13 Novembre 2013

Abiti a perle, abiti a fiori, stole, pietre: l’arte di Jole Veneziani presso la Villa FAI Necchi Campiglio

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In un riordinarsi naturale di cose, Necchi-Campiglio meets Jole Veneziani. Sembrano creature dei romanzi di Sveva Casati Modignani. 

I Necchi-Campiglio, milanesissimi ma originari di Pavia, il ménage familiare di una coppia e la cognata, Nedda, eterna nubile. Jole Veneziani, pugliese estrosa che arriva a Milano a otto anni con tutta la famiglia, acquisisce un piccolo negozio e diventa non solo venditrice ma stylist di pellicce, stilista di pellame e accessori di classe. Sono personaggi per sceneggiati televisivi, oppure per un noir sfavillante dove la città non è tanto sfondo quanto portfolio di icone.

© Foto di Chiara Gianni

© Foto di Chiara Gianni

Ecco perché la villa Necchi-Campiglio, in via Mozart, tra il Conservatorio e San Babila, romantica e vittoriana con le sue vetrate tra piante rampicanti, fiorellini e luce, accoglie i modelli della Veneziani come un contesto assolutamente naturale. La villa, lasciata in eredità dalle sorelle Necchi al FAI e aperta al pubblico nel 2008, conserva gli effetti personali della famiglia (anche i foulard autografati da Christian Dior) ed è un angolo di struggente malinconia. E’ il razionalismo architettonico (“nei loro rapporti di vuoto e di pieno, di masse pesanti e strutture leggere, abbiamo a donar all’osservatore un’emozione artistica”), le opere d’arte che spuntano come sorprese (quadri di Morandi e De Chirico), la sobrietà della noce del palissandro che contraltano con i marmi e i soffitti stellati, grande passione dell’architetto Portaluppi, autore insieme a Buzzi di questo gioiello tra fiaba e retaggio di un boom che ora più che mai appare evanescente e sgretolatissimo.

Ci si aspetta di veder comparire in qualche sottoscala la versione meno barocca di Lumière o di Mrs Bric.

Assegnati ai locali della villa, i modelli lussuosi di Jole, sistemati su manichini che riportano ognuno una data e una citazione. Nella veranda, tra vasi in lapislazzuli, piante e alte vetrate, due modelli sontuosi, uno bianco e uno rosso per la colazione. E’ il 1966, sono le 12 “Scusami Adele, sono sempre in ritardo”. Jole Veneziani era più donna da ribalta che da retroscena: avrebbe voluto fare l’attrice, indossava gli occhiali da sole di Lolita, creava modelli rifinitissimi, con inserti di pelliccia, gonne ampie, tessuti pregiati. Parte come pellicciaia in un’epoca in cui non solo non esistevano gli animalisti ma il lusso era anche doverosa testimonianza della ripresa di un Paese dopo due guerre. Jole è specchio dell’Italia della Giulietta Spider, delle Jaguar, di Patty Pravo, del twist, di una Milano di signore femminili e benestanti. Si parla del suo atelier come punto di ritrovo tra il perenne profumo del caramello che saliva dalla vicina pasticceria Cova.

© Foto di Chiara Gianni

© Foto di Chiara Gianni

Anche la sala da pranzo ospita modelli con fantasie e tessuti ispirati (sono le 13 di una giornata dei primi anni ’60 “Chissà se la quiche è migliore dell’ultima volta”), mentre la stanza per la preparazione e il confezionamento dei fiori presenta un abito dorato, uno splendido incastonarsi di pietre tra colletto e cintura. Al piano superiore, tra la stanza del principe, quella della principessa (i Necchi-Campiglio non erano nobili, si occupavano del commercio di ghisa e macchine da cucire – Lady Violet di Dowton Abbey farebbe un salto sulla sedia! – ma avevano molti amici aristocratici), le stanze padronali e i bagni in marmo e alabastro che riflette la luce del sole in una miriade di colori, sono disseminati altri manichini con abiti da sera meravigliosi: niente a che vedere con Cenerentola post-zucca, qui si parla di pietre e perle cucite a mano, di un abito lungo di seta viola con una stola di pelliccia, di cuffiette e gioielli preziosi.

C’è anche l’angolo-stanza lavoro della Veneziani: tavoli con forbici, arnesi da cucito, monili, stoffe. Il suo stile è la combo impossibile stravagante-elegante e lei è la momentanea regina di una Milano che non c’è più. Nel sottotetto una raccolta di copertine (Grazia, Vogue, Marie Claire, Life stessa), di foto dailylife, di bozzetti e disegni tra giorno, cappotti, cappelli, sera. Vincitrice del Giglio d’oro nel 1952, la stilista è sofisticatamente creativa.

La visita è un’ora in un’altra epoca, uno stacco netto (eppure a pochissimi metri la gente continua a perdere il lavoro, a fare la spesa con i buoni pasto, a non timbrare il biglietto sui bus), ma non solo questo. E’ la straordinaria possibilità (ammettendone l’esistenza) di provare nostalgia per un’epoca mai vissuta. E’ dividersi tra il sogno per la self-made-woman che cerca e ottiene il lusso, in modo meritocratico, e la sensazione, di lievissimo disagio, che adesso quello splendore tangibile potrebbe trasformarsi in monete per pagare pasti, spese sanitarie, casse integrazioni in un presente annerito dalla crisi.

Ma il sogno, come insegna la Disney, non può non risplendere o non sarebbe tale, e la speranza rimarrebbe solo confinata e relativa allo status attuale e quindi, di per sé, abbastanza demotivante. Punta in alto, anche senza mezzi, punta sempre al 100 o non otterrai neanche 10. Jole Veneziani merita una visita e un complimento per la sua artisticità accesa e personale, strabordante oltre il confine della moda, tanto che, potendo, avrebbe colorato tutti i mezzi pubblici e illuminato la metropoli come se fosse eternamente giorno.

Alice Grisa

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