19 Giugno 2014

SDREMC: un progetto nato per migliorare la vita di 5 bambini kenyoti affetti da HIV, diventati loro stessi una risorsa per altri

Tempo medio di lettura: 12 minuti

Il progetto SDREMC è nato in una children home di Utawala, in Kenya. L’intento è quello di sensibilizzare, formare ed informare tutte le persone kenyote sul virus dell’HIV, largamente diffuso in Africa. Nato come gruppo di supporto per cinque adolescenti che hanno l’AIDS, il programma ha iniziato ad espandersi all’infuori della children home. Sabato scorso a Lavena Ponte Tresa (VA) è stato presentato SDREMC, dove hanno collaborato anche i ragazzi delle classi terze delle scuole medie.La redazione de “Lo Stivale Pensante” è andata ad intervistare Marta Garzonio, che ha creato, seguito e coordinato, insieme alla community health worker, Joyce, l’idea di SDREMC. Clicca qui per la pagina Facebook di SDREMC.

Una lezione frontale del gruppo SDREMC in una classe delle scuole medie di Nairobi

Una lezione frontale del gruppo SDREMC in una classe delle scuole medie di Nairobi

Il Progetto SDREMC: “Fight illness, not people”. SDREMC è nato nella children home “Alice Village”, situata a Utawala (Nairobi, Kenya). “Alice Village” accoglie 100 bambini di età compresa tra i 3 e i 17 anni, i quali hanno alle spalle storie di abbandono e di violenze. Utawala è una delle zone di Nairobi nelle quali l’incidenza dell’AIDS è pari addirittura al 60% della popolazione. La children home è stata costruita ed è tutt’ora sostenuta da “Twins International”, un’associazione onlus italiana privata.

L’idea di SDREMC è nata da un gruppo di auto-aiuto composto da cinque ragazzi (Stephen, Dennis, Rodgers, Ernest, Marta e Cynthia) di Alice Village con il coordinamento ed il supporto di Marta Garzonio. La psicologa volontaria ha trascorso tre mesi ad alice Village. Questi 5 ragazzi sono affetti da HIV e tutti i giorni vivono in prima persona la malattia e il senso di emarginazione e diversità che provano coloro che sono affetti da questa malattia. L’intento del gruppo non è solo quello di raggiungere le persone affette da AIDS, ma di creare una rete di scambio, riflessione e conoscenza riguardo a come prevenire la malattia e supportare chi ne soffre.

La partenza e l’arrivo a Nairobi, le parole di Marta. “Io sono partita con una borsa di studio finanziata dall’Università di Pavia, tramite Twins International – spiega Marta Garzonio, fondatrice di SDREMC -. Il mio primo progetto era di sensibilizzazione sull’HIV ed era rivolto a studenti delle scuole di due baraccopoli, di prima, seconda e terza media. Ho preparato tutto questo materiale di campagna per la sensibilizzazione e sono stata lì per tre mesi. Durante questo periodo ho vissuto in questa children home con cento bambini di cui dieci sono affetti da HIV. Collaborando insieme alla Community Worker, Joice, che è l’infermiera di questa children home, un giorno mi ha detto ‘se vuoi puoi fare un incontro con i 5 ragazzi più grandi che hanno l’HIV e vedere come si muovono, come si aprono e come reagiscono a questa tematica. Tu comincia a presentare e vediamo cosa succede.’ Il primo incontro con loro è avvenuto a metà giugno (ndr 2013), ci siamo riuniti nell’infermeria della children home. All’inizio ho cercato di essere il più sensibile possibile: mi sono presentata, ho fatto qualche gioco. Alcuni di loro, in questa children home, sono più espansivi, altri meno. Per esempio, Steve l’ho conosciuto grazie al gruppo, perché difficilmente lo avrei notato in mezzo agli altri 100 bambini. Allo stesso modo Cynthia che è molto studiosa, aiuta molto le Mami a preparare il cibo, e quindi la vedevo solo di sfuggita. La prima riunione è stata difficile: mi sono presentata, gli ho fatto dire aggettivi che rispecchiassero i loro sentimenti, cosa preferissero fare e cosa no, qualcosa che rompesse il ghiaccio tra di noi insomma. Così alla fine dell’incontro ho concluso dicendo che sono una psicologa ed ero lì a parlare e sensibilizzare le persone ed i bambini riguardo ad una malattia e ho chiesto loro cosa ne pensavano. Parlando, siamo giunti alla conclusione che secondo loro sarebbe fondamentale riuscire a sensibilizzare gli altri perché una grande problematica che vivono è la discriminazione, il sentirsi diversi, ed avere gli occhi puntati addosso da parte degli altri.”

