13 Marzo 2014

“Nature”, ecco IRX3 il gene del grasso: partire da qui per battere l’obesità

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Si chiama IRX3 ed è il gene del grasso, il ‘maestro d’orchestra’ che dirige la sequenza di eventi genetici complice dell’obesità. Lo hanno individuato scienziati americani e spagnoli in uno studio pubblicato su ‘Nature’.

(educatedaging.com)

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I ricercatori hanno anche scoperto che topi Ogm in cui veniva eliminato IRX3 erano molto più magri rispetto agli animali che possedevano il gene. Pesavano circa il 30% in meno, e a fare la differenza era proprio una massa grassa minore. Non solo: i topi con IRX3 ‘spento’ erano praticamente immuni dall’obesità, anche se venivano nutriti con una dieta ipercalorica e anche se non facevano movimento. Infine, avevano una maggiore capacità di metabolizzare il glucosio e risultavano protetti dal rischio diabete.

La ricerca è firmata da Marcelo Nobrega dell’università di Chicago, e Jose Luis Gomez-Skarmeta del Centro andaluso di biologia dello sviluppo di Siviglia. Gli scienziati sono partiti dallo studio di un altro gene, l’Fto, le cui porzioni non codificanti (gli introni, un tempo ritenuti Dna ‘spazzatura’) sono state identificate in studi precedenti come il principale fattore genetico associato all’obesità e al diabete negli uomini. Finora, pero’ non si conosceva il meccanismo di questo legame.

Per cercare di svelarlo, i ricercatori si sono concentrati sulle regioni di Dna dette ‘promotrici’, porzioni di genoma che attivano l’espressione dei geni. Hanno visto quindi che, nei topi adulti, gli introni del gene Fto ‘prendevano ordini’ dalla regione promotrice del gene Irx3, collocato a parecchie migliaia di basi di distanza rispetto all’Fto. Il vero gene del grasso, concludono gli autori, è dunque Irx3 e non Fto. Irx3 codifica per una proteina che regola altri geni, ed è presente sia all’interno che all’esterno del cervello. Nell’uomo sarebbe quindi difficile sopprimerne l’attività senza effetti indesiderati. La speranza degli scienziati, proseguendo nella ricerca, è identificare a valle dei ‘messaggeri’ che possano diventare il bersaglio di nuovi farmaci contro obesità e diabete.

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