficiente a rendere configurabile un trattamento di dati sensibili” meritevoli di “tutela rafforzata”. (ADNKRONOS)

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