L’obiettivo di SDREMC. Così durante gli incontri Marta Garzonio ha portato con l’ascolto e il dialogo all’emergere di tutte le difficoltà che vivono e le loro paure, in primis il sentirsi diversi e isolati dagli altri. “L’ignoranza che c’è riguardo all’HIV – continua la giovane luinese – conduce spesso alla stigmatizzazione delle persone e dei bambini affetti da tale virus. Quindi ho pensato di coinvolgerli: un gruppo composto da bambini e ragazzi avente lo scopo di accrescere la conoscenza sull’HIV. Un approccio ‘child to child’ con due obiettivi: quello di far sentire i membri del gruppo affetti dall’HIV forti, uniti e maggiormente consapevoli degli effetti del virus, dell’importanza di prendere le medicine, di far aumentare la conoscenza nei bambini e negli adulti, e prevenire, aiutare chi ne è affetto, riducendo la discriminazione.” Così SDREMC è riuscito a trattare una serie di problematiche con i membri del gruppo. Inoltre ha portato loro stessi a essere protagonisti, in senso positivo, ed a insegnare ad altri. La risposta delle persone è stata incoraggiante e tutti hanno ascoltato e hanno stimolato i ragazzi. Inoltre i membri hanno riportato un miglioramento sia psicologico, sia sociale.

Il progetto SDREMC, le uscite del gruppo ad Utawala

Il progetto SDREMC, le uscite del gruppo ad Utawala

La Situazione AIDS/HIV in Kenya. Il virus dell’immunodeficienza umana HIV è l’agente responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita AIDS. Non esiste ancora una cura per l’HIV, pertanto la prevenzione è fondamentale. E’ necessario fornire alle persone che vivono in situazioni a rischio gli strumenti adeguati affinchè possano proteggere loro stessi e i propri figli dalla malattia. Questa necessità è ancora più sentita in contesti come ad esempio quello del Kenya, uno tra i paesi più colpiti dalla malattia. Nel 2012 è stato stimato che il 6,3 % della popolazione totale keniota di età compresa tra i 15 e i 64 anni è affetta da HIV. Un aspetto critico che caratterizza la situazione in Kenya è che circa i 2/3 della popolazione non si è mai sottoposta al test dell’HIV. Tale aspetto favorisce la trasmissione del virus sia tra pari, sia tra madre e figlio. Inoltre il 50% di coloro che sono affetti da tale malattia non rispetta correttamente l’assunzione dei farmaci, così come le visite ospedaliere, riducendo in tal modo la propria qualità e durata della vita.

Le cure mediche non bastano. “Oltre alla prevenzione, un altro aspetto importante riguarda il benessere delle persone affette da HIV. Quando si parla di HIV c’è la tendenza a focalizzarsi solo su aspetti preventivi, tralasciando l’importanza della qualità della vita vissuta dalle persone malate. Ogni giorno devono assumere medicine palliative e ogni mese devono fare visite mediche sperando che la malattia non si sia aggravata. Le medicine sono fondamentali, ma non bastano: le persone malate hanno bisogno anche di supporto affettivo e sociale.

La vita nelle baraccopoli: i bambini tra povertà e pericolo. “Ci sono baraccopoli più o meno pericolose – dice Marta Garzonio -. Le baraccopoli tendenzialmente si dividono a fasce: c’è la zona più centrale, all’interno della baraccopoli, che è la più pericolosa. Però lo sono anche alcune zone all’esterno. Ad esempio Dandora, che è una baraccopoli di Nairobi: c’è una zona di essa dove è vietato costruire con la lamiera, quindi le case sono costruite con una sorta di mattone. La parte più centrale di Dandora, che è quella di fianco a una delle discariche più grande del Kenya, è molto pericolosa perché le case sono fatiscenti e sono costruite in lamiera… c’è una povertà assoluta. Entri e fai fatica a capire cosa ti succede intorno. Per questa povertà le persone pur di poter guadagnare qualcosa vanno a lavorare nella discarica. Questa per loro, anzitutto, è fonte di guadagno perché raccolgono e dividono la plastica, ma viene gestita da “mafiosi” locali. Per questo è molto pericolosa, infatti i bianchi non riescono ad entrarci, e ci sono persone armate al suo interno, con varie bande criminali. Un altro problema però è che non vanno a lavorare solo adulti, ma vanno anche spesso i bambini. E’ una realtà che sconvolge”

Marta ed i ragazzi del gruppo SDREMC

Marta ed i ragazzi del gruppo SDREMC

La vita nella children home. “I bimbi – spiega Marta, fondatrice di SDREMC – durante la settimana si alzano molto presto, alle 5 del mattino. Dopo essersi lavati, puliscono la camera e si vestono con la divisa della scuola. Alle 6.15 fanno colazione ai tavoloni della sala pranzo e alle 6.30 i 10 bambini/ragazzi prendono le medicine. Prima di andare a scuola la Mami, che ha preparato la colazione, controlla soprattutto quelli più piccoli e poi si dirigono tutti a scuola a piedi, che è lontana una decina di minuti. Il ritorno alla children home (ndr quella di Alice Village) dipende dall’età. Quelli più piccoli finiscono dopo pranzo, quelli più grandi invece alle 16.30. Una volta tornati i bambini si riposano, si svagano, aiutano le Mami a cucinare, lavano le loro divise e puliscono le scarpe per la scuola. Se ci sono volontari, e questi hanno organizzato delle attività, un’oretta della giornata è dedicata a questo. Alle 17 poi c’è la merenda e coincide con l’arrivo dei più grandi. Spesso con il gruppo ho fatto le riunioni dalle 17.30 fino alle 18.30. Prima di cena coloro che non devono aiutare ad apparecchiare e sistemare il tutto, per i quali compiti ci sono dei turni e lo fanno solo i ragazzi e ragazze più grandi (prima seconda e terza media), giocano assieme, chi a calcio, chi con le biglie, chi con lo scivolo… si rincorrono, giocano con la corda, saltano e cantano. Alle 18.20 i ragazzi del gruppo vanno a richiamare i più piccoli e ci si trova al “get well” per le medicine. Si aiutano i più piccoli e Joyce controlla sempre tutto. Alle 18.30/18.45 suona la campana e tutti vanno a mangiare. Dopo aver cenato molti vanno a fare i compiti o si trovano nelle stanze con gli altri, li è buio già dalle 18.30. Alle 20 c’è “the votion” cioè un momento nel quale viene letto da parte dei bambini un passo della bibbia, si canta e si prega in una bellissima atmosfera. Le canzoni sono coinvolgenti. Al termine piano piano ognuno di loro si reca nella stanza e si passa a fare il giro della ‘buona notte’.”

La gestione della children home. “L’ong con la quale sono partita – continua a raccontare Marta – è Twins International che ha fondato questa children home e numerose altre attività. La children home accoglie 100 bambini che vivono lì per diversi motivi: o la famiglia non ha più soldi per mantenerli, o mancano il padre o la madre. La children home è organizzata come fosse una casa: c’è una cucina all’aperto, la sala dove si mangia, la sala ludica, con una tv chiusa con un lucchetto, che si utilizza solo raramente, e dove si fa anche la preghiera, nonostante l’associazione sia laica. Qui loro tradizionalmente pregano, praticano la lettura di un passo della bibbia e cantano canzoni. Belle vive. C’è poi la casa delle bimbe, dove ci sono decine di stanze, dove ci sono due letti a castello, una scrivania, una sedia ed anche dei bauli dove tengono i loro vestiti e ci sono alcuni bagni in comune. C’è anche la casa dove ci sono i bimbi. Inoltre sono presenti queste figure chiamate Mami che sono adesso quattro, ma arriverà la quinta, che si occupano di venti bambini l’una, più di preparare da mangiare per tutti. Così la “mamma” che deve preparare il pranzo e poi deve badare a venti bambini, che si lavino, che facciano i compiti… E’ particolarmente difficile, infatti i ragazzi più grandi aiutano molto i più piccoli anche se a volte sono molto responsabilizzati nonostante la loro giovane età.”

I primi incontri del gruppo di supporto SDREMC. “Il mio scopo principale era di fare in modo che anche solo questi cinque bambini potessero stare meglio, quindi vedendo in loro la voglia di poter riuscire a rompere questo senso di diversità ho voluto creare questo gruppo assieme a loro. Quando facevamo le riunioni, in un’ora o un’ora e mezza, parlavamo di tutti gli aspetti legati all’HIV, quindi anche loro apprendevano delle informazioni legate al virus… come agisce, cosa accade… ma era anche un modo per stimolare discussioni su alcuni argomenti ed alcune loro paure.”

Il progetto SDREMC, le uscite del gruppo ad Utawala

Il progetto SDREMC, le uscite del gruppo ad Utawala

Le altre attività svolte e le uscite ad Utawala. “Con SDREMC – continua Marta – siamo riusciti ad organizzare, inoltre, anche lezioni su HIV/AIDS per adolescenti sieropositivi nell’ospedale Donholm, con particolare attenzione al tema del “positive living” (vivere positivamente la malattia). E’ stato realizzato materiale divulgativo sul tema HIV/AIDS, tramite brochure, e le abbiamo distribuite alle persone comuni in alcune zone di Utawala, a 30 km da Nairobi, in una zona collinare in via di costruzione ed abbastanza ricca. Ho fatto preparare, per andare in giro, anche delle magliette con il simbolo di Sdremc e con il motto ‘Fight illness, not people’. Il riscontro è stato estremamente positivo, nonostante i ragazzi prima di uscire avessero una paura terribile di parlare con la gente. Hanno fatto tutto loro, io non parlavo li seguivo e li ascoltavo, stringendo solo le mani alle persone. Abbiamo distribuito centinaia e centinaia di brochure, le abbiamo dovute ristampare. Ad un certo punto, poi, Dennis e Cynthia hanno detto di loro spontanea volontà di essere portatori di HIV e lì tutti si sono sentiti ‘realizzati’. Capisci di aver cambiato, anche solo per un attimo l’emozione ed il sentimento che loro vivevano perché l’hanno detto liberamente. Ho creato un blog, poi, nel quale il gruppo si presenta al mondo e pubblica informazioni sulle proprie iniziative ed esperienze.”

I primi risultati ottenuti. Le attività svolte dal gruppo avevano come obiettivo esplicito quello di aumentare la conoscenza di HIV/AIDS nelle persone (malate e non) che vivono nelle zone limitrofe ad Alice Village. Questo obiettivo è stato raggiunto con successo. Le persone si sono dimostrate sinceramente interessate, al punto che molti hanno spronato i membri del gruppo a continuare a diffondere attivamente la conoscenza. Inoltre, parlare apertamente di aspetti legati alla propria malattia, conoscere in maniera più approfondita questo genere di tematiche è stato di grande aiuto (e lo è tutt’ora) ai membri del gruppo. Sentirsi parte di un comunità, sentirsi utili per gli altri, li ha resi consapevoli di quanto il programma stia aiutando anche loro stessi. Questo è un aspetto molto importante del progetto.

Il rientro di Marta in Italia e il secondo viaggio a Nairobi grazie alle donazioni. “Sono ritornata a settembre 2013 in Italia – racconta Marta – e ho cercato di mantenere viva questa attività, quindi ho fissato degli appuntamenti ogni due settimane con loro, tramite una Skype Call. In ogni caso mandavo e continuo a mandare ogni volta un articolo, riguardo all’AIDS, di diverso argomento, una serie di curiosità per far sì che loro aumentino la loro conoscenza su questa tematica. Così ci sentiamo tramite computer, nonostante renda tutto più freddo, più distante, però in qualche modo riesco a mantenere il contatto e tutti i buoni propositi. Le chiamate avvengono ogni due-tre settimane, con la connessione che non sempre è ottima, però almeno si riesce a mantenere il rapporto. Quest’anno, grazie ad un foundraising, sono riuscita a tornare lì per un mese per continuare il lavoro. Sono riuscita anche, con i soldi raccolti, a stampare 500 brochure nuove con la descrizione del progetto Sdremc e ho spiegato di come mi sono fatta portatrice della sensibilizzazione sull’HIV e di come non ero sola, ma ero parte attiva del gruppo, anche se non ci sono continue riunioni ed anche se non sono sempre in loco, però mi faccio quotidianamente promotrice del messaggio. Così è per me, ma lo è anche per tutti quelli che mi hanno aiutato a ritornare in quelle terre.”

Una lezione di SDREMC

Una lezione di SDREMC

Il braccialetto “KINGA” e le donazioni degli italiani. Kinga nella lingua kenyota significa “protezione”. La vocazione alla protezione è una delle caratteristiche che contraddistingue l’elefante. L’elefante infatti accoglie e accetta nel proprio branco tutti, anche gli elefanti più piccoli soli che non ne fanno parte. Senza la protezione offerta dal gruppo, i cuccioli rimarrebbero indifesi ed esposti ai pericoli a volte mortali. Come l’elefante, SDREMC è nato con lo stesso scopo. Così comprando il braccialetto KINGA, si aiutano i ragazzi del progetto SDREMC a diffondere la conoscenza dell’AIDS/HIV nelle zone più povere di Nairobi: un piccolo gesto delle persone rappresenterebbe un grande risultato per loro.

L’ampliamento del gruppo SDREMC. “Sono entrati nuovi bambini nel nostro gruppo di supporto, ragazzi comuni, che hanno vissuto positivamente questo scopo di aumentare la conoscenza riguardo l’HIV durante le lezioni che abbiamo tenuto all’interno di alcune scuole. Loro sono nell’adolescenza quindi far parte di un gruppo è sempre qualcosa di positivo. Quello che è stato fatto è stato questo: abbiamo detto ‘noi domani usciamo ad Utawala, se qualcuno di voi vuole venire noi saremmo contenti’. Così sono arrivati dieci ragazzi: i membri nuovi, che abbiamo chiamato ‘junior’, frequentano la classe ottava e fanno parte della children home dei bambini. Nell’uscita ad Utawala eravamo in 17 e ci siamo divisi cercando di informare il più possibile gli ultimi arrivati: ognuno dei ‘senior’ spiegava ed aiutava due junior. Alla fine di questa uscita eravamo molto contenti: la gente ha fatto tante domande ed abbiamo consegnato più di mille brochure. Il loro ruolo, quello dei junior, è stato però più marginale. Gli altri, i senior, facendo parte del gruppo di supporto, ed avendo il virus hanno avuto la priorità. A partire dal materiale che invio a Stephen, Dennis, Rodgers, Ernest, Marta e Cynthia, loro ci lavorano sopra, eleborano e spiegano agli altri. Poi se ci sarà possibilità di fare altre lezioni fuori, magari gli altri dieci andranno insieme a loro.”

Le attività future. Il successo delle iniziative che sono state intraprese dal gruppo ha confermato le potenzialità di questo progetto. C’è ancora molto, però, da realizzare e in particolare modo le principali attività future del gruppo sono molteplici. La conduzione di lezioni ad Alice Village, nelle scuole frequentate dai membri del gruppo in alcune baraccopoli (Korogocho e Kariobanghi) di Nairobi e nell’ospedale di Donholm; la distribuzione del materiale informativo sia nelle scuole che tra gli abitanti delle zone limitrofe a Utawala ed in particolare nelle baraccopoli; l’allargamento del gruppo ad altri ragazzi malati di AIDS che vivono ad Alice Village.

Il progetto SDREMC a Lavena Ponte tresa

Il progetto SDREMC a Lavena Ponte tresa

Il progetto “We are The Word, Anche noi SIAMO il MONDO” di Lavena Ponte Tresa (VA). L’entusiasmo e la gioia con cui i ragazzi delle classi terze della scuola secondaria di primo grado di Lavena Ponte Tresa hanno lavorato a questo progetto è stata intensa. La scelta della canzone “We are the world – USA for Africa” non è avvenuto per caso, è un brano che ha una storia importante che mette in primo piano la solidarietà, il sentirsi parte del mondo ed è per questo che le energie si sono moltiplicate tanto da offrirla ad un progetto concreto che a sua volta si realizza in Africa. La fatica di imparare a cantarla con le loro giovani voci e di ripeterla per migliorarla è stata affrontata con determinazione dai ragazzi. La disponibilità senza condizioni a viverla, sia musicalmente sia emotivamente è il valore aggiunto. Il lavoro a scuola e nello studio di registrazione è stato divertente anche se faticoso. Così è stato realizzato un video, con la canzone cantata dal coro dei ragazzi delle scuole media di Lavena Ponte Tresa, che mira a sensibilizzare le persone al virus dell’HIV e dell’AIDS. “Vorrei ringraziare – conclude Marta Garzonio – i ragazzi di terza della scuola secondaria di primo grado di Lavena Ponte Tresa, il Comune di Lavena Ponte Tresa, la professoressa Rosanna Manvati e tutti coloro che hanno donato un loro contributo al progetto SDREMC. Allo stesso modo vorrei ringraziare, da parte mia e da quella del gruppo, tutti coloro i quali stanno ed hanno creduto in noi e che hanno contribuito con l’acquisto del braccialetto kinga.” I fondi che il gruppo si propone di raccogliere permetteranno al progetto SDREMC di essere ancora più efficace nella diffusione della conoscenza anche nelle zone di Nairobi dove l’incidenza di AIDS/HIV è più alta.

Il sogno per SDREMC. “Non ho nessuna pretesa, ma la cosa principale per me era ed è di creare un passaparola tra le persone e che si aumentasse la conoscenza dell’AIDS. Altro aspetto era quello legato a farli stare meglio e che aumentasse la loro responsabilità nel prendere le medicine ogni giorno, alla stessa ora. Il gruppo è nato perché tra virgolette ed indirettamente me l’hanno chiesto, quindi mi sono sempre fatta trasportare da loro, dalle loro esigenze… Il mio sogno, però, sarebbe quello che questo progetto possa continuare e che possa essere fondato un vero e proprio centro dove questo gruppo si possa allargare e possa far sì che ci possa essere un supporto per tante altre persone ed andare in molteplici scuole per espandere la conoscenza sull’AIDS. Andare in più scuole, in più parti di Nairobi o del Kenya. Concludo con una domanda che ho fatto loro: ‘Come ti vedi fra 5 anni?’ Beh, chiudendo gli occhi mi hanno detto: ‘Ci vediamo su un tappeto rosso, mentre andiamo ad una conferenza che che tratta di HIV, e noi che facciamo i relatori…” Cynthia sogna di trovare la cura, Dennis vuole fare il social worker in un centro per l’HIV. Insomma, nessuno di noi vuole che si fermi questo progetto.”

Per ulteriori informazioni scrivere alla mail: m.garzonio@gmail.com.

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